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Questa finanziaria e’ come un sacco vuoto
Publie le lunedì 3 ottobre 2005 par Open-Publishing1 commento
QUESTA FINANZIARIA E’ COME UN SACCO VUOTO
di Marco c.
La prima impressione che si prova nel leggere il testo integrale del disegno di legge finanziaria presentato durante questi giorni al parlamento è quella di trovarsi dinanzi ad una costruzione la quale tenta di presentarsi come un progetto architettonico omogeneo e coerente, ma in realtà finisce per rivelarsi solamente un mero artificio volto a nascondere lo stato di assoluta inanità del governo, impossibilitato a raschiare per l’ennesima volta il fondo di un barile la cui base è ormai stata erosa da tempo.
Pur guardandosi bene dal volere assumere toni da cassandra e dal cadere nella facile demagogia in virtù della quale tutto ciò che viene esperito dal governo Berlusconi è per forza di cose negativo e riprovevole, non si riesce comunque a comprendere, anche facendo ausilio a massicce dosi di fantasia, come lo stentoreo incedere dei 60 articoli dei quali il disegno si compone, potrebbe magicamente preludere alla più volte vagheggiata ripresa economica del nostro paese.
L’unico dato certo ed incontrovertibile è rappresentato dallo stanziamento degli 11,5 miliardi di euro necessari ( e probabilmente non sufficienti) a riportare il rapporto deficit/ pil all’interno dei margini concordati con l’Unione Europea.
Tutto il resto della manovra è permeato da una sensazione di vaghezza, con ampio ricorso a situazioni estemporanee, difficilmente in grado di ottenere risultati di sorta.
Sia nell’ottica del reperimento delle risorse, sia in quella della destinazione delle stesse, emerge dal testo, quasi a livello epidermico, l’assoluta mancanza d’idee e la scarsa volontà d’impostare qualsivoglia strategia in grado d’incidere significativamente sulla drammatica situazione nella quale versa il paese.
Ma entriamo nel merito dei tratti salienti del disegno, per quanto molti di essi siano ad oggi solo tratteggiati e probabili oggetto di successive modificazioni, integrazioni e specificazioni.
Senza dubbio uno dei punti più controversi della manovra è costituito dal taglio di quasi 7 punti percentuali, della spesa corrente degli enti locali. Si tratta di una enorme sottrazione di risorse nei confronti di comuni, province e regioni, di fronte alla quale molti amministratori stanno protestando con veemenza, mentre il governo si difende assicurando che codesti tagli non influiranno sulla qualità dei servizi offerti al cittadino.
In realtà pare evidente il fatto che finirà per ricadere sulle economie delle famiglie italiane, già asfittiche ed in gravissima crisi, se non tutto almeno buona parte del peso di questa sforbiciata.
La ricaduta si manifesterà nel tempo sia sotto forma di un incremento di disservizi pubblici, sia sotto forma di aumenti nelle aliquote delle tasse pagate dai cittadini, nei confronti di quegli enti locali che saranno alla spasmodica ricerca di denaro per i loro bilanci.
Molto interessante risulta anche notare come il governo abbia inteso bloccare in quasi tutti i settori della pubblica amministrazione le assunzioni a tempo indeterminato, facendo altresì ampio ricorso ai contratti a tempo determinato, che ovviamente offrono prospettive notevolmente più scarse sia dal punto di vista occupazionale che da quello della remuneratività.
Ho scritto quasi, poiché in realtà esiste un’eccezione, sia per quanto concerne la possibilità di nuovi contratti a tempo indeterminato (ne sono previsti almeno7000) sia per quanto concerne l’assoluta impermeabilità del settore ad ogni politica di riduzione della spesa e si tratta dell’ordine pubblico e della difesa.
Continuando ad agitare lo spauracchio della catastrofica minaccia terroristica, tanto caro al ministro Pisanu, s’intende in questa finanziaria imporre una politica di risparmio e sacrificio ad ogni comparto della pubblica amministrazione, incrementando invece gli investimenti in uomini e mezzi da destinare alle forze dell’ordine e all’esercito. In questo stesso ordine d’idee s’inserisce anche il sontuoso rifinanziamento delle molteplici operazioni di pace keeping o illegale occupazione del suolo straniero (fate voi) che i militari italiani gestiscono in varie parti del mondo (Iraq compreso).
Non convince neppure l’addizionale a carico delle grande reti di trasmissioni dell’energia, attraverso la quale il governo spera di ricavare quasi 1 miliardo di euro.
Non convince poiché appare chiara la sua inevitabile ricaduta su coloro che questa energia la consumano, cioè cittadini e le imprese che si troveranno inevitabilmente a farsi carico di questo esborso attraverso un rincaro delle bollette.
