Home > Raciti, la pista è blu
La perizia del Ris esclude la ricostruzione della Procura sull’omicidio.
E mette nel mirino tracce di vernice. Che potrebbero accusare una jeep Discovery della polizia

Che ci fanno delle tracce di vernice blu sugli scarponi e sulla maschera antigas di Filippo Raciti? Gli investigatori del Ris di Parma dovevano stabilire se l’ispettore di polizia che ha perso la vita durante gli scontri tra tifosi e forze dell’ordine a Catania fosse stato ucciso dal pezzo di un lavello impugnato dagli ultras. Invece i carabinieri scientifici più famosi d’Italia hanno sostanzialmente escluso questa ipotesi: non c’è nessun elemento che la confermi. Hanno persino colpito per 14 volte un manichino con un oggetto identico, ottenendo lo stesso risultato: se fosse stato un uomo, sarebbe rimasto vivo. Le analisi degli specialisti guidati dal colonnello Luciano Garofano, incrinano le certezze granitiche della Procura dei minori di Catania. E fanno strada a nuovi indizi, tali da rilanciare l’ipotesi di un impatto mortale con la jeep Discovery della polizia. Una tesi che il consulente della difesa, Carlo Torre, il perito di Cogne, mette nero su bianco: "Il complesso lesivo si adatta benissimo ad un trauma di tipo automobilistico.".
Nei laboratori di Parma i misteri dello stadio Massimino si sono infittiti. I tecnici dell’Arma hanno escluso la possibilità di identificare vittima e aggressori attraverso le immagini delle telecamere. L’andamento dei tagli nella giacca di Raciti, la scarsa presenza di particelle di acciaio, l’assenza di tracce della pellicola protettiva del sottolavello e gli effetti dei test d’impatto, nessuno dei quali potenzialmente letale, inducono a ritenere che l’arma del delitto non sia quella indicata finora. E, mistero nel mistero, anche le fibre di tessuto ritrovate sullo spigolo del sottolavello non appartengono, secondo il Ris, alla giubba che l’ispettore Raciti indossava quella sera maledetta.
La sorpresa più evidente salta fuori dal campione di vernice blu prelevato dalla maschera antigas e dagli anfibi dell’ispettore morto durante gli scontri: "L’analisi ha consentito di accertare che i frammenti di colore azzurro sono costituiti da una resina acrilica modificata con nitrocellulosa e con una forte presenza di biossido di titanio quale carica inorganica". La vernice sugli anfibi e la maschera è la stessa: gli investigatori del Ris hanno chiesto di analizzare anche i pantaloni ed il casco del poliziotto, che non sono stati loro consegnati. Sono tracce della carrozzeria della jeep Discovery? Il Ris promette di risolvere anche questo quesito con analisi ’chimico-merceologiche’. Tutti gli elementi raccolti da accusa e difesa sono stati al centro di un acceso incidente probatorio (le urla si sono udite nei corridoi del palazzo di Giustizia) durato più di sette ore davanti al gip Alessandra Chierego, che adesso dovrà pronunciarsi sull’ennesima richiesta di scarcerazione per il diciassettenne detenuto da quattro mesi con l’accusa di omicidio volontario, presentata dall’avvocato Giuseppe Lipera. La partita giudiziaria si gioca sul terreno medico-legale, e non a caso il professor Torre ha chiesto l’esumazione del cadavere di Raciti per compiere una serie di esami in grado di stabilire con maggiore esattezza l’orario dell’impatto mortale.
La Procura, che insiste nella sua tesi, confortata dalle valutazioni del gip, del tribunale del riesame e della Cassazione che hanno finora confermato l’ordine di custodia cautelare per omicidio volontario, e considera l’esame del Ris ’non definitivo’’, lo colloca tra le 19,02 e le 19,11. La difesa lo sposta in avanti, alle 20,30, e punta i propri riflettori sul Discovery della polizia, impegnato in una improvvisa retromarcia per sfuggire al lancio di pietre e bombe carta degli ultras. Ha scritto il perito Torre: "Credo, in conclusione, che Filippo Raciti sia morto non per un’emorragia intraperitoneale conseguente alle lesioni del fegato, ma per un trauma toracico coinvolgente l’apparato respiratorio. Un trauma di tipo automobilistico". Un trauma che, secondo la difesa, è perfettamente raccontato nel verbale (pubblicato da ’L’espresso’ n. 14 del 12 aprile scorso) dell’agente che guidava il gippone azzurro: "Innescata la retromarcia ho spostato il Discovery di qualche metro. In quel momento ho sentito una botta sull’autovettura ed ho visto Raciti che si trovava alla mia sinistra portarsi le mani alla testa. Ho fermato il mezzo e ho visto un paio di colleghi soccorrere Raciti ed evitare che cadesse per terra.".
(31 maggio 2007)
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Raciti-la-pista-e-blu/1629114&ref=hpsp
Messaggi
1. Raciti, la pista è blu, 6 giugno 2007, 09:55
L’oltraggio di stato a Filippo Raciti
Esiste una grossa differenza tra un teppista ed un assassino. Ugualmente esiste una grossa differenza tra la vittima di un crimine e la vittima di un incidente. Una differenza ancora più grossa però esiste tra la versione che il Ministro dell’Interno Giuliano Amato ha avvalorato e diffuso a proposito della morte di Filippo Raciti e la realtà. Filippo Raciti non fu ucciso da un tifoso, questa è la verità certificata dallo stesso pubblico ministero che aveva messo sotto accusa un giovane ultrà catanese e che ieri ha ritirato l’accusa. Filippo Raciti, in realtà, trovò la morte a causa di un incidente, quando nell’agitazione degli scontri con i tifosi del Catania un suo collega lo investì con un Land Rover Discovery, mentre cercava di manovrare fra i fumi dei lacrimogeni.
