Home > Recessione, il rischio di una gigantesca ondata inflattiva
Recessione, il rischio di una gigantesca ondata inflattiva
Publie le sabato 6 dicembre 2008 par Open-PublishingRecessione, il rischio di una gigantesca ondata inflattiva
di Alessandro Ambrosin
Intervista a Brunello Rosa, Fixed Income Strategist presso IDEAglobal e docente di Finanza presso la London School of Economics
ROMA - Il vento della crisi economica sta imperversando su tutta l’Europa. L’effetto al quale assistiamo è quello di una recessione epocale, dove anche le aziende considerate vitali e promettenti vedranno ridursi il fatturato tanto da essere costrette a tagliare i costi per contenere il crollo delle produzioni.
Se da una parte qualcuno parla di un possibile fallimento del liberismo, dall’altra si tenta di leggerne gli effetti come un temporanea crisi ciclica. Ma è pur vero che qualunque soluzione si troverà la ferita inferta sul piano sociale desta serie preoccupazioni. Piccole aziende sono state costrette a chiudere i battenti, mentre altre sono in procinto di farlo. In un panorama così deprimente ieri anche Franco Bernabè, amministratore delegato di Telecom, nel presentare il suo piano triennale, ha annunciato la decisione di diminuire il numero dei dipendenti, passando dagli attuali 64mila a 55mila. Piani di ristrutturazione che andranno ad alimentare la già esistente valanga dell’esercito dei senza lavoro. L’inequivocabile segnale della dimensione di questa crisi. Chiediamo un parere sulla presente situazione e sui suoi possibili sviluppi a Brunello Rosa, Fixed Income Strategist presso IDEAglobal, una societa’ di market intelligence con sedi a Londra, New York e Singapore, e docente di Finanza presso la London School of Economics.
Dottor Rosa, Come giudica il Piano Triennale presentato dalla Telecom?
Il piano prevede, oltre alla rifocalizzazione del business e ad un significativo piano di dismissione di assets ritenuti non strategici, una significativa riduzione dei costi e degli investimenti, mirata ad obiettivi di maggiore efficienza, accompagnata da una riduzione degli organici superiore a quella precedentemente prevista. Quest’ultima e’ il risultato degli avvenimenti che si sono succeduti negli ultimi mesi, che hanno visto trasformarsi una crisi finanziaria di gia’ grandi proporzioni in una crisi economica, ed in alcuni casi industriale, di proporzioni ancora maggiori.
L’avanzamento della crisi non ha risparmiato nemmeno le ultime aree considerate allettanti dagli investitori industriali, come le opportune scelte di delocalizzare che prima sembrava preservare il contenimento e l’effetto domino di questo cataclisma economico. Ma strategie alternative ne esistono e se sì quali?
La crisi e’ globale ed in quanto tale colpisce tutte le aree del business a tutte le latitudini. Nei paesi sviluppati, andranno in maggior sofferenza quei settori industriali a basso valore aggiunto, che patiranno ancor di piu’ la concorrenza che viene dei paesi emergenti. In termini geo-strategici, saranno maggiormente colpiti quei paesi che hanno basato il loro sviluppo sull’incremento della disponibilita’ del credito oltre una soglia sostenibile. Il prossimo passo dello sviluppo capitalistico sara’ quello di incentivare il consumo interno, possibilmente basato sul credito, in quei paesi – considerati emergenti – che hanno fino ad ora fondato la loro crescita sulle esportazioni e l’accumulazione di enormi riserve valutarie. In questo senso, quella che finora e’ stata considerata delocalizzazione assumera’ i tratti di una ri-localizzazione strategica in quelle aree che si ritiene abbiano maggiori prospettive di crescita.
Quale sarà il futuro di quei prodotti finanziari cui si è addossata la colpa della crisi come ad esempio i prodotti strutturati?
Credo che il principale problema dei prodotti finanziari strutturati di nuova generazione, come i CDOs (Collateralized Debt Obligations, ndr), sia la loro opacita’, la loro scarsa liquidita’ e l’estrema difficolta’ della loro valutazione. Il mercato si e‘ bloccato quando ha dovuto determinarne il vero valore, che costituiva una parte rilevante dell’attivo delle banche che li avevano acquistati. La crisi finanziaria e’ iniziata come una crisi di fiducia tra le banche, che non volevano prestarsi denaro tra loro nell’incertezza (non ancora finita) sullo stato dei loro conti. Dal mercato interbancario la crisi si e’ propagata a tutto il sistema finanziario, fino a contagiare l’economia reale. Alla radice, tutto il problema era la fragilita’ di tutta l’architettura finanziaria, che i prodotti strutturati – originati e distribuiti in tutto il mondo dalle grande case di investimento – hanno incrementato a dismisura. Alla fin fine si puo’ dire che l’origine di tutti i mali sia stata l’eccessiva creazione di denaro, tramite il credito, non accompagnata da una parallela creazione effettiva di ricchezza reale che giustificasse quell’enorme massa di mezzi di pagamento.
Secondo Lei i mercati capitalistici li emargineranno o continueranno a resistere sotto altre forme?
L’innovazione finanziaria e’ una parte essenziale dello sviluppo capitalistico, per cui credo che, dopo una battuta di arresto, quel processo riprendera’, sotto forme diverse. Sperabilmente sottoposto a maggiori controlli da parte delle autorita’ preposte alla vigilanza del sistema.
La deflazione è un pericolo reale per i prossimi anni?
Al momento la deflazione rappresenta il piu’ grosso rischio che dobbiamo affrontare e, nel caso si materializzasse, sconfiggere. Vedo che le autorita’ preposte si stanno gia’ muovendo in questa direzione, con grande rapidita’, che – come dimostra il caso giapponese degli anni novanta – rappresenta un ingrediente essenziale della soluzione. Tuttavia, superato un periodo deflattivo causato dallo scoppio della bolla immobiliare, la stretta creditizia e la recessione economica, credo che sia giusto sottolineare un altro rischio che potrebbe materializzarsi a partire dal 2010/2011. Ossia una gigantesca ondata inflattiva dovuta alla monetizzazione del debito pubblico emesso per fronteggiare la crisi finanziaria che stiamo affrontando adesso, nel caso le politiche fiscali espansive che vediamo implementare al momento non siano seguite da una uguale e contraria successiva stretta fiscale. Cosa che non credo sara’ facile da realizzare e far digerire a un tessuto sociale che a quel punto sara’ stato sottoposto a una notevole quantita’ e varieta’ di stress. Quest’ondata inflattiva – o la volonta’ di prevenirla – potrebbe risultare nella necessita’ da parte delle banche centrali di alzare i tassi di interesse a livelli da anni ’70, causando un’ulteriore fase recessiva che a quel punto prenderebbe le sembianze di una nuova stagflazione. Concludendo, direi che tra crisi finanziaria, recessione, deflazione, inflazione e successiva stabilizzazione ci apprestiamo ad affrontare un decennio estremamente complesso, caratterizzato da altissima volatilita’, che potrebbe essere la lost decade dell’Occidente.