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RIFLESSIONE. LIDIA MENAPACE: RESISTENZE

Publie le martedì 15 agosto 2006 par Open-Publishing

di Lidia Menapace

Vorrei dire qualcosa sul diritto alla resistenza dei popoli invasi. Esso e’
fondato nel diritto internazionale e per solito non riconosciuto dagli
invasori che di volta in volta chiamano ribelli banditi terroristi tutti
indistintamente i e le resistenti, considerandoli res nullius, privi di
diritti, di cui si puo’ fare quel che si vuole, soprattutto ammazzarli senza
alcun processo. Tutto cio’ rende sempre la resistenza un evento difficile e
ambiguo, perche’ la voglia o la decisione di rispondere allo stesso modo
viene ed e’ anche applicata: dopo la guerra, chi tra i resistenti ha
replicato violando le leggi, viene per solito amnistiato, date le
circostanze tremende in cui ha agito.

Questa fu la motivazione per la quale
Togliatti ministro di grazia e giustizia subito dopo la Liberazione nel
primo governo del Cln fece appunto una amnistia per partigiani e anche
repubblichini, cosa giusta che ancora non gli e’ stata perdonata.
Nella Resistenza (mi chiedono perche’ usi la maiuscola certe volte e certe
volte no: resistenza e’ parola comune e quindi minuscola, ma se indica il
nome proprio della resistenza italiana, allora e’ la Resistenza) si
discuteva molto tra noi resistenti sulle scelte lecite e quelle non lecite e
non eravamo affatto sempre d’accordo.

Il caso piu’ famoso fu l’attentato di
via Rasella a Roma, dopo il quale i nazi fecero la rappresaglia delle Fosse
Ardeatine: molti non erano d’accordo non per le conseguenze, che restano
comunque criminali (la rappresaglia indiscriminata e’ un delitto
specialmente se viene attuata da uno stato - ad esempio Israele che replica
ad attacchi di Hezbollah in modo cosi’ spropositato e indiscriminato viola
il diritto internazionale) ma perche’ molti tra noi erano del parere che non
si deve mai fare un gesto che possa colpire anche la popolazione civile,
perche’ cio’ e’ sommamente ingiusto e anche nocivo, dato che dell’appoggio
della popolazione civile la resistenza ha bisogno "come il pesce dell’acqua"
dira’ decenni dopo Ho Chi Minh.

Questo per dire che resistere e’ un diritto e un popolo ha anche il diritto
di scegliere di resistere in armi. Ma cio’ non toglie sia a chi ne fa parte
che a chi appoggia dall’esterno il diritto di giudicare la resistenza e i
suoi metodi e programmi. La resistenza irachena si configura sempre piu’
come una guerra civile-religiosa e offrirle l’alibi di resistenza per di
piu’ democratica e’ davvero fuori luogo. Lo stesso si puo’ dire del Libano:
gli Hezbollah tutto sono tranne che democratici e laici e una loro vittoria
sarebbe per il Libano e la sua fragile democrazia e tradizione di tolleranza
religiosa (che e’ cosa diversa dalla laicita’, ma e’ gia’ una buona cosa) un
disastro, come appunto per l’Iraq la vittoria di fazioni religiose
fondamentaliste.

Per spiegarmi cito un episodio evangelico che ha il pregio di essere lontano
nel tempo e quindi suscita meno passioni. Al tempo in cui visse Gesu’
Cristo, la Palestina che era abitata da ebrei soprattutto e molti di loro di
cultura greca, era sotto il duro imperialismo romano e molto riottosa contro
l’occupazione. Molti speravano in un messia come capo religioso e militare
che li liberasse e lo stesso Gesu’ di Nazareth fu dai suoi equivocato in
questa veste. Tra i suoi apostoli e discepoli vi erano certamente dei
partigiani (che allora si chiamavano con nome di origine greca zeloti, che
vuol dire Hamas), i quali lottavano anche con le armi contro i romani.
Probabilmente Pietro era uno di loro e girava armato tenendo sotto la tunica
il corto pugnale del sicario, in latino detto sica. Infatti all’arresto di
Cristo cava il pugnale da sotto il vestito e taglia un orecchio a un milite
romano.

Cristo lo ammonisce con la famosa frase: "Chi di spada ferisce di
spada perisce", con la quale condanna la violenza che e’ ripetitiva e non
risolve nulla. Tra gli ebrei che resistevano vi erano anche i farisei, la
buona borghesia ebraica colta ricca osservante religiosamente e
collaborazionista "con juicio": avevano stabilito con i Romani un regime di
reciproca tolleranza. Verso di loro Gesu’ e’ durissimo e li chiama "Razza di
vipere, sepolcri imbiancati" e nega loro che sia lecito per fare resistenza
ai Romani non pagare le tasse.

Come si vede il giudizio sulle varie forme di resistenza e’ molto diverso e
molto piu’ tollerante verso chi usa le armi che verso chi non rispetta lo
stato.

Sicche’ per sostenere la resistenza libanese non bisogna per forza essere
d’accordo con gli Hezbollah, ma essere molto attenti e favorevoli a che si
pieghino alle decisioni del governo libanese, il che sara’ bene per tutti.
Oggi e’ molto difficile, perche’ tutte e tre le grandi religioni monoteiste
sono in fase fondamentalista, dai teocons di Bush, agli ebrei ortodossi,
agli islamisti. E’ un vero grande pericolo, al quale si deve replicare con
il massimo di laicita’ e di spirito critico, governando le passioni e le
emozioni.