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Rifondazione, cuore dell’opposizione
di Claudio Grassi
su Il Manifesto del 05/08/2008
Alcuni articoli e interviste apparse in questi giorni su il manifesto e su Liberazione hanno dato una rappresentazione delle conclusioni del congresso di Chianciano molto negative, in alcuni casi sprezzanti. Asor Rosa ha parlato di «gruppettarismo», Dominijanni di «strategia del ripristino», Vendola di un «Prc morto e seppellito a Chianciano». Per non parlare dei vari esponenti del Pd, da D’Alema a Veltroni e di tutta la grande stampa, Repubblica in primis che hanno tuonato contro la regressione minoritaria, identitaria e settaria uscita maggioritaria dal congresso.
Ma le cose stanno veramente così? Proviamo a ragionare.
Rifondazione Comunista è andata al suo settimo congresso non solo dopo una sconfitta elettorale disastrosa, ma dopo una esperienza di governo devastante che è stata la causa vera di quella sconfitta.
Trovo stupefacente, nel dibattito che si è sviluppato, la rimozione di questo problema. Eppure un Congresso dovrebbe servire a fare un bilancio della linea tracciata dal congresso precedente, valutarne i risultati, vedere ciò che ha funzionato e ciò che non ha funzionato e, sulla base di questo, individuare una nuova proposta politica.
Il Congresso di Venezia
Cosa si decise allo scorso congresso di Rifondazione Comunista, quello di Venezia? Sostanzialmente due cose. La prima, che si poteva e si doveva entrare nell’Unione di centrosinistra e, se si vincevano le elezioni, nel governo, la seconda è che il partito doveva essere gestito dalla sola maggioranza.
Ebbene quella proposta è fallita. Non solo il governo non è stato permeabile ai movimenti, come si era teorizzato, ma è avvenuto il contrario. Basta riflettere sul fatto che le 5 grandi manifestazioni nazionali che si sono svolte durante il governo Prodi (due contro la precarietà, una contro la base di Vicenza, una in difesa della 194 e una per i diritti), non hanno influito minimamente sulle scelte dell’esecutivo. Al contrario le pressioni di Confindustria (cinque punti di riduzione del cuneo fiscale), del governo Usa (la base a Vicenza), e del Vaticano (no ai Dico) hanno trovato riscontro nelle scelte dell’esecutivo. Inoltre il partito gestito dalla sola maggioranza ha provocato uno scontro interno continuo che ha indebolito l’iniziativa esterna del partito.
Questo progetto politico e organizzativo, voluto fermamente da Bertinotti e sostenuto da tutto il gruppo dirigente dell’allora prima mozione, è alla base del disastro odierno: fuori dal Parlamento , con un partito lacerato e con sondaggi che ci danno un consenso che oscilla tra il 2 e il 3 per cento. Allora, quando si scrivono articoli dove si lascia intendere che la precedente gestione ha portato il partito a grandi successi e che starebbero per essere dilapidati dall’attuale maggioranza uscita dal congresso, mi pare si attui, come minimo, una forzatura.
Dicevo che trovo stupefacente il fatto che dal dibattito che emerge non solo sul congresso del Prc, ma anche di quelli delle altre forze della sinistra che si sono svolti in luglio, non si affronti di petto il tema del governo.
A me pare questa, invece, la questione delle questioni che spiega le differenze che si sono prodotte nel congresso di Rifondazione e che fanno emergere una posizione diversa nel rapporto con il Pd e sul processo unitario a sinistra. Il problema non è di facile soluzione se è vero, come è vero, che viene vissuto con grandi difficoltà e contraddizioni da quasi tutta la sinistra di alternativa in Europa.
Non è di facile soluzione perché, come abbiamo visto in tutte le campagne elettorali, quando si tratta di contrastare la destra, di fare fronte comune per impedire che vada al governo del paese, la pressione del popolo della sinistra per fare una intesa è fortissima. E ciò, in genere, produce anche dei risultati elettorali positivi. I due risultati più consistenti, Rifondazione li consegue nel 1996 con l’8,6% e nel 2006 con il 7,2% al Senato avendo realizzato intese, seppur diverse, con il centrosinistra. Ma è altrettanto vero che entrambe le esperienze falliscono dopo due anni e che il consenso elettorale di Rifondazione crolla: il 4,3% nel 1998, il 3,1 per cento nel 2008 (con un bacino elettorale delle quattro forze che avevano dato vita alla Sinistra arcobaleno di oltre dieci punti).
E’ del tutto evidente che ciò è avvenuto poiché la mancata realizzazione delle riforme minime che avrebbero consentito alla sinistra di alternativa di avere un riscontro positivo con i propri referenti sociali ha creato una progressiva delusione. Lo abbiamo toccato con mano proprio durante quest’ultima esperienza di governo con le contestazioni che abbiamo subito davanti alla Fiat e trovandoci soli in Piazza del Popolo quando venne Bush.
La sinistra in Europa
E non sarà un caso se in Spagna e in Francia - Izquierda Unida e il Pcf - vengono triturati come noi dopo aver partecipato a governi di centrosinistra. Questo mi pare il nodo da affrontare e che tutta la sinistra, anziché rifugiarsi in etichettature di comodo rispetto al dibattito del Prc, farebbe bene a discutere. Io penso che sulla base dell’esperienza fatta in questi anni, in Italia e in Europa, in questa fase, con questi rapporti forza nazionali e internazionali, con l’impianto politico sociale e anche culturale che si è dato il Pd, non ci siano le condizioni per lavorare alla costruzione di un nuovo centrosinistra che si ponga l’obiettivo di governare il paese. Penso che Rc, pur mantenendo una propensione unitaria a partire dalle istituzioni locali, debba tuttavia lavorare per diventare il cuore dell’opposizione, cercando di ricostruire i fili che si sono spezzati con il mondo del lavoro, con i movimenti e anche per reinsediarsi come partito nei territori.
Questo è il punto che è stato alla base del nostro congresso e che ci ha posti di fronte al bivio: da un lato con la proposta della costituente della sinistra si sarebbe dato avvio alla costruzione di una nuova forza della sinistra prevalentemente con Sd che avrebbe prodotto una forza molto prossima al Pd, dall’altro il mantenimento di Rifondazione Comunista, non come rifugio identitario, ma come tentativo di mantenere viva una forza politica alternativa al capitalismo, che non si accontenta di muoversi nei meccanismi dell’alternanza e del bipolarismo.
Si può condividere l’uno o l’altro, ma, forse, occorrerebbe entrare più nel merito di quanto non si sia fatto sinora.