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RAIMEDIASET: LA SORELLA DEL GRANDE FRATELLO
Publie le giovedì 22 novembre 2007 par Open-Publishing2 commenti
C’è indubbia differenza fra le sensazioni pur diffuse e le prove d’un’indagine giudiziaria, perciò da più parti s’afferma che le rivelazioni d’un noto quotidiano sullo scambio di palinsesti e non solo fra Rai e Mediaset sia corretto farle solo ora che alcuni magistrati milanesi indagano sulla questione. A tanti italiani, afflitti quotidianamente dal Grande Fratello che ne riempie i giorni, la vicenda appare come il segreto di Pulcinella. In fondo tutti conoscevano se non i curricula certo le prossimità politiche di persone come Debora Bergamini esperta in marketing, Flavio Cattaneo direttore generale, Agostino Saccà direttore pure lui, Alfredo Meocci vedi sopra, Antonio Marano direttore di rete, Fabrizio Del Noce altro direttore di rete, Clemente Mimun confezionatore di ‘panini’, Bruno Vespa ciambellano per tutte le stagioni della politica. E vi risparmiamo certi replicanti da tiggì.
Nulla di nuovo. Anche perché noi, che pur non amiamo il cerchiobottismo, non possiamo dimenticare quale terreno di saccheggio sia stata la tivù di Stato, dal doroteismo al socialismo soprattutto craxiano sino al consociativismo che premiava lo stesso Pci. In quella Rai il giornalista doveva giocoforza avere il partito di riferimento. Tutti uguali dunque? In fatto di lottizzazione purtroppo sì. Chi volesse o vorrà purificare l’aria – dal Pd veltroniano alla Cosa Rossa – dovrebbe o dovrà diffondere anticorpi contro tale sistema che per ora non si vedono all’orizzonte neppure negli organi di questi partiti. Certo mettere le mani su un servizio che si dice ancora pubblico pur comportandosi da azienda privata – prendiamo l’esempio della pretesa del canone mantenuto nonostante la trasbordante pubblicità – non è cosa semplice e nessun buon governo l’ha voluta mai trattare.
Il “chiagn ‘e fotti” che i pretoriani del Cavaliere hanno comunque innestato sulla vicenda, sostenendo che sia “la solita sterile strumentalizzazione comunista” sa di propaganda talmente avariata cui neppure il più intossicato spettatore dei pacchi serali crede più. Quel che risulta grave è che la tossicità del sistema dei palinsesti, l’omologazione al brodo rancido servito ogni giorno per anni produce quella condizione cirrotica dell’utente tivù cui neppure il buon piatto giornalistico della meritevole – e non si sa per quanto tollerata – Gabanelli può porre riparo. Anzi. Il guasto al palato televisivo, alla credibilità delle cose, alla distinzione fra realtà e finzione, è stato servito allo spettatore onnivoro ben prima che la Rai si mediasetizzasse. Ci pensava un benpagato dal Cavaliere, il signor Ricci, l’autore-plagiatore di tanti programmini di grande audience di Canale 5 ad avvelenare piano piano. Copiando dalla tivù americana e rivendendo per strabilianti novità patacche già dai primi anni Ottanta.
La summa di tutte le truffe che svilisce la funzione dell’informazione, la riduce in scherzetto idiota, la trasforma in farsa mescolando serio e faceto con lo scopo di creare un magmatico Blob era ed è la celebrata “Striscia la notizia”. Che in molti casi fa anche informazione e, se da una parte la scioglie da inamidature incongrue, può anche creare quei falsi scoop che non fanno bene al ruolo e alla deontologia del giornalismo. Ma non si tratta d’una rinnovata lezione alla Orson Welles perché non dimostra nulla, confonde mirabilmente acque torbide e possibilmente trasparenti, scredita l’informazione disorientando la comprensione. “Possibile? - dicono in molti - non siamo mica scemi?” Scemi magari no però assuefatti si diventa. Per mesi e anni i telespettatori si sono ritrovati con la bella compagnia oggi discussa, accadeva anche prima del 2005. Prima dell’editto bulgaro contro Enzo Biagi e gli ostracismi ai Luttazzi e Santoro.
