Home > Quanto ci costa il clero ?
Si parla, e tanto, della Casta politica. Si attaccano i privilegi dei politici, i conti fuori controllo, i rimborsi elettorali, le auto blu e quanto altro.
C’è però un’altra Casta che forse meriterebbe attenzione.
Curzio Maltese sul sito de La Repubblica parla di quel grande business che è l’otto per mille destinato alla Chiesa e gestito dalla Cei di Ruini fin dal 1990.
E’ in quell’anno, infatti che entra a regime il prelievo diretto sull’Irpef che sfocia nel mare di un miliardo di euro all’anno.
Un’inchiesta di Repubblica ha provato a valutare il costo della chiesa cattolica per gli italiani ma il calcolo "è poco di moda, almeno se paragonato alla politica".
Alla fine, però, ad una cifra, seppur approssimativa, ci si è arrivati: la Chiesa cattolica costa ai contribuenti italiani almeno quanto il ceto politico. Oltre quattro miliardi di euro all’anno, tra finanziamenti diretti dello Stato e degli enti locali e mancato gettito fiscale.
Si comincia dal miliardo di euro dell’otto per mille, si continua con i 650 milioni per gli stipendi dei 22 mila insegnanti dell’ora di religione, per arrivare agli altri 700 milioni versati da Stato ed enti locali per le convenzioni su scuola e sanità.
Poi c’è la voce variabile dei finanziamenti ai Grandi Eventi, dal Giubileo (3500 miliardi di lire) all’ultimo raduno di Loreto (2,5 milioni di euro), per una media annua, nell’ultimo decennio, di 250 milioni.
Di voci ce ne sono ancora molte, dalla forbice fra 400 ai 700 milioni del mancato incasso per l’Ici ai 500 milioni per le esenzioni da Irap, Ires e altre imposte, fino ai 600 milioni per l’elusione fiscale legalizzata del mondo del turismo cattolico, che gestisce ogni anno da e per l’Italia un flusso di quaranta milioni di visitatori e pellegrini.
Il totale fa più o meno quattro miliardi all’anno, ovvero una mezza finanziaria, un Ponte sullo Stretto o un Mose all’anno.
Messaggi
1. Quanto ci costa il clero ? , 30 settembre 2007, 12:34
Siete senpre piu ignoranti!!! Solo ideologie e niente soluzioni, la liberta che professate e solo la vostra!!! Sai che l’otto per mille non è obligatorio? dallo alla chiesa maltese o a chi vuoi tu, e non rompere!!!
1. Quanto ci costa il clero ? , 30 settembre 2007, 12:53
è vero, non è obbligatorio dare l’otto per mille alla chiesa cattolica ma come la mettiamo con tutto il resto caro " ignorante"? ester
2. Quanto ci costa il clero ? , 1 ottobre 2007, 19:18
Gioia mia, informati meglio...poi decidere di non darlo alla chiesa cattolica ed optare per un’altra confessine sempre cristiana (Tipo i simpati amici, gli avventisti del settimo giorno, che sono gli stessi che anni fa ammazzavano i medici che praticavano gli aborti....a modo..grande scelta...), ma nel caso in cui non specifichi la tua preferenza l’85% va comunque alla chiesa cattolica e il resto viene ripartito fra le restanti confessioni aventi diritto....Prima di sparare a zero finisci di leggere le tue fonti!!!!
2. Quanto ci costa il clero ? , 30 settembre 2007, 20:20
da http://www.nonsolotigullio.com/tipidabar/index.php?IDpagina=3310
.....PREDICA DEL VESCOVO
MISTERO DELL’ABOLIZIONE DELLA MANO MORTA
Annunziamo la fatwa su Paolo Cento per la sua seduta spiritica per riportarla in vita, .proprio mentre tutti contempliamo in ritiro spirituale Don Gelmini, lo Ior, Marcinkus, l’Opus Dei e i preti pedofili, e tutte le monache di Monza che in ogni tempo vi furono graditi.
Ricordatevi dei vecchi papi e antipapi, della Santa Inquisizione, delle streghe bruciate vive e di quelle ritornate, femministe che vogliono persino annullare il motivo della violenza sessuale con l’appoggio di Amnesty International, ricordatevi dei danni economici dei mancati matrimoni riparatori ai parrucchieri, ai ristoratori, ai venditori di bomboniere e ai negozi con le liste nozze, della decadenza morale di una coppia di fatto, senza l’imbarazzo della scelta su chi debba fare da testimone.
Padoa rinuncia alla mano morta e ammettici a lucrare ancora sulle messe dei morti, sul turismo spirituale nei conventi, sull’assistenza degli anziani con una ricca pensione, sulle scuole private per proteggere i figli di papà da contaminazioni plebee. Di noi tutti abbi compassione, donaci di aver parte al mondo dell’otto per mille sulle dichiarazioni e insieme con te vedremo il partito promesso.
