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Quando il pc diventa fuori moda

Publie le sabato 11 agosto 2007 par Open-Publishing

Green Pc un progetto verso la sostenibilità ambientale a 360 gradi
Dalla periferia romana l’impegno del gruppo Linfa.

“Eravamo quattro amici al bar, che volevano cambiare il mondo…”. Così inizia una nota canzone di Gino Paoli, sull’onda dell’ispirazione utopistica giovanile. Sogni e progetti che successivamente s’infrangono sull’inevitabile casualità legata al singolo percorso di ogni vita.
Non è il caso di Linfa, un collettivo autogestito da quattro giovani ragazzi della periferia romana di Centocelle, coesi nei propri intenti e consci nell’affrontare un tema di fondamentale importanza: la sostenibilità ambientale nell’uso del personal computer.
Argomenti che trovano terreno fertile anche nel contesto universitario, dove questi ragazzi orbitano, in relazione ai loro studi, fino ad indirizzare la loro coscienza attrvaverso un vero e proprio progetto di ricerca. Nel 2003, Stefano Cieri, Luigi Cuppone, Mario Lamberti e Raul Sciurpa, che provengono dell’I.S.I.A. (Istituto Superiore per le industrie artistiche, industrial design) di Roma, danno vita al gruppo Linfa, orientando il loro operato verso la concretizzazione di progetti sostenibili e la promozione di una maggiore consapevolezza allo sviluppo comune.
L’idea di sostenibilità informatica nasce da alcuni spunti di riflessione. E’ indubbio che il campo informatico abbia apportato sicuramente nuove forme di democrazia e accessibilità, ottimizzando i processi industriali, di analisi dei complessi modelli di previsione, costituendo un servizio immateriale. Tuttavia, il personal computer è attualmente uno degli strumenti più impattanti e pericolosi per l’ambiente in cui viviamo. Il progetto Linfa, assume un’importanza decisiva, se pensiamo che non esiste al mondo nessun settore che si occupi specificatamente dell’insostenibilità informatica.
Solo nell’anno 2002 sono stati dismessi 1 milione di tonnellate di e-waste, tra monitor, computer, stampanti, fax, copiatrici multifunzioni, cellulari, lettori mp3 e vari accessori elettronici che ormai fanno parte del nostro stile di vita. Il WWF ha stimato che ogni anno incenerire le apparecchiature elettroniche significa liberare nell’atmosfera 36 tonnellate di mercurio e 16 di cadmio. Un dato in continua crescita, particolarmente allarmante. Ogni cittadino europeo produce in media 20 kg di rifiuti elettronici all’anno e la percentuale è in aumento esponenziale, specialmente per la rapida immissione nel mercato di strumenti informatici sempre più innovativi. Basti pensare ai metalli, alle plastiche, ai componenti interni del Pc e delle sue periferiche che contengono composti cancerogeni, come l’arsenico, il piombo e il cadmio. Componenti, difficili da trattare e che innalzano la pericolosità per l’ambiente. I monitor di tipo Pvc, (Poli Vinil Cloruro), le tastiere con composizione chimica variabile, non possono essere inceneriti, in quanto dalla loro combustione vengono sprigionati dei gas altamenti tossici. Se nei primi anni 70 un computer poteva durare almeno 10 anni, oggi il ciclo vitale non raggiunge i 4 anni.
Nel 2008 si prevede che i personal computer sulla Terra saranno oltre 1 miliardo e nel 2015 si raggiungerà quota 2miliardi. Se l’’High-tech è il maggior settore in crescita, dobbiamo anche prevederne le disastrose conseguenze. Qualcuno ha già iniziato ad occuparsi del problema, attraverso il trashware, (recupero di pc dismessi), o adottando l’opensource con lo scopo di diminuire il digital divide, cioè il divario tra chi ha l’accessibilità alle informazioni tramite la rete e chi no, ma anche per sfruttare il pc per tempi più lunghi. Ad esempio, il sistema operativo Linux, può essere installato in tutti i pc, a prescindere dall’età dell’hardware. Un opensource quindi versatile, rispetto alle leggi di mercato, che spesso obbligano l’utenza a cambiare il pc dopo pochi anni per l’incompatibilità con i nuovi programmi.
Per il gruppo Linfa, questi rimedi sono importanti ma per evitare che restino palliativi, il problema va affrontato in maniera più ampia e profonda. L’insostenibilità informatica deve essere studiata tanto sul piano dell’hardware che su quello del software, adottando modelli che affrontino il problema a monte.
Già dall’ideazione del pc si può progettare la riciclabilità e la sanità/sicurezza del prodotto, sia sul piano dell’hardware sia su quello del software.. Il facile disassemblaggio, i materiali a norma, la minimizzazione dei componenti non recuperabili, la biocompatibilità dei composti chimici, sono passi obbligatori se si vuole perseguire una strategia che annulli l’impatto ambientale.
“La nostra esperienza – afferma Stefano Cieri - in ambito di sostenibilità ci ha insegnato che, per quanto appaiano apparentemente titanici alcuni problemi le soluzioni sono spesso banali. Per ottenere soluzioni sistemiche è obbligatorio operare a monte. Solo così riusciremo ad ottenere dei benefici a cascata. I grandi ostacoli alla sostenibilità sono l’ignoranza e l’inerzia, cioè la difficoltà a modificare l’attuale modello di sviluppo. In definitive cambiare il nostro stile di vita. Ciò non significa debba essere una forma di rinuncia. Esiste il modo di conscepire la sostenibilità come un’implementazione, un miglioramento del nostro modello di sviluppo. Basta capirla e avere ancora la voglia di rimettersi in discussione.
Se ad esempio il computer fosse progettato perché l’utente lo capisse e avesse il coraggio di metterci sopra le mani, (se si rompe), un’infinità di pc diventerebbero rifiuti molto più tardi e probabilmente molte parti sarebbero recuperate dagli utenti stessi perché conviene loro anche economicamente. In questo senso ecologia e economia diventerebbero direttamente proporzionali fra loro.”
Il pc, infatti è uno strumento che non è mai stato progettato in termini di buon senso, di efficacia, più che di efficienza e specialmente non è mai stato studiato per le persone che dovranno usarlo.
Il tema dello sviluppo sostenibile, come ribadisce il gruppo Linfa è adottato nel senso più profondo della parola stessa, senza alcun fraintendimento. Spesso viene considerato come una forma di moralismo sociale, ma per loro è più appropriato ritenerlo un modello di laica responsabilità, in cui sviluppo sociale ed economico non debbano aprioristicamente innescare compromissioni alla quantità e alla qualità del patrimonio naturale del pianeta. E questa logica, prettamente olistica, deve necessariamente abbracciare tutte le attività umane, senza distinzioni. “Oggi più che mai, è di fondamentale importanza – conclude Stefano Cieri – , preoccuparsi molto più della nostra sopravvivenza, piuttosto che favorire modelli di sviluppo legati esclusivamente al profitto, che la mettono in serio pericolo. In definitiva, sviluppo sostenibile, deve diventare nuovamente il principio primo, dal quale l’uomo possa muovere i suoi passi.”

Il sito del gruppo Linfa http://linfa.designunits.com/