Dice infatti l’agente scelto S. L., di 46 anni, nella sua deposizione davanti al giudice istruttore: "In quel frangente sono stati lanciati alcuni fumogeni, uno dei quali è caduto sotto la nostra autovettura sprigionando un fumo denso che in breve tempo ha invaso l’abitacolo.
Raciti ci ha invitato a scendere dall’auto per farla areare. Il primo a scendere è stato Raciti.
Proprio in quel frangente ho sentito un’esplosione, e sceso anch’io dal mezzo ho chiuso gli sportelli lasciati aperti sia da Balsamo che dallo stesso Raciti ma non mi sono assolutamente avveduto dove loro si trovassero poiché vi era troppo fumo. Quindi, allo scopo di evitare che l’autovettura potesse prendere fuoco, mentre era in corso un fitto lancio di oggetti e si udivano i boati delle esplosioni, chiudevo gli sportelli e, innescata la retromarcia, ho spostato il Discovery di qualche metro. In quel momento ho sentito una botta sull’autovettura e ho visto Raciti che si trovava alla mia sinistra insieme a Balsamo portarsi le mani alla testa. Ho fermato il mezzo e ho visto un paio di colleghi soccorrere Raciti ed evitare che cadesse per terra". Raciti verrà poi fatto sdraiare e soccorso da un medico della polizia.
Questo verbale è ormai vecchio, è stato pubblicato da L’Espresso diverse settimane fa, ma ancora su giornali e televisioni del nostro paese non viene detta questa banale verità. Ci si limita a dare la notizia dell’ultrà scagionato; perché? Analizzando la vicenda nel suo complesso, si può notare come la polizia, la Procura e parecchi altri ancora a Catania abbiano mentito sulla morte di Raciti.
Dalla deposizione del suo collega si evince che erano numerosi gli appartenenti alla polizia che sapevano che Raciti era stato investito da un Discovery e non da un pezzo di lamiera. Dalle risultanze autoptiche si sapeva già che le lesioni erano state considerate compatibili con l’urto della grossa vettura e non con la lamiera del sottolavello. Dalle prove del RIS di Parma si sapeva già che il sottolavello non poteva essere l’arma del delitto.
Contrariamente a questa che ormai si può definire una verità accertata, la sera della morte di Filippo Raciti e nei giorni successivi, nessuno degli agenti e dei sanitari intervenuti a vario titolo ha osato contraddire la versione ufficiale. Non solo, nei giorni successivi, in mancanza di prove, dalla Questura di Catania veniva diffuso un disegno (sì, il disegno che vedete nella foto) che avrebbe dovuto "dimostrare"
la colpevolezza del giovane ultras. Alla Questura di Catania erano in parecchi a sapere come si erano svolti veramente i fatti, ma nessuno permise che la verità trapelasse; al contrario qualcuno lavorò di fantasia per presentare alla stampa una delle prove più incredibili che si siano mai viste.
Questo taroccamento indegno della verità è stata la leva grazie alla quale il Ministro dell’Interno Amato ha promulgato i provvedimenti urgenti in materia di sicurezza degli stadi; provvedimenti in gran parte già emanati dal suo predecessore, Pisanu, ma mai attuati. Non c’era alcun bisogno, quindi, di esibire una vittima sacrificale per appoggiarne le ragioni, il che lascia ancora più perplessi. Non si può nemmeno pensare che la volontà di insabbiare la vicenda sia partita dai poliziotti coinvolti nell’incidente, poiché lo stesso responsabile dell’investimento ha dichiarato il vero in sede giudiziale senza che risultino pressioni a suo carico o senza che risultino versioni difformi da lui rilasciate in tempi diversi.
Chi ha organizzato allora la menzogna, chi ha impedito alla verità di venire subito alla luce? Forse sono stati gli stessi che si sono persi il fegato di Raciti, smarrito dopo che la sua analisi aveva "dimostrato"
la colpa del lavello e che ora spingono perché non si proceda alla riesumazione del corpo per ulteriori analisi? Per quali motivi?
Le dietrologie hanno poco senso, ma in quei giorni l’omicidio di Raciti fece vibrare l’Italia di sdegno e questo potrebbe essere stato utile a qualcuno, se non altro a far passare in secondo piano qualche altra notizia imbarazzante. Non bisogna dimenticare, inoltre, che lo stesso Amato annunciò di temere la presenza di ultras feroci (oltre ai soliti qaedisti, terroristi rossi, anarcoinsurrezionalisti e compagnia bella) alle manifestazioni contro l’allargamento della base americana di Vicenza.
In ogni caso ce n’è abbastanza per chiedere le dimissioni di Amato incapace di ottenere il dovuto dai suoi uomini, del questore di Catania e per sollecitare un rimbrotto al pm catanese che ha messo in galera un innocente indicandolo come un assassino nonostante le prove a suo carico fossero inesistenti. Questo se vivessimo in un paese normale, un paese nel quale la polizia non si presta ai giochetti governativi e nel quale lo spirito di corpo non fa premio sul dovere di proteggere i cittadini.
Vivendo in Italia non ci resta che riflettere sul povero Raciti, la morte del quale è stata indegnamente strumentalizzata da quello Stato che ha pianto calde lacrime sulla sua bara e sperare che eventi del genere non si ripetano mai più.
Mazzetta