Per Padoa, nostro santo protettore dell’esenzione Ici sui patrimoni immobiliari
Padoa che hai detto ai tuoi contribuenti un giorno che le entrate erano tante, e il giorno dopo che invece erano poche, fa che per noi sia sempre un giorno di extragettito e per gli altri il giorno di richiamo della Ue e noi permetteremo l’accesso ai confessionali dei tuoi agenti non in borghese ma in abito talare e cediamo il diritto di autore sulla frase "Dimmi figliolo quante volte non hai dato a Dio quel che è di Dio perchè tanto qua non c’è e a Cesare Previti quello che dovevi pagare a Cesare il tuo ultimo dipendente in nero" Padoa guarda la nostra Perpetua e guarda il nostro campanaro in nome della creazione di posti di lavoro, dacci gratis l’acqua per i battesimi e soprattutto abbondante vino Sciacchetrà, per officiare. .
Scambiatevi lo scontrino.
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3. Quanto ci costa il clero ? , 1 ottobre 2007, 11:28
I veri privilegiati sono intoccabili
di OSCAR GIANNINO
Natale 2004. Don Alberto Lorenzelli diventa un bandito. Il Comune di Genova gli intima di pagare 700mila euro per Ici evasa: sull’istituto don Bosco, 870 alunni. In pochi giorni, in mezza Italia è caccia alla tonaca. Per una bislacca sentenza della Cassazione, che ora la sinistra riesuma La polemica sui presunti privilegi fiscali della Chiesa ci rimette così di fronte a un’amara realtà. C’è ancora e sempre qualcuno che preferisce barare e mentire, intorno all’interpretazione delle leggi italiane, pur di soffiare sul fuoco del presunto fantasma del potere clericale. Ma forse è il caso di rinfrescarsi le idee, perché la querelle ha una genesi assai istruttiva. È la Chiesa un soggetto esentato ad hoc dall’Ici in ragione di privilegi arbitrari nei suoi confronti? No, naturalmente, non lo è mai stato. Sin dall’introduzione dell’Ici nel 1992, si stabilì di esentarne alcune classi di fabbricati. Tutti quelli dello Stato, Regioni, Province, Comuni, Asl, ospedali, scuole, musei, biblioteche, Camere di commercio. Poi i fabbricati che nel registro catastale ricadono nella cosiddetta "classe E": cioè stazioni, aeroporti, ponti, posteggi, fari, semafori, nonché edifici di culto di qualunque confessione ripetiamo e sottolineiamo per gli smemorati: qualunque confessione - abbia sottoscritto un’Intesa con lo Stato. Poi le proprietà di Stati esteri, tutti i terreni agricoli e montani. Il legislatore aggiunse poi all’esenzione quella degli enti non commerciali, tutte le organizzazioni e associazioni non a fini di lucro del terzo settore che costituiscono il "privato sociale". Ma solo se gli immobili venivano adibiti a una di otto ben precise finalità: assistenza, previdenza, sanità, formazione, accoglienza, cultura, ricreazione, sport. Sembrava tutto chiaro. Ma, negli anni, nacque un problema interpretativo: come applicare l’esenzione Ici a quegli immobili ecclesiastici se l’ente proprietario lo utilizzava in forma da trarre un qualche provento, sia pure nelle attività comprese tra quelle elencate? Una scuola parificata, per esempio, è un’attività a fini di lucro da tassare o è una scuola da esentare? Un ospizio ecclesiale è da tassare per la retta? I Comuni iniziarono a sbizzarrirsi, ciascuno a suo modo. Roma adottò un criterio estensivo, chiedendo fino a 9 milioni di Ici l’anno alle proprietà ecclesiastiche sospettate di un qualunque provento. Idem dicasi per i criteri abbracciati a Napoli, a Firenze. Dovunque o quasi amministrasse la sinistra, fiorirono interpretazioni anticlericali. Alla fine, si giunse nell’ottobre 2004 a una sentenza della Corte di Cassazione - la 4645 - che si dichiarò a favore del criterio restrittivo. All’esenzione Ici, ostava se una delle attività previste nei criteri generali - sanità, previdenza, formazione, assistenza, eccetera - svolte in un immobile pur di un ente non commerciale, come quelli ecclesiastici, era offerta in forma commerciale. A quel punto, i Comuni si fecero sotto. E per i poveri don Lorenzelli cominciarono i dolori, con miliardi e miliardi di lire di Ici pregressa ingiunti e richiesti a tambur battente dai Comuni rossi agli enti ecclesiastici di mezza Italia. In teoria, i Comuni potevano richiedere Ici arretrato per ben cinque anni addietro. E non se lo fecero dire due volte. Il governo Berlusconi rimediò al pasticcio