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7/1/2007 (9:12) - LA STORIA: BANDITO GENTILE PER I POVERI DELLE FAVELAS
La leggenda del buon rapinatore. Un orfanotrofio in Brasile con il bottino dei colpi
PIERANGELO SAPEGNO
Questo bandito sembra venuto fuori da una vecchia canzone, in un’altra nottata al bar dello Stingaree pieno di fumo e di rumore, in qualche palude del Mississippi. Invece, siamo sulle rive del Po e Luigi Rotterdam viene da Gravellona Toce, sotto le montagne, dove l’ex sindaco Erminio Guida se lo ricorda perché tanti anni fa gli parlavano di lui: «Questo è uno da tenerne conto, mi dicevano, uno molto deciso che sa quello che vuole e non ha paura di niente. Mi raccontavano che era uno bravo che aveva del coraggio da vendere». Il suo coraggio, Luigi Rotterdam lo buttò in una rapina che aveva 17 anni, e da allora non s’è più fermato. E’ finito in carcere, è uscito, e ha continuato. Molti colpi li ha fatti senza armi e a volto scoperto, come se non gli importasse di quello che faceva. Portava sempre lo stesso anello al dito, con la stella di David, come in una canzone. Sovente, faceva da solo, come John Lee Hooker che cantava Don’t Trust Nobody, «non credere a nessuno. E io non mi fido di nessuno». L’ultima volta è fuggito a febbraio del 2006 da una casa di lavoro a Modena dove era sottoposto a sorveglianza speciale. Dopo un’altra rapina i carabinieri l’hanno ripreso. Lui ha detto che era stanco di questa vita. Che adesso voleva pensare solo ai suoi bambini. Aveva fondato un orafonotrofio, in Brasile.
I soldi delle rapine li metteva lì. Così disse. Quando l’hanno sentito, i carabinieri di Piacenza, che sono quelli che l’avevano preso, sono rimasti un po’ increduli. Però, da qualche pedinamento è saltata fuori la foto dell’istituto. E ci sono anche le matrici degli assegni. Sarebbe tutto vero, incredibile ma vero, un bandito come i Blues Brothers, o come il personaggio di una canzone folk. Perché l’abbia fatto, nessuno l’ha capito e i carabinieri dicono che lui non vuole parlarne. Oggi che è dietro le sbarre, il suo tempo potrebbe essersi fermato. Fino a ieri non è che abbia aspettato molto. Luigi Rotterdam ha 58 anni, e 41 di questi li ha passati collezionando colpi in quasi tutta l’Italia del Centro Nord: Verona, Milano, Padova, Firenze, Pisa, Modena, Prato, Pistoia, Lucca, Grosseto, Siena, Udine. L’ultima, a Carpaneto, in provincia di Piacenza. A Gravellona Toce l’hanno perso di vista da tanti anni. Raccontano di lui che da giovane era un tipo «molto determinato, di una prontezza non indifferente». Vivace e veloce. Viene da «una famiglia normale», come spiega ancora Erminio Guida, «non disagiata». Piccolo borghese. Aveva qualche amico, «non s’interessava di politica. Aveva i modi e la testa di un militare».
Durante una rapina a Padova chiese all’impiegato se le banconote erano segnate. Quello rispose di no, mentendo. Lui se ne accorse, e due giorni dopo tornò per un altro colpo. Ma questa volta chiese anche la carta d’identità dell’impiegato: «Se mi mente di nuovo la vengo a cercare». In un’altra rapina rincuorò le vittime: «State aiutando dei bambini poveri. Vi ringrazio da parte loro». Alla fine la sua corsa s’è fermata sul tenente dei carabinieri Rocco Papaleo. Il tenente è uno che fa il suo lavoro. A lui non interessa come vive Luigi Rotterdam quando non commette reati. Ha visto la foto dell’istituto a San Paolo in Brasile, e ha visto le matrici dei versamenti. Tutto vero, bene. Però, il tipo ha fatto una rapina dalle sue parti, alla Cassa di Risparmio di Carpaneto. Novemila euro. E quello era un reato. Un impiegato ha raccontato che il bandito aveva un grosso anello con la stella di David al dito. Allora, il suo maresciallo gli ha sussurrato: «Cristo, lo conosco. E’ Luigi Rotterdam». C’era un fascicolo grosso così su di lui: 41 anni di rapine, e 32 di condanne. Ma a guardarlo in faccia, nella foto d’archivio, sembrava un professore, di quelli anche un po’ severi. S’era laureato in carcere: giurisprudenza. Quand’era fuori, viaggiava molto.
Brasile, quasi sempre. E firmava assegni per un orfanotrofio di San Paolo. Strano tipo. Il tenente Papaleo doveva fare semplicemente il suo lavoro. Gli s’incollò dietro come un segugio, come un vecchio commissario uscito da un libro qualsiasi, cercando nelle sue carte e nella sua vita i suoi passi e i suoi errori. E trovando una donna. Luigi la incontrò a Desenzano e i carabinieri gli saltarono addosso. Riuscì a fuggire. Prima, un folle inseguimento in macchina. Poi, fece perdere le sue tracce correndo a piedi per un campo di grano nella notte senza luce. Il tenente non si dette per vinto. Restò appiccicato alla donna, e Rotterdam un bel giorno riapparve a Livorno, col suo immancabile anello al dito. Era tutto così tranquillo, a parte la risacca sulla spiaggia e il vento che soffiava tra gli scogli. Questa volta non se lo fecero scappare. Lo portarono dentro e un carabiniere stava lì cercando di parlargli, e guardava la sua carta d’identità, 58 anni, la laurea e tutta la sua vita. «Ma chi te lo fa fare?», gli disse. Lui rimase in silenzio. Poi rispose che se usciva non avrebbe più fatto rapine. Avrebbe dedicato tutto il suo tempo solo ai bambini del suo orfanotrofio. Così disse. Come un cantante che suona sulla sua Gibson, che flette le note seduto sullo sgabello, e parla di amori perduti, di fede e tradimenti. Poi alla fine c’è sempre un posto che non ti aspetti, qualcosa che non sapevi.
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