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RAPPORTO CONCLUSIVO DELL’INCHIESTA SUL PRC 2006/08
Publie le venerdì 6 giugno 2008 par Open-PublishingRAPPORTO CONCLUSIVO DELL’INCHIESTA SUL PRC 2006/08
Queste note presentano alcune considerazioni che partono dai risultati dell’inchiesta “riletti col senno di poi”. Ciò non significa che si siano forzati o deformati i risultati dell’inchiesta sul partito; ma che si scelgono e si interpretano quelli che ci sembrano più rilevanti per la fase che il partito sta attraversando. Quindi, considerazioni anche abbastanza “libere” a partire però da dati reali di inchiesta. Anche per questo, nelle note che seguono non ci saranno riferimenti ai dati statistici (percentuali di risposta, incroci) dei risultati dell’inchiesta. Questi li troverete - sia pure parzialmente - nelle appendici (e sul sito www.rifondazione.it dipartimento organizzazione e inchiesta); potrete così anche verificare se nella nostra interpretazione ci sono forzature. Il rapporto col territorio
Oggi, dopo la sconfitta elettorale, tutti nel partito concordano (giustamente) sulla necessità di “ripartire dal territorio”.
Ma, come mostra l’inchiesta, noi nel territorio c’eravamo già, in misura notevole anche se certo non sufficiente. Il problema è se e come questo radicamento - e le esperienze che l’hanno caratterizzato - è stato utilizzato dal partito nell’elaborazione della sua linea e della sua pratica politica.
Infatti, da ambedue le fasi dell’inchiesta sul partito (quella rivolta ai “quadri” e quella rivolta più in generale ai militanti) emerge un ricchissimo tessuto di lotte sociali, a partire dal territorio, dove le strutture di base del partito sono state coinvolte: lotte sul problema dei rifiuti e del loro smaltimento, su problemi urbanistici e di viabilità, sulla casa, sui servizi sociali, ma anche iniziative come luoghi di incontro per e con gli immigrati, ecc. In queste lotte, il partito c’è, con le sue strutture di base, e non è mai “da solo”, ma le conduce insieme ad altre forze, con “pezzi” di movimento o della sinistra “politica”, con pezzi di sindacato, con aggregazioni locali spontanee, ecc.
Ma queste esperienze vivono “ciascuna per conto suo”, senza un adeguato collegamento né “orizzontale” (con altre esperienze simili) né “verticale” (dalle esperienze alla direzione politica del partito e viceversa).
Questo ha conseguenze negative, sia in termini di rapporti di forza (più lotte collegate sono più forti di una singola lotta isolata) sia in termini di omogeneità politica (raccogliere le ribellioni contro discariche e inceneritori è giusto, ma va inquadrato in una risposta adeguata al problema dello smaltimento dei rifiuti).
Anche per questo, la più importante “indicazione operativa” che abbiamo tratto dall’inchiesta è la costruzione di una rete di comunicazione - un “network” informatico - tra le diverse esperienze e tra queste e il “centro” del partito, in modo da realizzare quel rapporto politico che finora è stato carente.
Una rete che sia al tempo stesso un “archivio” delle esperienze: non a puri scopi documentari, ma per poterne periodicamente fare un bilancio, e trarne indicazioni politiche, a partire da ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato.
Questo - che è uno dei problemi centrali emersi dall’inchiesta sul partito - si intreccia in modo molto stretto con altri livelli di problemi.
Il rapporto con le istituzioni e i nostri rappresentanti istituzionali
Sia chiaro: dalla nostra inchiesta (e in particolare dai riferimenti alle esperienze di lotta sul territorio) non emerge un prevalente giudizio negativo sull’azione dei nostri rappresentanti istituzionali (ci riferiamo qui, ovviamente, a quelli “locali”, dal comune alla regione) - anche se critiche più esplicite ed articolate emergono dai “focus groups” regionali.
Nell’analisi del questionario rispetto alla nostra presenza nelle istituzioni si riscontrano comunque alcune criticità. La prima: la questione di genere. Come si può vedere la presenza femminile nelle istituzioni è ancora più bassa della presenza femminile nel partito, già di per sé del tutto insoddisfacente.
Attraverso il questionario scopriamo anche che quasi la totalità tra chi è nelle istituzioni ricopre anche incarichi di partito. Una quota di compagne/i che nelle piccole realtà ricoprono allo stesso tempo incarichi politici e incarichi istituzionali è giusta e normale, ma questo dato, insieme a indicatori di scarso ricambio tra chi è nelle istituzioni, sono indicatori di situazioni critiche che vanno affrontate di petto.
