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Rapporto Istat: le ore lavorate crescono, ma il paese resta fermo

Publie le venerdì 11 luglio 2008 par Open-Publishing

Non è questione di ore

di Sara Farolfi

Rapporto Istat: le ore lavorate crescono, ma il paese resta fermo

La produttività - e dunque anche la competitività del paese - nulla ha a che fare con l’aumento dell’orario di lavoro. E’ quanto emerge dallo studio dell’Istat diffuso ieri, utile a smontare, nero su bianco, il chiodo fisso degli imprenditori, insistenti nel sostenere che per aumentare la produttività del lavoro (il vero tarlo italiano) è necessario aumentare l’orario di lavoro. E magari poterlo gestire unilateralmente senza i lacci e lacciuoli della contrattazione.

I dati diffusi ieri dall’Istat - nella serie storica dal 1993 al 2007 - mostrano l’esatto contrario. Nel 2007 il numero di ore complessivamente lavorate nel paese è aumentato dell’1,7% rispetto all’anno precedente, più della crescita del prodotto interno lordo (Pil) che è risultata pari all’1,5%. Ciò nonostante, la produttività (ossia il prodotto interno lordo per ora lavorata) è scesa dello 0,2%. Più in generale, dal ’93 al 2007 il monte ore lavorate è cresciuto del 10,7%, mentre la produttività ha seguito tutt’altro andamento.

Nella classifica dei trenta paesi più industrializzati, gli italiani sono tra coloro che lavorano di più e che guadagnano meno, secondo l’Ocse. Cosa che, secondo l’Istat, riflette alcune caratteristiche del nostro sistema produttivo: la forte presenza di piccole imprese che assorbono gran parte dell’occupazione dipendente e dove mediamente gli orari di lavoro sono superiori a quelli delle grandi imprese, come anche la modesta quota, pur se in crescita, di part time, fino alla pratica del ’secondo lavoro’ che in Italia ha dimensioni rilevanti.

Per la prima volta l’Istat utilizza il «monte ore complessivo» delle ore lavorate per misurare la produttività. Un indicatore «importante», perchè considera nell’insieme delle ore lavorate (retribuite e non retribuite) anche gli straordinari. Dal ’93 al 2007 le ore lavorate sono passate da oltre 41 milioni a poco meno di 46 milioni, e ancora più consistente è risultato l’aumento dei posti di lavoro (+ 13,7%). Nello stesso periodo, la produttività (e cioè il Pil per ora lavorata) mostra tassi di crescita molto bassi, con variazioni negative negli stessi anni (’96, ’98, 2002, 2003 e 2007) in cui invece il monte ore lavorate si attestava su tassi di crescita superiori all’1% (e pari, rispettivamente, all’1,3%, all’1,9%, all’1%, all’1,2% e all’1,7%).

Scomponendo il dato per settori di attività, emerge che sono i servizi ad assorbire circa il 67% di tutte le ore di lavoro impiegate nel processo di produzione del reddito, mentre l’industria ne assorbe il 27,5% e l’agricoltura il 5,5%; nel ’93, le quote risultavano pari rispettivamente al 61,9%, al 29,7% e all’8,4%. Interessante è anche il dato della pubblica amministrazione dove dal ’92 diventa più vincolante il blocco del turn over e dove dunque il monte ore lavorate si contrae del 14,3%, con l’eccezione di sanità e istruzione, dove si registrano incrementi rispettivamente del 23,5% e dell’8,1%.

Effetto anche, secondo l’Istat, della spinta crescente verso forme di lavoro più flessibili e verso regimi orari diversificati che interessano anche i lavoratori a tempo pieno. Osservando le ore lavorate per posizione professionale, emerge come sia il lavoro dipendente a contribuire maggiormente alla produzione del reddito. Infine, è in aumento il monte ore destinato a seconde attività (il ’secondo lavoro’), che nel 2007 è risultato pari al 5% delle ore complessivamente lavorate in posizioni lavorative dipendenti, e all’11% di quello degli indipendenti.

«Le ore lavorate tuttavia non riflettono la qualità e l’efficienza del fattore lavoro», avverte l’Istat. Ma la sostanza è che per aumentare la produttività, e dunque la competitività del paese, serve innovazione, di processo e di prodotto. Non si andrà molto lontano, come i dati dell’Istat mostrano chiaramente, continuando a far leva sull’orario di lavoro (straordinari e quant’altro) come industriali e governanti sostengono ormai quotidianamente.

su Il Manifesto del 10/07/2008