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L’Italia e’ l’unico paese al mondo a mandare i soldati in guerra e a pretendere pure che non li uccidano!
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L’Italia e’ l’unico paese al mondo a mandare i soldati in guerra e a pretendere pure che non li uccidano!
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1. Riflessione..., 18 settembre 2009, 12:01, di Fausto
Vero.
Forse dipende da qualche peculiarità culturale tutta italiana, chissà... La cosa riguarda anche la sinistra, però: non è che siamo esenti da questo genere di debolezze.
Ad esempio pare che ci sia chi è convinto che basti ritirare le truppe (magari anche solo le "nostre") per porre fine alla guerra.
E’ evidente, mi sembra, che così non può essere: la guerra c’era prima dell’ invasione ed è molto verosimile ritenere che proseguirebbe allegramente, anche se venisse ritirato fino all’ ultimo soldato occidentale.
Questo atteggiamento illusorio fa il paio con un altro atteggiamento, che trovo, invece, francamente ipocrita.
Ieri, a Kabul, non ci sono state solo vittime italiane: decine di civili afgani sono stati colpiti nell’ attentato, infatti.
Ma nessuno, a sinistra, ne parla.
Il ragionamento deve essere pià o meno questo: quei civili sono stati forse uccisi dagli americani? No. E allora possono essere tranquillamente rimossi, come non fossero mai esistiti.
Così si evita il fastidio di dover condannare i responsabili della strage. Ovvero i Talebani.
La sinistra (o almeno una parte di essa) guarda all’ Afghanistan con un occhio chiuso, insomma. E quello che rimane aperto è accecato da un antiamericanismo fossile, che ormai basta a giustificare se stesso.
E’ un tragico errore.
1. Riflessione..., 18 settembre 2009, 12:53
Bah ... d’accordo aull’ "antimericanismo fossile" che tra l’altro ha permesso, proprio perchè generico ed indistinto, il rifarsi una "verginità" sul web anche a veri e propri fascisti, in alcuni casi in qualche modo "dissimulati" ma in altri anche apertamente dichiarati come tali, che però in quanto "antiamericani" finiscono per trovare qualche credibilità personale anche presso un certo tipo di compagni.
Di casi del genere ce ne sono a decine ma in particolare vorrei segnalare personaggi al limite del nazismo come Paolo Franceschetti o Maurizio Blondet ....
Una volta detto questo ed una volta chiarito che per me "il nemico del mio nemico" - nello specifico i Talebani ma vale anche per gli ayatollah iraniani o per la giunta militare birmana o per Gheddafi o per Putin o ieri per Saddam o Milosevic - non è assolutamente ed automaticamente mio amico ... rimane comunque il fatto che la guerra afghana condotta dai cosiddetti "volenterosi" occidentali è stata prima una infamia e poi, come i fatti dimostrano, anche un completo fallimento.
E che innegabilmente i Talebani ( peraltro originariamente creatura Usa come Bin Laden e come tanti altri "bau bau") hanno comunque un largo consenso di massa.
Consenso di massa che insieme alla particolare conformazione geografica di quel paese - ideale per la guerriglia - e alla assoluta non credibilità dei "fantocci" come Karzai messi al potere dai citati "volenterosi" ( le recenti elezioni sono state, anche a detta degli osservatori Onu, un broglio colossale) porterà fatalmente i "volenterosi" a fare la fine che su quel territorio hanno già fatto prima gli inglesi e poi i russi.
Con tutte le conseguenze del caso rispetto alle quali l’attentato di ieri è in proporzione piccola cosa.
Indi per cui, se le truppe italiane fossero ritirate - anche unilateralmente come già fatto per l’Iraq - prima possibile sarebbe comunque un bene per tutti .... del resto anche il partito di Obama parla ormai apertamente di "exit strategy" ... perchè non dovremmo farlo noi ?
Raf
2. Riflessione..., 18 settembre 2009, 14:17, di Fausto
Perchè ritirare le truppe e basta non è una "strategy": è lavarsene le mani.
Mi sembra che una analisi di quanto è avvenuto in questi anni in Afghanistan sia necessaria. Qualcosa di più approfondito -di più scientifico- del semplice "USA invasori".
Questa analisi non posso certo farla io.
Ma la sinistra (almeno quella che si richiama al marxismo) dovrebbe sentire la necessità di andare un pò oltre le solite condanne rituali, ponendosi alcune domande con l’ obiettivo di costruire, appunto, qualcosa di simile ad una "strategy"...
– Prima di tutto i Taliban governavano. E ora non governano più.
E’ un bene? E’ un male?
– Quale futuro riteniamo accettabile per l’ Afghanistan?