Emerge quindi una situazione “caso per caso”, in cui si va dalla collaborazione fattiva alla lontananza/estraneità fino al conflitto. Le differenze sono talvolta legate al livello istituzionale dei rappresentanti (quelli regionali sono spesso più “lontani”, con meno momenti di confronti diretto) o alle caratteristiche politiche delle diverse situazioni (giunte più di sinistra o più centrista, nostro peso in giunta maggiore o minore). Ma al di là di queste differenze (di cui non siamo in grado di dare un quadro sistematico, data l’incompletezza delle informazioni in proposito), questo conferma il dato che sottolineavamo prima: la carenza di comunicazione tra centro e periferia fa sì che, non solo i compagni di base e i circoli ma anche i rappresentanti istituzionali, manchino di un orientamento omogeneo, elaborato attraverso il rapporto col “centro”, sui problemi che quotidianamente si trovano ad affrontare.
La enorme difficoltà di “fare rete” a livello istituzionale è data anche dall’assenza di un quadro di regole chiare e di supporto pratico nel partito sulle forme e le modalità di costruzione di un “partito partecipativo”, in cui gli eletti nelle istituzioni siano chiamati a un confronto e a una verifica continua e trasparente del loro operato, e a una “cessione di sovranità” nei confronti dei luoghi decisionali democratici del partito rispetto alle loro pratiche istituzionali.
Il funzionamento del partito
Ma l’implicazione più rilevante dei fenomeni emersi “dai territori” e dalle loro esperienze di lotta riguarda il modo di funzionare del partito.
In primo luogo: quel che abbiamo rilevato, e già sottolineato prima, spiega perché il partito non abbia “capitalizzato” le esperienze e gli elementi di radicamento nel territorio - non solo in termini di consenso elettorale ma in riferimento agli “spunti di inchiesta” che se ne potevano trarre e che potevano fornire utili elementi di conoscenza sugli orientamenti e sulle idee esistenti a livello di massa.
(A questo proposito, apriamo una parentesi: anni fa, i compagni del Veneto, nel quadro di un interessante discorso sulla “questione settentrionale”, proposero un’inchiesta sulla Lega Nord, sulla sua base elettorale e su quella militante, sulle forme del suo radicamento sociale, ecc. Però, quella inchiesta si realizzò solo in provincia di Cuneo - dove peraltro non è mai stata utilizzata politicamente ma ha dato luogo solo a un’accademica “pubblicazione”; a Brescia è partita, con primi risultati interessanti, ma si è arenata a metà strada; in Veneto non si è neanche provato ad avviarla).
Ma tutto questo si ripercuote anche su due elementi-chiave del modo di essere e di funzionare del partito: la democrazia interna e l’efficienza/efficacia.
In termini di democrazia interna, questo contribuisce a un crescente dualismo tra l’esperienza politica dei compagni e delle compagne, e l’elaborazione di una linea che prescinde da questa e che arriva dall’alto e (spesso) “dall’esterno” - dalle interviste sui giornali o dalla Tv.
Questo contribuisce anche alla cronica mancanza della funzione che, nelle aziende, è chiamata di “programmazione/controllo”, ma che è essenziale anche in un’organizzazione politica: si tratta cioè della definizione di obiettivi da realizzare (con i relativi tempi di realizzazione) accompagnata, poi, dalla verifica del grado di realizzazione o meno di tali obiettivi, cioè da un “bilancio dell’esperienza” che si è sviluppata attorno ad essi - per trarne utili indicazioni politiche.
La questione del lavoro
Le ricche indicazioni di esperienze sul territorio ci conducono - indirettamente - a esaminare una contraddizione emersa dalla nostra inchiesta: i problemi del lavoro, da un lato sono al primo posto nelle priorità di interessi degli intervistati (sono cioè la tematica a cui dicono di essere più interessati), ma non sono ai primi posti nelle loro aree di impegno nel partito e nelle iniziative dei circoli. Vuol dire che su questa tematica il riferimento politico principale è un altro - cioè, principalmente, il sindacato. Potrebbe sembrare un “dato fisiologico”, ma proprio qui cominciano i problemi.
