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Rifondazione vira a sinistra, resta comunista
Publie le mercoledì 30 luglio 2008 par Open-PublishingRifondazione vira a sinistra, resta comunista
di Marco Sferini
Vede bene Veltroni quando dice di aver osservato nel congresso del PRC una tendenza politica non propensa al riformismo. E, dal suo punto di vista, è corretta anche l’analisi che sa di frase già detta o pre-impostata secondo cui ora alla guida di Rifondazione Comunista ci sarebbe un gruppo di estremisti. Estremisti sì, ma per un non vecchio ma rinnovato concetto di uguaglianza che non sembra avere più molta cittadinanza nella sinistra italiana e, tanto meno, in quella che si è fatta "centro", come per l’appunto il Partito Democratico.
Insomma, Rifondazione Comunista sceglie di rimanere tale come soggetto autonomo, come partito comunista che, però, proprio perché marxista nell’analisi della società e nella critica del capitalismo, per il suo superamento, dice di accettare la sfida dei tempi e di assumere le categorie di interpretazione non come fissità ideologiche, ma come "cassetta degli attrezzi" utile proprio per il futuro.
Rifondazione, in fondo, continua a significare questo: un percorso che non è finito, che è cominciato diciassette anni fa e che oggi, in un momento in cui le forze comuniste e socialiste sono fuori dal Parlamento, viene ad essere ancor più attuale di quanto non lo fosse ai tempi della Bolognina. Già... la Bolognina. Lo spettro di una nuova "evoluzione" socialdemocratica aleggiava nei congressi di circolo, in quelli di federazione, nel mentre ci si domandava quale approdo avrebbe avuto, nel caso fosse risultata vincente, la proposta della “Costituente della sinistra”.
Ma il risultato, alla fine, è stato quello di non avere alcuna proposta politica vincente e di consegnare al Congresso di Chianciano il compito di fare sintesi, di elaborare una convergenza tra tutte le mozioni. Già dal primo giorno era abbastanza chiaro che, essendo la relazione di Nichi Vendola la punta più avanzata di mediazione con la mozione 1, il percorso di un incontro sarebbe stato parecchio accidentato.
Ed infatti Rifondazione Comunista si è trovata ad un redde rationem tra due diverse impostazioni organizzative, politiche e culturali riguardanti sé medesima. Da un lato la proposta di un partito che avrebbe dovuto, seppur con un rallentamento dovuto ai consensi di maggioranza relativa ottenuti, procedere sul terreno della costituente senza aggettivi; dall’altro il rilancio del Partito, della sua autonomia, la proposta di una svolta a sinistra per uno smarcamento dall’area di influenza del Partito democratico e, infine, la costruzione di quella opposizione sociale e politica nei confronti del governo del Cavaliere nero di Arcore.
E’ evidente che i proponitori di un nuovo soggetto politico della sinistra, quella senza aggettivi, indistinta e indistinguibile, siano rimasti delusi. Claudio Fava ha da subito detto che la stessa relazione di Vendola era un passo indietro rispetto al documento congressuale. Eppure quello era il tentativo di non perdere una battaglia per il controllo del Partito che sarebbe divenuto, a quel punto, uno strumento non per rilanciare il comunismo rifondato e attualizzato all’oggi, ma una organizzazione utilizzata allo scopo di gestire al meglio la transizione verso il partito unico della sinistra, così richiesto da Fava, Mussi, Occhetto, Bellillo.
Il congresso ha detto di no a questa ipotesi, e lo ha fatto accelerando su una ipotesi di documento finale che potesse trovare concordi tutti coloro che, seppure tra differenze non certo di piccolo cabotaggio, si sono espressi per soluzioni alternative, per piattaforme di riorganizzazione del PRC anche distanti tra loro, ma che come minimo comune denominatore avevano ed hanno l’avversione nei confronti dello scioglimento del Partito in un altro partito di stampo riformista e non più comunista, ma il cui orizzonte sarebbe divenuto quello di formare una forza simile a quella uscita dalla prima Bolognina.
Vendola, dalle pagine dei giornali, afferma che secondo lui la Rifondazione Comunista che ha conosciuto e contribuito a fondare è morta a Chianciano.
