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Rossanda: «Cosa chiedo alla sinistra? Di essere prima di tutto anticapitalista»
Publie le lunedì 9 luglio 2007 par Open-PublishingIntervista alla fondatrice de “il manifesto” sulla “cosa rossa” e il destino della politica
«L’unità è necessaria ma debole. Torniamo a ragionare sulle nuove forme di dominio»
di Stefano Bocconetti
Non ha il minimo dubbio che
«sia necessaria». E qualsiasi
cosa vada in quella direzione
«è sempre meglio di niente».
Ma non si fa illusioni: l’unità della
sinistra, l’unità di tutto ciò che si
muove alla sinistra del piddì servirà
a poco. «Non si va da nessuna parte
se non si torna ad aggredire il vero
nodo che abbiamo di fronte»: l’analisi
della globalizzazione, l’analisi
di questo capitalismo capace di
mercificare tutto. Dalla produzione
ai rapporti umani. Analisi che fino
ad ora è mancata. «Anche e soprattutto
nel partito che è l’editore
del tuo giornale».
Rossana Rossanda,
la «ragazza» del secolo breve -
gioco di parole facile facile sul suo
ultimo libro, la sua autobiografia:
“La Ragazza del secolo scorso”, che
ha sfiorato il premio Strega nella
sua 39°edizione, l’anno scorso -, responsabile
della cultura del Pci nei
primi anni ’60, poi espulsa dal partito,
fondatrice de “il manifesto”, insomma:
una delle più autorevoli
esponenti della cultura della sinistra
italiana, sembra scettica davanti
al dibattito che si sta sviluppando
in questi giorni su un nuovo
soggetto unitario della sinistra. Ma
forse quest’aggettivo - «scettica» -
non è quello esatto. Lei, insomma,
vede i limiti di questa discussione.
E il limite è proprio nel rifiuto - «di
tutti» - a fare i conti con quella questione
dimenticata: il capitale. Cosa
è oggi, che dominio esercita.
Prendiamola alla lontana, Rossanda.
Secondo te perché in queste
ore tutti parlano di «soggetto
unico» della sinistra e non si usa la
vecchia - ma forse più chiara - formula
del partito.Di che si tratta?
Non saprei risponderti. Vado per
intuizione. E suppongo che al «soggetto
» verrebbe lasciata maggiore
articolazione, in modo che ogni sigla
possa mantenere le sue virtù e i
suoi difetti. I suoi apparati e - perché
no? - i suoi finanziamenti. Comunque
mi pare che anche la scelta
di parole come questa rifletta la
diffidenza diffusa per la forma partito.
Forma molto esorcizzata ma
poco analizzata. Insomma, tutti
danno per scontato che un partito
non può essere che una irreggimentazione
verticale, antidemocratica.
Per natura o necessità di
funzionamento. Ma tutto ciò fornisce
un alibi per eludere una proposta
forte.
E quale sarebbe “una proposta
forte”?
A me non piacciono le polemiche e
quindi mi guardo bene dal farle.
Però, poco tempo fa, qualcuno, sostenendo
la necessità di procedere
subito a un’aggregazione della sinistra
esistente, ha sostenuto che in
fondo i vari pezzi della sinistra italiana
hanno molte più cose in comune
di quante non ne abbia per
esempio Die Linke in Germania.
Bene, basta andarsi a leggere i documenti
del congresso tedesco. E
scoprire così che quel partito delinea
un’analisi seria, efficace dello
sviluppo capitalista. E definisce per
sé un ruolo di opposizione al dominio
del capitale. Parola antica ma
che a me sembra ancora la più appropriata.
Ecco, quella è un’idea
forte. Quella che manca in Italia.
Non ti sembra di essere un po’ ingenerosa?
In fondo l’Italia è stata
un po’ la culla di un nuovo nuovo
pensiero critico? Basta pensare a
Genova,ai Social Forum.Perché è
dall’Italia,da questa sinistra che è
partita l’idea di un rapporto forte
fra politica e movimenti sociali.O
no?
E riflettiamo allora su questi movimenti.
Io credo che siano importanti.
Lo sono stati e lo saranno. Ma
non è con la spontaneità che affronteremo
le questioni decisive.
Per capire:il progetto a cui ha dato
vita Rifondazione,quello della Sinistra
europea,e lo stesso “soggetto
plurale” che dovrebbe unire la
sinistra e che prevede forme stabili
di relazioni col “sociale”, a te
sembrano esperimenti inutili?
