Home > Quel patrimonio da ridistribuire
di Loris Campetti
L’evasione fiscale è una risorsa dei ricchi che ai lavoratori dipendenti non è accessibile, con il risultato odioso che dall’analisi delle dichiarazioni dei redditi i ricchi risultano più poveri dei veri poveracci. Cornuti e mazziati, come dicono i napoletani. Scopriamo ogni anno - e ogni anno ipocritamente ci stupiamo e ci indigniamo per qualche giorno - che un imprenditore può dichiarare al fisco un reddito inferiore a quello di un operaio metalmeccanico. Ieri la Fillea Cgil ha nuovamente denunciato l’altissima evasione fiscale nell’edilizia con tutto quel che comporta, non solo da un punto di vista morale: lavoro nero e irregolare, elusione delle norme sulla sicurezza, infortuni sul lavoro: «Delle centinaia di migliaia di Documenti unici di regolarità contributiva - denuncia la Fillea - acquisiti dai comuni per lavori privati, solo lo 0,01% vengono controllati nella loro correttezza e congruità».
Ma la rottura di qualsivoglia patto sociale è prodotta ancor prima da un altro elemento «strutturale»: una grande ricchezza è accumulata nelle mani di pochi, e quando non è imboscata è sicuramente sottotassata. E siccome i soldi da qualche parte lo stato deve pur prenderli, finisce che va a mettere le mani, come sempre, nelle tasche dei soliti noti.
In Italia sono stati registrati - lo ripetiamo a costo di diventare noiosi - 712 mila miliardari, o super-ricchi, o paperoni che dir si voglia. Il loro patrimonio, esclusi gli immobili, cresce di anno in anno (+ 4,3% dal 2005) e ha raggiunto la cifra iperbolica di 820 miliardi di euro, 1 milione e 600 mila miliardi di vecchie lire, equivalente a molte Finanziarie. Il 98% di questi «fortunati» possiede tra mezzo e cinque milioni di euro, il 2% tra i 5 e i 50 e lo 0,1% ha un patrimonio (sempre immobili esclusi) superiore a 50 milioni di euro. I dati provengono da una ricerca commissionata dall’Università cattolica all’Associazione italiana private banking. Il portafogli di questi paperoni è composto per il 41% di titoli privati, per il 19% di quote di fondi comuni, per l’8% di azioni quotate, per il 15% di gestioni patrimoniali e via investendo. Robette che non sono tenuti a mettere nella dichiarazione dei redditi, essendo tassate alla fonte. Quanto viene tassata questa ricchezza? Qualcosa come il 12,5%. Non stupisce quindi che per il fisco i ricchi che dispongono di un patrimonio superiore ai 200 mila euro risultano essere soltanto 55.733. Quattro gatti.
Non stupisce, indigna. Ma ci si può fermare all’indignazione?
E’ notizia di questi giorni che il presidente e amministratore delegato dell’Alitalia, Giancarlo Cimoli, stia trattando una liquidazione di 8 milioni di euro, come premio per aver contribuito al disastro della nostra compagnia di bandiera, che mentre accumulava debiti e scaricava la crisi sul personale pagava il suo capo 1 milione, 523 mila euro negli otto mesi di lavoro tra il 6 maggio e il 31 dicembre del 2004. Al presidente e amministratore delegato delle Ferrovie dello stato, Elio Catania, è andata anche meglio avendo intascato una liquidazione di 9 milioni di euro. Tranquilli, i soldi si troveranno da un’altra parte: è notizia di ieri che la Finanziaria calerà la mannaia sulla scuola, con un taglio previsto del 6% attraverso una riduzione degli organici, l’eliminazione degli insegnanti di sostegno, la non regolarizzazione dei precari e l’aumento del numero di alunni per classe.
La proposta del ministro Paolo Ferrero di riportare al 45% l’aliquota per i redditi superiori a 70 mila euro, che il governo Berlusconi aveva ridotto al 39%, non è che una goccia d’acqua pulita nel mare inquinato dell’ingiustizia italiana. Finché non si costruirà un gigantesco depuratore e non si comincerà a far pagare di più a chi ha di più e a portare un po’ di moralità nella gestione della cosa pubblica, la qualità dell’acqua in cui nuotiamo non cambierà. Anche se è cambiato il governo.
il manifesto 27/9/06