Io trovo questa affermazione legittima se esaminata su un esclusivo piano politico: ma la trovo comunque ingenerosa, anzi la considero offensiva perchè mi sembra figlia di un infantile protesta per la sconfitta subita.
Il clima congressuale non aiuta ad essere sereni, ma lasciarsi andare a battute del tipo: “Qui bisognerebbe chiamare il 113”, così come riportate tra virgolette dal Corriere della Sera, è francamente disarmante, desolante e mortificante per quel Partito a cui Vendola prometteva vita lunga nonostante la sua “Costituente”.
Che la nuova linea politica del PRC possa non piacere ai riformisti e a tutti coloro che sognavano una fase di trasformazione della sinistra comunista in una sinistra socialista è più che comprensibile. Ma credo debba essere anche compreso e accettato che noi avremmo ritenuto quella mutazione una snaturazione del ruolo per cui è nata, si è sviluppata ed è cresciuta sino a poco tempo fa, sia pure in fasi alterne, Rifondazione Comunista.
Che il PRC si ponga come primo problema il lavoro è forse un elemento di così forte estremismo come dichiarato da Veltroni? Che il PRC ricerchi il dialogo e l’unità di intenti con le altre forze della sinistra per una durissima opposizione alle politiche delle destre è un segno distintivo di una dirigenza estremista?
Che il PRC possa e debba fare autocritica, autoanalisi e sviluppare una nuova impostazione strategica nel suo essere parte della società e di una politica dove i comunisti siano autonomi rispetto al liberalismo liberistico del Partito democratico è o no legittimo? Oppure è anche questo un atteggiamento esclusivo di una cricca di autoreferenzialisti, demagoghi e nostalgici della falce e del martello?
Se siamo stati giudicati così, mi sembra che allora abbiamo preso la strada più giusta, quella che ha fatto ben intendere da subito che Rifondazione dava un giudizio negativo dell’esperienza di governo che ha portato al non voto centinaia di migliaia di persone che guardavano non solo al PRC, ma alla sinistra intera come ad un ultimo appiglio di speranza per la difesa e l’avanzamento dei diritti sociali e civili.
Ed invece il governo è rimasto sordo alle nostre richieste: non ha prestato orecchio ai movimenti contro la base di Vicenza, contro la Tav. Non ha neppure preso in considerazione la timida proposta legislativa dei Di.Co.
Ha invece ascoltato le sirene dei poteri forti, del Vaticano e della Confidustria e ha così chiuso ogni possibilità di interazione con Rifondazione Comunista.
Questa esperienza è stata oggetto di una dura e severa critica da parte del Congresso nazionale del PRC. Questa esperienza, in fondo, non ha solo determinato l’esclusione dal Parlamento dei comunisti e delle sinistre. Ma ha fatto di più. Ha fatto in modo che anche da una sconfitta di dimensioni, lo si può dire senza timore di enfatizzare la cosa, epocali ne nascesse un impeto rigeneratore, un batter d’ali che ci portasse un più alto rispetto al livello da sfracello al suolo a cui eravamo destinati.
La ricostruzione è una prova continua, segnata da una autocritica costante per evitare di ripiombare negli errori appena commessi. E’ per questo che il Congresso del PRC ha bocciato quella “Costituente della sinistra” che, pur pretendendo di superare la Sinistra l’Arcobaleno, avrebbe mantenuto intatto il progetto di confluenza dei vari soggetti politici in un unico calderone. Come aveva detto e scritto tempo fa Fausto Bertinotti su “Alternative per il socialismo”: la confluenza di vari fiumi in unico lago. Ma per l’appunto... chi li riconosce poi i fiumi se l’acqua finisce in una pozza unica (e non è detto grande...)?
Per ultimo, sarebbe auspicabile che a settembre la gestione del Partito fosse di stampo unitario. Alcuni segnali, come il mantenimento del tesoriere nazionale “in quota” 2 possono forse far ben sperare. Un sincero augurio al compagno Paolo Ferrero per il suo nuovo compito e a settembre... al lavoro e alla lotta.