Gli iscritti a sindacati autonomi di base sono una piccola minoranza, spesso in posizione fortemente polemica anche verso il partito. La grande maggioranza degli iscritti sindacalizzati (ma non tutti lo sono!) è iscritta alla Cgil: ma anche loro sono pesantemente critici verso le confederazioni in generale, e verso la stessa Cgil. Emerge dunque un problema, una contraddizione non risolta, che riflette anche una carenza di orientamento e di iniziativa. Di qui l’interrogativo: cos’ha fatto il partito sui problemi del lavoro e sulla questione del sindacato? non solo in termini di enunciazioni generali (che ci sono state, e in generale giuste), ma in termini di orientamento, di organizzazione e di iniziativa capillare.
(Si veda in proposito l’esperienza dei circoli di luogo di lavoro: pochi, e spesso privi di iniziativa, perché questa viene demandata al sindacato o viene paralizzata dall’appartenenza degli iscritti a sindacati diversi).
La “questione di genere”
Partiamo da alcuni dati. La percentuale di donne iscritte è lievemente cresciuta negli ultimi anni, ma resta molto bassa. Analoghe considerazioni si possono fare per la loro partecipazione alla direzione dei circoli o alle istituzioni locali.
Di questo c’è una generica consapevolezza, più diffusa e precisa tra le donne, assai più variegata nei maschi, che vanno da una consistente percentuale di “genericamente consapevoli” a una percentuale probabilmente maggiore di “sostanzialmente estranei o indifferenti” fino a una minoranza di espliciti “maschilisti”.
Insomma, si intravede una “questione” di genere, ma non c’è coscienza adeguata della “contraddizione” di genere. Le donne, nel migliore dei casi, sono viste come il “soggetto passivo” di un meccanismo di discriminazione/esclusione che andrebbe superato; non come il soggetto attivo di una battaglia a partire dalla loro condizione - a cui il partito dovrebbe rispondere come ad altri “soggetti attivi” di lotte per la liberazione sociale.
(L’inchiesta sui consultori - da poco avviata - sarà un interessante banco di prova per vedere se nel partito avrà spazio ed ascolto, o sarà sommersa da altri e più rituali dibattiti congressuali).
Il partito e la costruzione della sinistra
Come si può vedere più precisamente dai dati riportati in appendice, c’è una consistente minoranza di intervistati (oltre il 20%) su posizioni che abbiamo chiamato “identitarie”: identità più riferita al partito di Rifondazione che alla ideologia comunista in generale. Sono compagni che ritengono che Rifondazione sia autosufficiente, o che comunque sia il polo a cui gli altri debbono aggregarsi. (NB: - com’è ovvio per tutti i risultati dell’inchiesta, va tenuto presente che questa avveniva nell’autunno 2007).
All’opposto, c’è una minoranza, assai meno consistente, che vede nell’unità in tempi rapidi della sinistra l’unica via possibile. La grande maggioranza, però, è favorevole al processo unitario “a condizione che…”: le condizioni più frequentemente richiamate sono riferite alla linea (una chiara linea di classe, ecc.) e al metodo (che il tutto non si riduca a un’operazione di vertice).
Il problema è come tradurre in positivo e in concreto quella che sembra essere l’esigenza maggioritaria. Se il processo unitario è qualcosa che arriva “dall’alto e dall’esterno” (si tenga presente che questo “dall’alto e dall’esterno” ha già caratterizzato il modo di funzionare del nostro partito, come abbiamo detto prima), ai compagni e alle compagne non resta che guardare e “fischiare i falli” (con rischi che ciò porti in vari casi a chiusure settarie). L’altra via è quella che riparte dai territori e dall’iniziativa nel sociale come terreno di costruzione e di verifica della sinistra che si vuol costruire; in tal caso le possibilità dei compagni di far pesare le proprie esigenze e i popri modi di vedere il processo unitario sono maggiori.
Vale la pena di ricordare - da questo punto di vista - come si sia arenata l’idea, che pure era giustissima, della Sinistra Europea, che si è tradotta in convegni, seminari, senza incidere nel lavoro concreto del partito (come mostrano gli stessi risultati della nostra inchiesta) - e oggi rischia di essere solo una semplice etichetta.
L’inchiesta e la funzione del dipartimento inchiesta
Il quadro che abbiamo cercato di delineare - ricavandolo dall’inchiesta - del modo di agire e funzionare del partito è ben diverso da quel “partito dell’inchiesta” di cui molto si è parlato, a partire dai massimi livelli, senza che le parole si traducessero in pratica concreta. In queste condizioni, è inevitabile che il dipartimento inchiesta resti “al margine”, producendo di tanto in tanto dei “prodotti finiti” (come l’inchiesta sul partito di cui stiamo parlando), che possono suscitare interesse ma non incidono sulle scelte politiche ed organizzative.
