Home > RESISTERE? ESISTERE? DESISTERE?
E’ tempo che la politica dismetta le sue armi: quelle metaforiche e quelle stricto sensu. Della inanità delle prime è prova la politica stessa e il degrado diffuso cui soggiace, delle seconde è ormai chiaro che più che contro una qualsiasi morale esse cozzano contro il popolo nel cui nome vennero e vengono tutt’ora impugnate. Il vituperato qualunquismo di massa, del quale l’Italia è terreno di coltura e di cultura, oltre che di paradossale legittimazione (attraverso la riduzione della democrazia a scialba pratica quinquennale), si accinge ad avere ragione: di ogni predicante rampogna e su ogni asserito progetto riformista. In quasi due secoli la democrazia politica (piena o semi-piena, formale o incompiuta o bloccata che sia) non ha cambiato che marginalmente la società e non ha cambiato minimamente se stessa. Invece la società ha cambiato l’uomo, il prevalere di un modello di esistenza imperniato sulla proprietà, sul denaro e sulla proprietà del denaro ha determinato la mutazione antropologica consistente nella misurazione dell’essere attraverso la somma dei suoi averi. Avere è tutto, sola parificazione ammessa è apparire, esercizio in realtà più complesso e meno sostenibile. I metodi, le scaturigini, le provenienze dell’avere non solo non rilevano (men che meno ne rileva la legittimità o l’innocuità sociale), bensì ne è apprezzata vieppiù la speditezza, l’insensibilità a qualsiasi esigenza diversa dall’accumulo. Di ciò Berlusconi non è che il paradigma, di ciò Craxi non fu che l’artefice più esplicito, la televisione (lungi dall’esserne il mezzo, o solamente il mezzo) ne è il compendio globale attraverso onnicomprensive intrusioni (beneficenza tv, riparazione di torti, smascheramento di truffatori, solleciti amministrativi, la tv è oggi il capovolgimento di se stessa, ha stravinto al punto da rimpiazzare la democrazia nei suoi scopi più nobili, da agglutinare Gino Strada a Maria De Filippi in una melassa a conservazione prolungata). Tutti siamo chiamati a gioire di una denuncia televisiva delle Iene, di un intervento proficuo di Striscia la notizia: il punto più basso dell’agire politico coincide con la sostituzione conclamata del teleschermo alla politica stessa: dove non arriva la pubblica amministrazione, arriva Ezio Greggio. Amen.
E’ tempo che questa politica e questa parte politica ammettano il fallimento dovuto a un fallimento: aver liquidato in tre minuti idee epocali per mettere al loro posto un minor esborso sui costi del telefono è il suicidio non di un partito ma dei partiti, delle istituzioni e del sistema della rappresentanza, e con essi delle speranze di quei pochi cittadini che ancora coltivano speranze. Con lo scetticismo che è d’obbligo nei confronti dei sondaggi (e del concetto stesso di “sondaggio”, oltre che dell’esecranda parola), pare comunque che una cospicua, maggioritaria parte di italiani abbia indicato come urgenza quotidiana, subito dopo il lavoro e la pensione (ancora: amen), la riforma elettorale. Non la criminalità, non la salute, l’istruzione, i trasporti, l’evasione fiscale, l’ambiente, ma la riforma elettorale! Vero o falso che sia, è il sintomo di una povertà sociale irreversibile. Anziché i politici a rappresentare i cittadini, sono i cittadini a rappresentare le esigenze, le priorità dei politici: tale è la democrazia televisiva, tale è il corpo civile come si è venuto evolvendo(?). Dalle rivoluzioni in nome di libertà ed uguaglianza si è passati alle rivolte calcistiche, ai moti a sostegno dei santi: Padre Pio santo subito, Woytila pure!, non ci sarebbe alcun male se non corrispondesse alla collettiva rinuncia all’uso del raziocinio e della critica. “Libera formazione del consenso”: in questo siamo deficitari da sempre, con responsabilità condivise tra soggetti attivi e passivi della sancita libertà di informazione. Ma forse qui sta l’intuizione innovativa: soggetti attivi e soggetti passivi è la sola, persistente, diffusa, incontrastata stratificazione sociale di rilievo.