Rispondere "quello che il popolo afgano sceglierà" (magari citando il concetto di autodeterminazione) è un’ altra ipocrisia: chi garantirà loro questo diritto di scelta? I Taliban, noti paladini della libertà di pensiero?
– I Taliban hanno consenso di massa.
Si potrebbe obiettare che anche Hitler lo aveva, aggiungendo che pure i metodi non si differenziano di molto da quelli di un qualsiasi fascismo.
In realtà non credo che i Taliban siano in qualche modo legittimati da un particolare consenso. Sono legittimati (e l’ ennesima strage di civili lo dimostra) dalla paura che suscitano.
E’ una cosa diversa dal consenso.
– Chi sta vincendo la guerra? I tentativi di domare l’ insurrezione sono falliti. Ma gli insorti non sembrano affatto in grado di scacciare gli occupanti.
E’ una situazione di stallo in una guerra di attrito, in cui entrambe le parti sembrano avere la volontà, la forza e l’ interesse per continuare.
Questo può piacerci o meno ma è la realtà con cui dovremmo fare i conti: la guerra continuerà, i soldati rimarranno dove sono.
A meno che non venga alla luce una nuova "strategy". Che non può essere nè quella di Bush e neanche quella di Obama. Ma quella di una sinistra che ritorna a leggere gli avvenimenti in modo razionale, sbarazzandosi delle incrostazioni terzomondiste, antiamericane e moraliste che, troppo spesso negli ultimi anni, le hanno fatto prendere lucciole (vedi Hamas o Hezbollah) per lanterne.
Il che, mi rendo conto, è forse chiedere troppo.
Ma l’ idea di "aprire una trattativa con il nemico" -che è stata ed è la linea portata avanti in questi anni dalla migliore sinistra italiana, tanto al governo quanto all’ opposizione- mi sembra la più lungimirante.
Perchè traguarda la pace e perchè, allo stesso tempo, mette i due partiti della guerra (quello occidentale e quello dell’ integralismo) sullo stesso piano: di fronte alla responsabilità di rifiutarla.
In questa prospettiva il ritiro delle truppe non sarà un regalo ai Taliban o un’ arma da sventolare sotto il naso degli odiati americani: sarà la contropartita politica di un accordo.
3. Riflessione..., 18 settembre 2009, 14:32
Il precedente commentatore dice :
"Ma l’ idea di "aprire una trattativa con il nemico" -che è stata ed è la linea portata avanti in questi anni dalla migliore sinistra italiana, tanto al governo quanto all’ opposizione- mi sembra la più lungimirante. Perchè traguarda la pace e perchè, allo stesso tempo, mette i due partiti della guerra (quello occidentale e quello dell’ integralismo) sullo stesso piano: di fronte alla responsabilità di rifiutarla.
In questa prospettiva il ritiro delle truppe non sarà un regalo ai Taliban o un’ arma da sventolare sotto il naso degli odiati americani: sarà la contropartita politica di un accordo."
Condivido pienamente, probabilmente non ci siamo capiti.
Rimane il fatto che, se tra i "volenterosi" questa volontà di "trattare col nemico" non si afferma, non vedrei nulla di male in un ritiro unilaterale ....
K.
4. Riflessione..., 18 settembre 2009, 15:20, di Enrico Biso
La sinistra che dice "aprire una trattativa con il nemico" è la sinistra che con il governo Prodi sventolò questo concetto per rifinanziare in realtà la missione di guerra in Afghanistan. E’ la sinistra che assomiglia sempre di più alla destra, che mette sullo stesso piano gli invasori occidentale e tutte dico tutte le resistenze antimperialiste. E’ cosi’ migliore questa sinistra, che ha aperto le porte del governo ad un fallito Berlusconi che più nessuno immaginava di rivedere al governo.
Altro che miglior sinistra.
I taliban governavano in piena sintonia di affari con chi dice di aver invaso l’Afghanistan per riportare la democrazia, intermediatore di questi affari era colui che è diventato il simbolo nemico numero uno. I brogli elettorali sono l’esempio di questo vero e proprio inganno alla pari del trovare armi di distruzione di massa in Iraq.
Il futuro degli Afghani è nelle loro mani, nella loro autodeterminazione che li vedrà, nel prossimo futuro contro sia i fantocci pro-usa, sia gli integralisti di tutte le linee possibili.
Se i taliban hanno un consenso creato con il terrore, i fantocci filo-usa, sono la scusante con cui riescono a difendere le loro posizioni di dominio. Se per sventura gli afghani dovessero aspettarsi di ottenere i loro diritti, sperando negli integralismi o nei capitalismo, avrebbero ancora più cocenti sconfitte.
