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de Raffaele K. Salinari
Il VII Forum Sociale Mondiale che si terrà a Nairobi in Kenia dal 20 al 25 gennaio sarà finalmente
l’occasione per accendere un riflettore diverso sulla realtà del continente nero. Mostrare una realtà
africana in movimento, consapevole delle sfide in gioco nella realtà di questa parte del mondo, e
dare voce a una società civile troppo spesso offuscata da un’informazione se non distorta almeno
parziale: queste le vere sfide al centro del Forum.
Sin da quando il Consiglio Internazionale ha deciso di tripartire il Forum del 2006 a Caracas, Karaci
e Bamakò, la sfida del continentale africano si è rivelata la più difficile ma anche la più necessaria
e interessante. L’appuntamento di Nairobi sarà l’occasione di vedere con gli occhi dell’Africa
tutto quello che il Movimento Sociale Mondiale ha elaborato nel corso degli ultimi due anni.
Spesso l’Africa vene descritta come un continente alla deriva, ormai piegato nella sua volontà di
sviluppo e democrazia dalla pandemia dell’Aids o da una serie di guerre intestine i cui confini sembrano
mobili come le masse di rifugiati che popolano il continente. La lista dei problemi africani è
lunga, lo sappiamo, ma quello che forse ancora non cogliamo è che esiste pure una volontà nuova
da parte delle popolazioni di affrontarli, di leggerli e risolverli in un altro modo, molto più radicale e
dinamico di quanto la vulgata della cooperazione Nord Sud abbia proposto sino ad oggi.
In realtà la consapevolezza dei guasti della cosiddetta cooperazione allo sviluppo, vero strumento
geopolitico della dominazione da sempre imposta al continente da parte dei paesi ricchi, è oggi
uno degli elementi di questa nuova critica nei confronti di modelli precostituiti. Una critica che porta
le organizzazioni di base africane a rivendicare con voce ferma un nuovo principio di autodeterminazione
che assomiglia molto a quel “Que se vaian todos!” che abbiamo ascoltato nelle strade argentine
nei giorni della rivolta contro il Fondo Monetario Internazionale.
Un’Africa per gli africani potrebbe dunque essere lo slogan di questo Forum, uno slogan le cui implicazioni
anche per gli attivisti occidentali sono immense. Non dobbiamo infatti negarci al fatto
che, anche negli strati più attenti del Movimento Sociale Mondiale, l’Africa è ancora vista come un
continente “da aiutare” attraverso l’aumento delle risorse da dedicare alla cooperazione o attraverso
piani di sviluppo più o meno condivisibili come il NEPAD, la nuova Partnership per l’Africa lanciata
dal G8 nel summit di Genova, e aspramente criticata da molti intellettuali del continente proprio
per la sua logica eterodiretta.
E’ questa mentalità “del continente del bisogno” a essere sempre più contestata dai leader del movimento
africano, che non rinunciano in ogni occasione a criticare ferocemente l’atteggiamento
“paternalista” anche dei loro compagni occidentali. Ad esempio, quanti sono consapevoli che le
rimesse degli emigrati africani in Europa sono di ben tre volte superiori a tutto quello che l’insieme
dell’Unione Europea elargisce in termini di aiuto al continente nero? In realtà, e non potrebbe essere
altrimenti, è l’Africa che aiuta l’Africa: questo sarà il succo delle sfide con le quali ci confronteremo
a Nairobi.
Come riconoscere e organizzare al meglio queste potenzialità endogene che, partendo dall’idea di
una rinascita africana, dovrebbero portare il continente a intraprendere una sua strada, a delineare
un suo modello di sviluppo, esattamente come l’occidente ha fatto da tempo, salvo poi a “proporlo”
a suon di cannonate al resto del mondo? A Nairobi gli assi tematici decisi dal Consiglio Internazionale
parlano molto di resistenza e restituzione. Resistenza al neoliberismo, alla sua logica di guerra,
di spoliazione di risorse ma, ancor più, di dignità per le culture che non si sottopongono al “pensiero
unico” del massimo profitto. Restituzione: all’Africa e a tutte le realtà impoverite, per i soldi
che le sono stati tolti dalla creazione artificiale del debito; restituzione della sovranità sui processi
democratici, del controllo sulle risorse strategiche.
Dignità e diversità culturale saranno dunque i temi portanti di Nairobi, insieme alle lotte per un “altro
mondo possibile” anche in Africa e con l’Africa. L’espropriazione della cultura africana, nelle arti
plastiche, nella musica, nella stessa moda etnica, è scontato, ma non evidente in termini di reale
impoverimento del continente. Se siamo convinti che il “capitale umano” e quindi la cultura che
parte dalla tradizione, rappresenti un qualcosa da implementare, ebbene la restituzione in termini
di dignità e riconoscimento dei debiti culturali nei confronti dell’Africa sarà necessaria.
La battaglia contro i diritti di proprietà intellettuale, i Trips, non è solo uno scontro tra ambientalisti
occidentali e multinazionali, è anche un modo per restituire ai legittimi proprietari secoli di espropriazione
culturale e innescare nuovi meccanismi di produzione culturale autonoma dalla quale i
creatori possano trarre beneficio diretto, come dall’estrazione mineraria o del petrolio.
Anche la nostra Ong, che è particolarmente impegnata in temi di drammatica attualità per il continente
– il traffico dei bambini, i bambini schiavi, la crescente analfabetizzazione delle arre rurali - è
stata costretta da queste critiche a cambiare radicalmente la sua maniera di operare. Oggi è chiaro
che si parte dalla denuncia politica che questi flagelli sono effetti di una mancanza strutturale di
giustizia, di opportunità di autodeterminazione, e questo codifica una nuova maniera di cooperare,
in termini di restituzione appunto.
Nairobi individua questo concetto di restituzione come centrale
anche per un dialogo realmente paritario, perché l’Africa torni ad essere non solo arbitra del suo
destino ma maestra riconosciuta di noi tutti.
* Presidente Terre des Hommes, Consiglio Internazionale FSM