Accadeva anche coi governi Prodi uno e D’Alema quando di conflitto d’interessi si faceva solo finta di discutere. Certamente non si faceva nulla per risolverlo. Auguriamoci ancora una volta che la magistratura possa lavorare senza finire come De Magistris o Forleo, auguriamoci che un moto di responsabilità scuota la categoria giornalistica che in troppi casi si comporta come corporazione, per giunta servile. Ma l’augurio maggiore - e non vorremo utopico – è che il realismo politico non trasformi i prossimi incontri Veltroni-Berlusconi in quel compromesso mai morto che economicamente avvicina centrodestra e centrosinistra, con l’unico distinguo che riguarda solo l’occupazione delle poltrone di comando con tanto di fedelissimi piazzati nei posti nevralgici della comunicazione di Raimediaset. Certi metodi restano vergognosi a Destra come a Sinistra.
Enrico Campofreda, 22 novembre 2007 pubblicato su Alternativ@mente.info
Messaggi
1. RAIMEDIASET: LA SORELLA DEL GRANDE FRATELLO, 23 novembre 2007, 09:28
In Turchia, che non è certo un modello di democrazia, ci sono ben venti reti nazionali in parte pubbliche ed in parte private !! In Italia solo sette !! Se è così un motivo ci deve pur essere !!
Il monopolio , mascherato da duopolio, in realtà fa comodo alla casta ed agli altri poteri forti, che così possono mantenere più facilmente il controllo sull’informazione e manipolarla a loro piacimento.
Nessuno parla di aumentare il numero delle reti e delle frequenza e, non a caso, stanno vergognosamente frenando sul digitale terrestre, che consentirebbe una facilissima proliferazione di reti a copertura nazionale.
Ai vari governi di turno non gliene può fregare di meno del pluralismo dell’informazione e la loro principale preoccupazione è quella di mettere le mani sul duopolio e cercare, se possibile, di ridurre sempre più i giornalisti a velinari e portavoce dei partiti e loro correnti e sottocorrenti.
Per tutti i regimi autoritari, come ormai è già diventato il nostro, è fondamentale costringere in una morsa d’acciaio tutti gli operatori dell’informazione, selezionandoli in base alla loro appartenenza politica e facendo salire di livello negli organigrammi dei giornali e delle TV solo quelli più proni al potere e più disponibili a pilotare l’opinione pubblica secondo le convenienze e gli interessi dei loro referenti politici.
Così operando, per passare da un regime solo "autoritario" ad uno propriamente "totalitario" non ci vuole niente !!!!!
MaxVinella
1. RAIMEDIASET: LA SORELLA DEL GRANDE FRATELLO, 27 novembre 2007, 11:31
«Lo sapevo, quindi non so»
Alessandro Robecchi
Pasolini diceva «io so», era rivoluzionario. L’Italia di oggi, praticamente in coro, dice «lo sapevo», ed echeggia come un suono fesso. Il caso Rai-Mediaset è soltanto l’ultimo in cui il «si sapeva» è risuonato tonante e potente. E si sapeva sì! Se scompare Enzo Biagi e al suo posto arrivano Max e Tux, chi poteva non vedere, non capire? Naturalmente il «si sapeva» ha una sua straordinaria peculiarità: assolve in qualche modo ciò che si sapeva, anestetizza il fatto. Se lo conoscevi già, e ci vivevi in mezzo, e sei qui a raccontarlo e a dire «si sapeva», vuol dire che non era così grave. E poi, cose del passato: l’imperfetto non mente. Michele Serra si è giustamente augurato che gli anticorpi arrivino durante la malattia, non dopo, a fare gli spiritosi e a dire «lo sapevo». Però.
Però è un fatto che quando gli anticorpi arrivano puntuali, quando qualcuno si agita un po’ e dice «io so», invece di dire dopo «lo sapevo», viene trattato come un mezzo matto. Chi dice «io so» in tempo reale è sempre minoranza, o trattato come un rompicoglioni. Qui si parla di infedeltà aziendali e asservimenti politici, ed è grave. Ma rallegriamoci: ci sono cose ancor più gravi su cui pochi oggi dicono «io so» e molto domani diranno «lo sapevo». Le future pensioni dei lavoratori instabili saranno da fame. Io lo so. Lo sanno anche gli economisti, che cominciano a valutare le curve dei consumi di una categoria a venire, già prevista dalle statistiche, quella dei pensionati poveri. Dire «lo sapevo» tra dieci o vent’anni sarà soltanto una beffa in più. Eppure la sensazione è che chi dice «io so» prima, o durante, passa sempre per incendiario, ideologico, guastafeste e provocatore. Insomma, un irrequieto che disturba il manovratore. Lo stesso manovratore che tra qualche anno dirà «lo sapevo». Proprio come succede oggi con il naufragio del maggioritario e del bipolarismo.
Da "Il Manifesto" 25.11.07