Questo però non vuol dire essere equidistanti nel conflitto odierno, e l’appoggio a chi resiste all’invasione occidentale non può venire meno.
Senza illusione alcuna, solo una ipotesi di socialismo continentale può fornire l’antidoto a sfruttamenti e prevaricazioni di stati e di classe.
Una sinistra che non sa più lavorare perchè questo scenario avvenga è destinata ad essere subordinata a politiche "altre".
E poi, credere che questa guerra non la stia vincendo nessuno è veramente incredibile.
Basterebbe interrogare gli stessi analisti militari e strategici occidentali, registrare le azioni di guerriglia, contare l’aumento di vittime militari, e soprattutto non buttarla, come si dice a Roma, in caciara equidistante, per capirlo. Via dall’Afghanistan, senza se , senza ma, Oggi più di ieri.
Purtroppo da una sinistra "migliore" che è riuscita ad appoggiare un Bush non ci si può aspettare altro che sconfite su sconfitte, senza battaglia alcuna.
Al limite è una sinistra in cerca di posticini e pronta sempre a dimostrare di essere credibile e affidabile. Ma che sinistra è ?
5. Riflessione..., 18 settembre 2009, 18:19, di Fausto
Si, infatti parlavo proprio della linea politica del PRC che, sull’ Afghanistan, non mi sembra cambiata dai tempi di Prodi e Bertinotti: come allora si ritiene che la soluzione del conflitto passi per la trattativa. Con il nemico: ovvero con i Talebani.
E questo, oggi come allora, lo apprezzo molto. Sia perchè rappresenta una soluzione (per quanto difficile) da sinistra sia perchè stabilisce un parametro politico importante: il nemico è chi propugna l’ idea di una società teocratica.
E come potrebbe essere altrimenti, per chi si dice di sinistra?
Enrico Biso introduce il tema della non equidistanza: in sostanza dice che dovremmo comunque sostenere chi lotta contro gli americani.
Chiunque sia.
Se poi , come spero, ho capito male dimmelo e mi scuserò.
Fatto sta che, indipendentemente dalle convinzioni di Enrico e dall’ interpretazione che ne ho dato, questa posizione esiste.
Sopravvive nel PRC. E caratterizza (non certo a caso) il PdCI e gli altri partitini, quelli dello zero-virgola.
Bene, secondo me questa posizione è, sul piano politico, molto più snaturante di qualsiasi voto a favore del rifinanziamento delle missioni militari.
Perchè in sostanza si tratta di schierarsi a fianco di organizzazioni politiche che hanno un segno politico ben preciso. Di estrema destra.
Come altro definire ciò che rappresentano i Talebani nel loro contesto politico, infatti? Per tacere di Hamas, di Hezbollah, di Ahmadinejad: tutti eroi "antimperialisti".
Altro che pacifismo... di fatto, di fronte alla guerra, si sceglie una parte -quella peggiore!- e la si appoggia. E così si diventa del tutto subalterni alla logica della guerra!
Se si riduce tutto alla lotta antimperialista si finisce in questi paradossi.
E poi, non a caso, su questo permeabile terreno piovono le idee dei Blondet...
6. Riflessione..., 18 settembre 2009, 20:42, di Enrico Biso
Altro che trattativa, quella aperta dalla sinistra governista durante il governo Prodi era un tentativo di far votare la missione di guerra e poi sssshhhh il nulla di chi era riuscito a rifinanziare la guerra, con una montagna di denaro .
Mantenere buono, buono il sentimento di repulsione popolare della guerra, con dilazioni temporali che sono servite a far passare politiche interventiste.
Avere a livello internazionale meno problemi possibili.
Volerci vedere altro, per carità ,lo si può fare, ma bisognerebbe dire il perchè non se ne fece più nulla.
E stiamo parlando di alcuni anni or sono.
E intanto i morti afghani si contano in numero altissimo.
Il popolo afghano che subisce l’occupazione delle forze armate dei paesi imperialisti non può far altro che praticare la resistenza.
Confondere i resistenti con i teocratici non è una scelta difficile, è consegnarsi a politiche che intendono continuare a sfruttare, a dominare, ad avere come orizzonte unico i modelli occidentali.
Ora se si vuole dire che ho scritto che bisogna appoggiare i talebani, anche qui , lo si può fare, peccato che il mio post, sia poco spazio sopra questo e chiunque può constatare che ho indicato altro.
A meno che " lavorare per un socialismo continentale" venga scambiato con la voglia dire propagandare i taliban, hamas, hezbollah, o altro ancora.
Ed allora si capisce il perchè siamo, come sinistra nel suo complesso, messi proprio male.
