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Questione morale: chi è coinvolto se ne deve andare

Publie le giovedì 11 dicembre 2008 par Open-Publishing

Questione morale: chi è coinvolto se ne deve andare

di Gianluigi Pegolo, responsabile area Democrazia e istituzioni

La questione morale si riaffaccia sulla scena politica. Le vicende dell’Abruzzo prima, poi della Calabria ed ora di Napoli e della Campania, oltre che di Firenze, pongono problemi di ordine etico ma anche politico. Bene ha fatto il Presidente della Repubblica a porre l’attenzione sulla questione morale a Napoli, ma tale questione ormai travalica i confini del meridione e torna ad essere una questione nazionale. Quello che allarma, però, è che nella successione degli avvenimenti ad essere interessati sono tutti governi locali in cui il Pd e il centro-sinistra governano da anni. Sappiamo bene che il centro-destra ha accumulato procedimenti giudiziari a iosa nelle sue esperienze di governo locali, ma ciò non toglie nulla alla gravità di una crisi di credibilità che viene a colpire le componenti moderate del centro-sinistra.

A scorrere i capi di imputazione che si abbattono su amministratori autorevoli del Pd, sorge spontanea una constatazione. Il tempo del buon governo, e cioè di quella pratica che abbinava trasparenza a rigore nelle scelte amministrative a un’attenzione particolare alla tutela delle fasce sociali più deboli, è ormai finito. La pratica amministrativa si fonda ormai, in numerosi enti locali, su un consenso raccolto fra i poteri forti, siano essi gestori della sanità privata, o grandi immobiliaristi o strutture di servizio che coinvolgono soggetti privati. L’illecito è spesso il corollario di una politica in cui la cessione di beni o funzioni pubblici è la merce di scambio per il consolidamento di reti di relazioni, appoggi politici e sostegni elettorali.

Non solo, queste pratiche - non sempre necessariamente illecite, anche se in generale politicamente e socialmente molto discutibili - sono talmente consuete da divenire senso comune. Può sorprendere che un amministratore sul cui capo pendono avvisi di garanzia non senta nemmeno la necessità, cautelativamente, di fare un passo indietro dalla competizione alle primarie, ma è così. Vale oggi per Firenze, ma ieri è valso per la regione Abruzzo. Spesso sono gli organi dirigenti del partito che per salvare il salvabile debbono imporsi, non senza fatica, anche perché alcuni amministratori eccellenti non solo controllano pacchetti ragguardevoli di voti, ma perché costituiscono nelle rispettive organizzazioni politiche veri centri di potere.

La questione morale, quindi, non si esaurisce nella presenza di alcune mele marce, ma investe un’intera classe politica che in questi anni ha consapevolmente mutato indirizzi politici e amministrativi nei governi locali. Dietro la tanto celebrata governance, e cioè un sistema di gestione in cui il pubblico fa un passo indietro per lasciare il posto ad un processo decisionale fondato sulla componibilità degli interessi in campo, vi è stata in realtà la rinuncia a svolgere un ruolo forte di programmazione e gestione in nome della centralità degli interessi privati.

Che, una volta assunta questa impostazione, si affermassero pratiche disinvolte nelle relazioni pubblico-privato, al limite dell’illecito, era nelle cose. La sinistra di alternativa non è stata in grado di opporsi, benché più volte abbia denunciato questo stato di cose. Non disponeva di rapporti di forza adeguati, ma in questa sua impotenza non è stata priva di conseguenze la rincorsa ai ruoli di governo a prescindere, che ha oggettivamente allentato quel controllo sulle pratiche di governo che è una condizione essenziale per impedire l’affermarsi dell’arbitrio e dell’illecito. Ora, di fronte al terremoto che tocca alcune importanti amministrazioni locali, occorre un segnale esplicito di discontinuità. Sarebbe ben curioso che l’ultima parola, nel bene e nel male, dovesse dirla chi - come il Pd - porta la massima responsabilità per ciò che sta accadendo. Occorre allora affermare un principio, tanto semplice quanto banale: gli amministratori coinvolti negli scandali devono andarsene e nei casi in cui il fenomeno assuma un peso tale da delegittimare complessivamente l’azione di governo, occorre sciogliere i consigli e tornare a votare.