Altrettanto negativo per i bilanci famigliari risulta “l’aggiornamento” (traducendo dal politichese l’aumento) delle sanzioni civili amministrative e penali pecuniarie dal quale è previsto un ricavo di almeno 100 milioni di euro.
Fantasioso ed assolutamente nebuloso nel merito della maniera con la quale s’intende procedere alla sua attuazione, risulta il capitolo dedicato ai proventi derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.
Leggendolo si finisce per apprezzare solamente piccole variazioni in burocratese all’uno o all’altro comma e si acquisisce la consapevolezza che molto probabilmente il tutto si tradurrà nell’ennesimo condono, utile a dare una boccata d’ossigeno alle finanze dello stato e ad arricchire la legittimità dei grandi evasori fiscali.
Dopo questa breve analisi di alcuni strumenti attraverso i quali il governo intende reperire i fondi e le perplessità sopra esposte, tentiamo ora di esperire dal testo del disegno di legge finanziaria le modalità attraverso le quali s’intende risollevare le sorti dell’economia, aumentare il potere d’acquisto delle famiglie e restituire competitività alle imprese, un punto fondamentale se realmente si vuole tentare di uscire dalla profonda crisi nella quale il nostro paese si è invorticato e che rischia di pregiudicare gravemente l’immediato futuro di tutti noi.
A questo proposito non si riesce registrare altro che il vuoto assoluto. Manca ogni sorta d’idea in grado d’incidere anche solo marginalmente sul problema, mancano le coperture finanziarie per mettere in atto un’eventuale idea seria che si fosse riscontrata, manca perfino la fantasia indispensabile per immaginare qualcosa di diverso.
Le proposte che si ventilano sono tentativi estremamente puerili aventi il solo scopo di ottenere qualche risultato nell’immaginario collettivo degli elettori, non certo di creare qualche sia pur minimo riscontro nella realtà delle cose.
Accantonato definitivamente (perlomeno fino a quando non sarà l’Europa ad imporcelo) il più volte ventilato taglio dell’Irap per le imprese, oggetto d’innumerevoli dibattiti televisivi e non, il governo ha deciso di operare una riduzione del cuneo contributivo attraverso un taglio dell’1% dei contributi sociali delle imprese, intendendo in questo modo migliorare la competitività delle stesse.
Lascio a voi che leggete il giudizio su quanto tale provvedimento possa incidere sui problemi di competitività che affliggono l’imprenditoria italiana, ma ritengo sia l’equivalente di fingersi in procinto di svuotare il mare adriatico con l’ausilio di un setaccio.
Ancora più ridicolo e permeato di falsa utopia appare l’approccio con la perdita di potere di acquisto delle famiglie ed il conseguente calo dei consumi.
Si ventila un assegno per ogni secondo figlio od ulteriore, nato a partire da gennaio 2005, prescindendo dal quantificare l’entità del medesimo.
La ricaduta di un simile provvedimento, oltre ad essere minimale ed ovviamente legata all’importo dell’eventuale bonus, finirebbe se attuata per favorire una sola parte della popolazione e non necessariamente quella più disagiata.
Aiuterebbe solo le coppie con due o più figli mentre non prenderebbe in considerazione l’enorme quantità di giovani e meno giovani senza lavoro o con un lavoro precario, i quali non riescono neppure ad avere un reddito minimo che consenta loro di uscire dalla famiglia d’origine al fine di crearsene una propria, nonché tutti i single che faticano oltremisura per mantenersi dignitosamente con uno stipendio eroso ogni giorno di più, per non parlare di tutte quelle famiglie che al secondo figlio hanno dovuto rinunciare (e certo non sarà questo assegno a permettere loro di cambiare idea) in quanto si trovano in estrema difficoltà nel mantenere il primo.
Si legge di una somma aggiuntiva di 535 euro a favore dei soggetti disagiati, intendendo per soggetti disagiati quella estremamente esigua fascia di persone che già percepisce un minimo sussidio.
Mi astengo da ogni osservazione sulla valenza oggettiva dei 535 euro, limitandomi ad osservare come anche questo punto sia ben lontano dall’influire sul problema del potere d’acquisto delle famiglie.
Si ventila un 5 per mille d’indennizzo per i risparmiatori oggetto dei grandi crack finanziari del paese. Nulla da eccepire sul valore simbolico di un simile gesto, che però resta nell’ambito della simbologia, nonché in quello della sperequazione sociale, in quanto per quale arcana ragione chi ha perso i propri risparmi in un grande fallimento stile Cirio avrà diritto a un qualche risarcimento da parte dello stato, mentre di contralto chi li ha persi in altri crack aventi avuto meno risonanza mediatica di questo diritto sarà privato?