L’operaio ha perso coscienza della sua alterità verso l’impresa, il proletariato ambisce su tutto l’assimilazione nel mondo e nei valori borghesi, al povero è dato di diventare ricco con i telequiz o il gratta-e-vinci, ma soprattutto gli è inculcata indiscutibilmente la colpa del suo essere povero! E così la lotta di classe è sistemata. Non solo sono state rese obsolete categorie socio-economiche tuttora vivissime (lavoratori/padroni, garantiti/emarginati, etc.), ma si è parimenti occultata la più pervasiva e concreta delle divisioni di massa, quella tra produttori e consumatori, la cui dialettica ha sostanzialmente rimpiazzato quella storica (oramai accantonata, dolosamente da un lato, irresponsabilmente dall’altro) fra capitale e lavoro. I livelli di sfruttamento del lavoro permangono alti, ma più alti e generalizzati sono i livelli di raggiro, di inganno, di aggressione attuati dall’impresa (privata ma anche pubblica, non è questione solo di margini di profitto) ai danni dell’utente/consumatore (che, in quanto lavoratore, è perciò sfruttato due volte). Soggetti attivi e soggetti passivi della produzione e del commercio, dunque, ma anche di tutto il resto. E della politica in primis. Circolavano sul web, giorni orsono, le istantanee di Berlusconi e Fassino fianco a fianco come vecchi colleghi a scambiarsi sorrisi e bigliettini: niente di male anche qui, salvo l’assassinio della passione, del viscerale sentire che anima (o dovrebbe animare) l’azione civile prima di tutto in politica, salvo il ridurla a vacua esercitazione. Ecco, davanti a quelle foto non ci è dato parteggiare per uno qualsiasi dei due, quanto avvertire una profonda estraneità alla conventicola cui entrambi sono iscritti e che scinde (questa sì) l’aggregazione umana in due tronconi: chi al potere partecipa, sia pure da lontano, in micro-dosi immisurabili, e chi il potere subisce, credendo magari di esercitarlo nelle languide modalità connesse al voto. In tutti i sensi c’è minore distanza, ad esempio, tra il deputato Giordano e il deputato Buontempo di quanta ve ne sia tra Giordano e un anonimo militante di R.C., o tra Buontempo e il militante anonimo di A.N.: e più che un paradosso è una tragedia.
E’ così nella giustizia: chi vi ha accesso è chi no. Nell’amministrazione: chi può far valere ragioni e chi no. Nell’informazione: chi dispone di spazi e chi no. Nella cultura: chi è ammesso a esercitarla e chi no. E’ così in tutti i campi della socialità: a una cupola di gerenti in stretto contatto tra loro, si contrappone la folla di chi è privo di tutele (se non del tutto formali) e di entrature, e che ivi permanendo non ha modo di gestire alcunché, bensì solo di venire gestito in quanto manipolabile sacca di consenso. Non è perciò dalla politica che si possono aspettare fratture, salti di qualità, scatti d’orgoglio. La politica (i politici) ha raggiunto una sua dimensione inscalfibile che con la realtà delle persone ha unicamente contatti strumentali, tesi a perpetuarla nell’astratta contemplazione di se stessa. La politica è autoreferenziale in toto, senza distinzioni di parte, Bertinotti docet. Nell’assoluta correttezza esteriore che da sempre connota il personaggio, costui ha omesso di porsi l’unico dubbio sensato: “La causa di un mondo migliore necessita più di un buon segretario di partito (ammesso che mai lo sia stato) o di un impeccabile presidente della Camera?”, e se pure se lo è posto si è dato la risposta sbagliata. E’ un episodio da poco, ma che attesta quanto il richiamo dell’appartenenza (alle alte sfere, al vaudeville mediatico) prevalga su ogni limpida coscienza, e quanto poco dal circuito istituzionale sia ancora lecito attendersi. Quando all’edificando Partito Democratico verrà contrapposto a sinistra (e tre: amen) un alternativo Partito del Lavoro (o come si deciderà di chiamarlo, purché manifesti una qualche prospettiva di modifica vera della società e della vita), allora, se nascerà anch’esso per sommovimenti di cupole, per aggregazione di apparati, per sintesi di organigrammi (sul terreno, cioè, che è sempre stato il più consono a tali forze), allora dunque non resterà che barricarsi in casa e gettare nel cesso la tv: neanche resistere (e parimenti esistere) rivestirà alcun senso, con buona pace di chi lo ripeteva tre volte…