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Quei vigliacchi che insultano la mamma di Zidane. Speriamo che a Berlino abbia vinto un’Italia diversa

Publie le mercoledì 12 luglio 2006 par Open-Publishing

Riflessioni sulle feste tricolori, che purtroppo, sono state anche po’ volgari

di Rina Gagliardi

Per tutta la notte, fino all’incirca alle cinque del mattino, ho coabitato con il rumore di canti, grida, scoppi di mortaretti, caroselli. Nulla di male, se non il fatto che fossero tutti lì, sotto le mie finestre. Nulla di fastidioso, se non l’iterata bruttezza (musicale e non solo) del nostro canto nazionale (ah, se Craxi, quella volta che voleva mettere il coro del “Nabucco” al posto dell’Inno di Mameli, fosse andato fino in fondo...). Mi ripetevo, la gente ha pure il diritto di sfogarsi, una volta ogni tanto, magari col pretesto del calcio, dei mondiali e dell’identità tricolore miracolosamente riscoperta. Epperò, in quel frastuono c’era una frasetta, un correttino, un refrain che spiccavano su tutto.

Diceva così: «La mamma di Zidane è una puttana». Proprio così. L’avevano cantata, più o meno, un migliaio di volte: in gruppi, in cori, in assoli improvvisi, in una specie di continuo e compiaciuto virtuosismo. Ora, per carità, non vorrei fare del moralismo bacchettone. Non vorrei fare neppure la parte della guastafeste, che non sa apprezzare la Vittoria e non capisce l’esuberanza non da salotto dei nostri ragazzi. Ma quella frase non mi esce dalla testa. Contro una signora algerina, migrante a Marsiglia, che ha avuto il solo torto di partorire un figlio che di calcio ne mastica più dei nostri 24 azzurri messi insieme. Contro una donna, naturalmente. E’ del terzo mondo, e un po’ scura di pelle. Dove abita l’orgoglio nazionale se non in un pizzico di bonaria misoginia di massa? Come si fa se no, a non “caricarsi” di giovanile e atletica soddisfazione?

Ho pensato - ecco - che in questa modalità (da branco) di lanciare insulti senza colpo ferire, a colpo sicuro e senza conseguenze, c’è anche un po’ di vigliaccheria. Se ci fosse stato lì, tra un vicolo e l’altro di Trastevere, l’ottimo Zizou, e se ciascuno dei nostri ragazzi in festa avesse trovato il coraggio di apostrofarlo così, in un confronto singolo e diretto («Tua madre è una puttana»), almeno l’etica (sia pure eroico-muscolare) sarebbe stata un minimo ristabilita. Certo, Zizou non l’avrebbe fatta passar liscia a nessuno - proprio come non l’ha fatta passar liscia a Materazzi. Certo, le testate di Zizou non sono neanche loro elegantissime - ma, si può dire sommessamente che un figlio delle banlieues ha una dignità da difendere che vale, perfino, la perdita di un titolo mondiale?

Hanno scritto tutti i giornali che il calcio è, né più né meno, che una metafora del paese, del suo ventre profondo. Ahimé, speriamo che quella che ha vinto a Berlino non sia l’Italia della retorica, quella di cui siamo stati sommersi a tonnellate, e della violenza gratuita, quella che, oltre le parole, ha lasciato sul campo tre morti, troppi feriti e troppe devastazioni. Speriamo che non sia, né clacisticamente né spiritualmente, un’Italietta.

P. S. A proposito l’ultima sortita di tal Calderoli, che sarebbe niente meno che vice presidente del Senato, conferma che siamo oltre tutti i limiti della decenza. Le sue parole, ha definito la squadra transalpina una compagine dove sono stati schierati «negri, islamici e comunisti», lasciano senza fiato. Non ci resta che dire: Francia, scusaci.

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