che si andava spandendo in mezza Italia con un’interpretazione autentica della norma originaria, per la verità in nessun modo equivoca, e la correzione che fece cessare il contenzioso venne varata con la legge 298 del 2 dicembre 2005. Venne così ribadita e disposta l’esenzione per tutte le otto attività elencate e svolte dalle onlus- non solo dalla Chiesa, ripetiamo - a prescindere dalla loro offerta eventualmente commerciale. Ma la polemica covava, tenace come una serpe, sotto la cenere. E Prodi, nella campagna elettorale 2006, si lasciò sfuggire a un certo punto, di fronte alla domanda di un giornale laicista che un tempo aveva sede nella romana piazza Indipendenza, che secondo lui le attività commerciali, quando svolte in immobili ecclesiastici, dovevano automaticamente renderli soggetti a Ici: rendendo con ciò evidente che nemmeno a lui, Prodi, è purtroppo chiaro che l’Ici è un’imposta patrimoniale che grava sul bene, e non sul reddito che attraverso di esso eventualmente si realizza. E dire che passa per economista. In poche ore, il candidato premier di fronte all’esplodere delle polemiche e all’insurrezione di mezza Margherita si rimangiò la dichiarazione. Ma la confusione continuava a regnava. Tanto che, nel presentare l’articolo 39 del decreto legge Visco-Bersani nel luglio 2006, il senatore Ripamonti dei Verdi si disse certo che il testo ripristinava l’Ici sugli immobili ecclesiastici dove si svolgano attività esclusivamente commerciali. Non era così, naturalmente. Il testo non prevedeva affatto ciò che Ripamonti pensava, e la legge continua a prevedere che la contestualità tra fine di culto e uno degli otto fini previsti per l’esenzione configuri piena esenzione. Un’esenzione che, come si è visto, negli otto settori di attività non è mai valsa solo per la Chiesa, ma per tutte le onlus e tutto il privato sociale che noi liberali difendiamo a spada tratta, al di là dei conti col Padre Eterno che ciascuno di noi si fa nel privato della coscienza. Perché il privato sociale è l’unico rimedio ai fallimenti del welfare di Stato, ipercaro, iperburocratico, iperinefficace. Di fronte al fallimento del tentativo parlamentare, nasce l’istanza alla Commissione Europea che la settimana scorsa ha riattizzato la volontà di parti della sinistra italiana di incarcerare preti e suore come evasori incalliti. Al di là dell’ipocrisia evidente, di voler applicare ai rapporti tra Stato e confessioni religiose legate da Intese - non solo quella cattolica, appunto - il diritto della concorrenza, c’è un’ipocrisia ancora più grave. Che la dice lunga, sulla barbarie morale in cui questa polemica rischia di sprofondarci. Possibile mai che tutti accettino come oro colato che i sindacati - i sindacati che non offrono scuole e ospedali, ai loro iscritti né a terzi - non debbano neanche dichiarare nel loro bilancio patrimoniale tutte le migliaia e migliaia gli immobili di cui sono proprietari, e su cui naturalmente non pagano l’Ici, mentre mezza Italia insorge poi in nome della pretesa eccezione clericale? E quale eccezione, se nelle legge della Repubblica il regime preferenziale non c’è mai stato sin dall’inizio? Un Paese in cui al potere e al prepotere sindacale nessuno eccepisce, mentre ci si torna a dividere sul valore sociale di scuole materne, case di riposo, strutture di accoglienza per studenti e lavoratori fuori sede e mense per indigenti sol perché gestite dalla Chiesa, rischia di non essere o diventare un Paese senza Dio. Ma qualcosa di peggio, addirittura. Un Paese in cui l’unico Dio rischia di divenire lo Stato in quanto tale, e innanzitutto le sue presunte e discrezionali articolazioni di parte: i partiti - non pagano l’Ici neppure loro, naturalmente, eppure sfido chiunque adire che esercitino attività che ricadono negli otto settori prescritti - e i sindacati, appunto. Un Paese in cui a godere di privilegi fiscali sono proprio coloro dalle cui mancate risposte derivano i problemi irrisolti che il privato sociale tenta di affrontare in nome della sussidiarietà. Un Paese in cui l’ideologia acceca ancora tanti. Mentre chi crede nella centralità della persona e della famiglia non può che tenere gli occhi ben aperti, per evitare che alla fine i don Lorenzelli diventino banditi, mentre i veri lupi banchettano alle loro spalle.
LIBERO 4 settembre 2007