Al tempo stesso, emerge un forte “potenziale di inchiesta inutilizzato” (o sotto-utilizzato): lavori di inchiesta che restano confinati in realtà locali (non per scelta localistica, ma perchè il partito nel suo complesso, a partire dai livelli di direzione, non li raccoglie e utilizza), o elementi di conoscenza della realtà sparpagliati e non elaborati, che potrebbero essere raccolti e completati da un vero lavoro di inchiesta.
Ora, se il lavoro di inchiesta consiste nel fare centralmente qualche “bella inchiesta”, sfornando poi un rapporto di ricerca, questo è un lavoro che può anche essere utile, ma non corrisponde ai tempi e ai terreni del lavoro politico quotidiano, non corrisponde ai “tempi della politica”. L’inchiesta - lo abbiamo più volte ripetuto - dev’essere una dimensione quotidiana del lavoro politico, che serve “ex ante” per definire obiettivi e iniziative, e “ex post” per fare un bilancio dell’esperienza sviluppata attorno a questi obiettivi e iniziative. Non si tratta dunque di fare inchieste con tutti i “crismi sociologici e scientifici”, ma di adottare un approccio alla realtà basato su una conoscenza costruita “andando a chiedere” ( «camminare domandando» , per dirla con il subcomandante Marcos).
In questa impostazione, la funzione principale del dipartimento inchiesta non è quella di “sfornare inchieste centrali” (anche se in certi casi e su certi temi queste possono essere necessarie e importanti), ma quella di “formare all’inchiesta”, dotandoli di alcuni strumenti-base, i compagni e le compagne a tutti i livelli (inclusi i gruppi dirigenti!); in modo che l’inchiesta non sia vista come uno “strumento sociologico ausiliario” ma come una dimensione permanente del lavoro politico del partito.
Senza una conclusione, ma con una proposta.
L’inchiesta, lo si è detto in ogni forma, non è una indicazione di linea politica, né tantomeno una mozione congressuale. E’ però una base di discussione reale e non basata su assunti indimostrabili, che speriamo possa essere un contributo utile ad affrontare un congresso che non sarà controproducente solo a patto di essere una discussione vera tra le compagne e i compagni e non un referendum imposto dall’alto su chi dovrà guidare il partito nei prossimi difficili anni, lasciando fuori tutti gli altri.
Oggi è necessario partire da una consapevolezza dura e senza sconti di quanto non ha funzionato nel Prc fino ad oggi. Ma dall’inchiesta emergono anche potenzialità che riempiono di significato quel “ripartire dai territori” che senza una conoscenza di questi ultimi rischierebbe di essere solo uno slogan.
Per questo un ultimo spunto di riflessione “positivo” riguarda ancora il tema del territorio e dei movimenti. Quanti nel questionario dichiarano di fare parte di reti di movimento nel territorio dichiarano di essere più attivi rispetto agli altri nel partito, e questo dato si conferma anche rispetto all’aumento dell’attivismo, riscontrato più frequentemente in questa categoria. Non solo: appare chiaro che quanti sono su un territorio dove è attiva una qualche forma di rete di movimento si dichiarano generalmente più favorevoli a processi unitari a sinistra (alle condizioni già viste). Ai compagni e alle compagne la responsabilità di indicare cosa questo ci può dire su come oggi ripartire da Rifondazione comunista per costruire la sinistra.
Per evitare che tutte le cose dette rimangano “discorsi”, ci impegniamo ad attivare, già prima del congresso, quella “rete di comunicazione” tra le varie esperienze di lotta sul territorio e tra queste e il “centro” del partito, di cui abbiamo parlato. Un sito dove le esperienze possano dialogare tra loro e dove (si spera) si avvii anche un dialogo tra centro e periferia del partito.
Ma, se non vogliamo che questo diventi un ghetto, è necessario che la politica organizzativa del partito faccia riferimento a queste esperienze: quindi, che la rete di comunicazione che intendiamo avviare non sia solo una “attività del dipartimento inchiesta”, ma sia a pieno titolo una dimensione essenziale dell’area organizzazione del partito.
Il dipartimento Inchiesta Prc-Se
06/06/2008