7. Riflessione..., 18 settembre 2009, 22:40, di Nando
Caro Enrico hai ragione le persone come Fausto confondono che chi vuole la ’pace’ di tutti popoli sia per forza schierato con qualcuno vedi le stronzate sulla difesa dei talebani, hamas ecc.ecc. Come ad esempio l’anno scorso perchè condannavamo Israele per l’aggressione e lo stillicidio ai polestinesi ci attribuivano di essere antisemiti quando lo sanno anche i bambini che i palestinesi sono SEMITI!!! QUINDI PER FAVORE COERENTI,PREPARATI E CORAGGIOSI PRIMA DI DIRE STUPIDAGGINI.ALTRIMENTI AIUTERETE E DIFENDERETE TUTTI I GOVERNI GUERRAFONDAI E LE MULTINAZIONALI BELLICHE CHE APPUNTO SI NUTRONO DEL SANGUE DELLE VITE E DEI DOLORI UMANI.ALTRO CHE ANTIAMERICANISMO!!!!!!!!!! VOLEVO UNA RISPOSTA DAL ’PACIFISTA’ FAUSTO. Nando
2. Riflessione..., 19 settembre 2009, 17:44, di ob
** Il costo dell’ambiguità **
di sergio romano
La caccia ai responsabili, in una vicenda come quella di Kabul, è un esercizio che non rende omaggio ai morti e diventa spesso occasione di interessati bisticci politici. Non è inutile, invece, chiedersi se la presenza italiana in Afghanistan risponda a una ragionevole politica nazionale. È giusto inviare «truppe di pace» in un Paese dove si combatte? È giusto esporre i propri soldati alle insidie del nemico, ma evitare al tempo stesso che si comportino, in tutto e per tutto, come forze combattenti?
L’invio di truppe in un Paese straniero per creare o mantenere condizioni di pace appartiene alla logica dell’Onu e ai principi della comunità internazionale.
E’ stata questa la ragione per cui abbiamo inviato militari in Congo, Libano, Somalia, Bosnia e Kosovo. Attenzione. Nessuna di queste operazioni è stata totalmente disinteressata.
Siamo andati in Iraq, dopo l’occupazione americana, perché il governo Berlusconi riteneva utile, in quelle circostanze, essere al fianco degli Stati Uniti.
Siamo andati in Libano perché il governo Prodi riteneva che la nostra presenza militare, dopo la guerra israeliana, avrebbe conferito maggiore credibilità alla nostra politica medio- orientale.
Siamo in Afghanistan perché gli Stati Uniti hanno chiesto alla Nato di essere aiutati a sbrogliare una matassa che la frettolosa guerra di Bush aveva reso particolarmente imbrogliata.
Viviamo tempi tumultuosi in cui il prestigio internazionale di un Paese si misura dalla sua capacità di partecipare a un’operazione militare.
Un contingente di truppe è stato molto spesso, in questi anni, il prezzo che il Paese doveva pagare per avere un rango internazionale corrispondente alle sue ambizioni.
Ciò che ha fatto l’Italia non è sostanzialmente diverso da ciò che hanno fatto, tra gli altri, la Gran Bretagna, la Francia, la Spagna, la Polonia, l’Ucraina e da ultimo, con maggiori difficoltà, la Germania.
Ma nel caso dell’Italia, come per certi aspetti in quello della Germania, esistono peculiarità che hanno condizionato la politica dei governi.
Il Paese è stato malamente sconfitto durante la Seconda guerra mondiale e ha sviluppato da allora una «cultura della pace» in cui si sono confuse componenti diverse: pensiero cattolico, neutralismo, odio per gli Stati Uniti e una concezione dogmatica dell’articolo della Costituzione in cui l’Italia «ripudia la guerra».
I governi hanno dovuto venire a patti con questi sentimenti e hanno creduto di risolvere il problema mandando «truppe di pace» in teatri di guerra.
E per di più, come se il tasso d’ambiguità non fosse già sufficientemente elevato, hanno ridotto i bilanci delle Forze Armate al limite della sopravvivenza.
È questa la ragione per cui la perdita di un soldato, quando accade, appare alla società italiana molto più inattesa, incomprensibile e assurda di quanto non appaia in Paesi dove i governi hanno parlato alla loro opinione pubblica con maggiore chiarezza e hanno fornito ai loro soldati le armi di cui avevano bisogno.
Forse è giunta anche per il governo italiano l’ora di dire francamente perché siamo in Afghanistan e quali siano i rischi da correre.
L’ambiguità, dopo i fatti di Kabul, offende il Paese e i suoi morti.
19 settembre 2009