Dell’ipotesi di aumento a 600 euro delle pensioni minime, come dell’eventualità di un finanziamento statale dei libri di testo abbiamo avuto notizia dalle interviste dei vari soggetti politici, nell’ambito del circo mediatico dell’informazione, all’interno del quale proposte ed idee a favore delle famiglie italiane nascono e muoiono in una dissolvenza, senza durare molte volte più di 24 ore.
Molte ipotesi a questo riguardo ci accompagneranno probabilmente nei prossimi mesi fino alla fine dell’anno, ma l’unica vera sensazione che mi pervade è quella di trovarmi dinanzi ad un sacco vuoto, vuoto d’idee e di contenuti, all’interno del quale pur continuando a frugare non si riesce a trovare neppure la speranza.
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1. > Questa finanziaria e’ come un sacco vuoto, 4 ottobre 2005, 18:55
Eurispes, con i tagli della Finanziaria
tasse comunali in rialzo fino al 10,6%
E’ il Molise la regione più a rischio, seguita dalla Calabria
ROMA - Se vorranno mantenere lo stesso livello di servizi, i comuni del Mezzogiorno e del Centro dovranno aumentare il prelievo fiscale rispettivamente dell’8,6 e del 6,5 per cento. In Molise e Calabria ci sono le situazioni più a rischio inasprimento, con il 10,6 e il 10,2 per cento. Mentre il Piemonte risulta l’unica regione del Nord ad essere sopra la media italiana (6,1 per cento) dell’incremento potenziale della pressione fiscale locale. E’ quanto emerge dall’analisi condotta dall’Osservatorio Eurispes sul Federalismo diretto da Raffaele Rio.
L’incremento calcolato, naturalmente, risulta potenziale perchè i Comuni potrebbero intraprendere altre strade: il taglio dei servizi, la vendita di beni, oppure operazioni per il finanziamento del debito.
Il taglio dei servizi sociali risulta certamente la strada più penalizzante per i cittadini: "Le autonomie locali dovranno dimostrare di essere in grado di gestire il finanziamento delle proprie politiche sociali altrimenti si rischia di alimentare un welfare locale a due velocità", ha detto infatti il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara.
Sulla base della bozza della Finanziaria 2006 ancora in discussione in queste ore, osserva l’Eurispes, il risparmio "forzato", ai fini della realizzazione degli obiettivi della finanza pubblica per l’anno prossimo, dovrebbe interessare le spese correnti degli enti locali, ad esclusione delle spese per il personale e le spese sociali, che potrebbero subire un taglio del 6,7%.
Secondo i calcoli dell’istituto, ammonta a quasi 1.400 milioni di euro il taglio del 6,7 per cento su parte delle spese correnti delle amministrazioni comunali delle regioni a statuto ordinario previsto dal disegno di legge finanziaria approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 29 settembre. Un "risparmio forzato" ottenuto dalle spese correnti di ogni singola regione al netto della spesa sociale e della spesa per il personale.
Nelle regioni del Nord è concentrato il maggior "risparmio forzato" pari a 673 milioni di euro, seguito dal centro con 362 milioni di euro e dal Sud con 335 milioni di euro.
"Le nostre analisi - fa notare Gian Maria Fara - hanno messo in evidenza, più volte, che le spese per il welfare locale sono maggiori in quei comuni, principalmente nelle aree del Nord, dove maggiore è l’autonomia finanziaria e la pressione tributaria. Sono, quindi, principalmente le tasse locali a finanziare in maniera cospicua la spesa sociale degli enti locali. La scommessa, quindi, di fronte alla tendenza di un ridimensionamento della spesa corrente degli enti locali che, potrebbe penalizzare le politiche di welfare, è quella di fare della spesa sociale a livello locale un punto di forza in grado di stimolare forme di partecipazione attiva dei cittadini, per contrastare tanto le tendenze verso un neo-centralismo, quanto quelle verso un federalismo irresponsabile ed iniquo".
Dall’analisi dei dati emerge inoltre che a subire il maggiore contraccolpo, in termini di incremento delle entrate tributarie, sarebbero le amministrazioni comunali delle regioni del Mezzogiorno (8,6 per cento), le quali godono di una minore autonomia finanziaria e impositiva. A seguire gli Enti comunali del Centro con un più 6,5 per cento e del Nord con un aumento del 5,9 per cento.
Di contro, si ipotizza una minore pressione fiscale soprattutto nei comuni delle regioni del Nord che presentano maggiori livelli di autonomia. Valori al di sotto della media delle regioni a statuto ordinario (6,6 per cento) si registrano, infatti, in Emilia Romagna, in cui si prevede un aumento del gettito fiscale pari al 4,4 per cento, in Lombardia, con un incremento potenziale dell’imposizione pari al 5,4 per cento e a seguire: Liguria e Veneto (5,6 per cento) e Toscana (5,9 per cento).
(4 ottobre 2005) www.repubblica.it