Non è questa la strada per innovare
la politica?
Chiariamoci: io non sono indifferente
a chi parla della necessità di
costruire una “massa critica” per
pesare sulle istituzioni, e che deve
avere anche una dimensione tale
da non poter essere scartata negli
equilibri del governo. Fin qui ci siamo.
In tutto ciò, però, resta indefinito
un punto: che cosa rappresenta
questo soggetto, quale “blocco
storico” del 2007 esprime e che cosa
persegue? O magari, c’è qualcuno
che sostiene che una società
complessa porti all’esistenza di
tanti “blocchetti” storici?
Ma siamo seri, per carità. La definizione
di soggetto “plurale” che si
sente in queste ore, allude a una
sorta di addizione o federazione, destinata
a raccogliere più sensibilità possibili
ma ti ripeto servirebbe solo a eludere i temi
più spinosi.
Che sarebbero sempre quelli relativi alla
definizione di una strategia per uscire dal
dominio del capitale,giusto?
Vogliamo parlare chiari?
E’l’occasione giusta.
Allora dobbiamo partire dal primo di questi
“temi spinosi”. La domanda è: sarà un
soggetto anticapitalista o no? E che significa
essere “anticapitalista” in piena mondializzazione?
Anche qui Rossanda,non credo che si parta
da zero. Non puoi negare che questa sinistra,
anche e soprattutto la sinistra sociale
italiana, abbia provato a definire i lineamenti
di una politica antiliberista?
Oggi dire “antiliberista” non si presenta neppure
come una tattica, perché andrebbe inserita
in un orizzonte e un percorso che non
sono neppure tratteggiati. Sia chiaro, non sono
tratteggiati neanche dai movimenti. Che
sicuramente sono più simpatici perché almeno
non riflettono gli interessi, poveri e
inevitabili, di un apparato partitico. Ma ti ripeto:
tanti antagonismi, ognuno radicale e
separato, non mettono neanche lontanamente
in discussione un sistema potente e
capace di una repressione unita al consenso,
che trenta anni fa neppure immaginavamo.
Capitalismo imbattibile,allora?
Capitalismo a cui bisognerebbe opporsi.
Ma insomma, sappiamo cosa sono oggi Cina
o India? Sono solo gli esempi flagranti
del consenso al capitalismo. Capitalismo
che lasciato a sé, porterà a nuove, drammatiche
guerre commerciali. E non lo dico
certo solo io, basterebbe aver letto Immanuel
Wallerstein. Una terribile regressione.
Ma chi ne discute, qui in Italia? Chi ne discute
a sinistra? Nessuno
Ma se il quadro è quello che tu definisci,
perché in Italia ha ripreso vigore la discussione
sul ruolo della sinistra? Solo perché
sono implosi i diesse?
Presumo di sì. Ti dirò di più: dalle nostri parti
è invalsa l’antica idea che ogni grande
partito rappresenti un bacino sociale ed
elettorale stabilizzato. Che se lasciato senza
riferimento, attende solo di essere riempito
da altri che ne riflettano la cultura e i bisogni.
Non sono certa che questa tesi, che pure
– sia chiaro - ha alimentato anche le nuove
sinistre negli settanta, sia corretta. Sia
quella giusta. La crisi di un grande partito
non è mai solo crisi di gruppi dirigenti, rivela
anche molto altro: un’incertezza diffusa
di sé, alimentata dalla reticenza a guardarsi
in faccia. La crisi di un partito muta le speranze
e riorienta i bisogni. Insomma, si perde
molta gente per strada. Senza contare
che il “grande partito” è rassicurante in sé, e
non è detto che gli altri partiti, che si presentano
più “fedeli all’origine”, riescano ad attrarre
i suoi ex aderenti. E’ un errore che abbiamo
fatto tutti, e ha fatto - perché non dirselo?
– a lungo anche Rifondazione.
Dipingi un quadro a tinte fosche.Eppure - a
ben guardare - a questa sinistra italiana,
che evita con cura di misurarsi con i problemi
reali, dici, a questa sinistra è bastato ritrovare
un minimo di unità d’azione parlamentare
per portare a casa un aumento
delle pensioni minime...
Poche decine di euro al mese lorde per persone
che ne prendono cinquecento. Cascano
le braccia. Ma pure in questo caso: in Italia
c’è una sinistra che ancora non ha affrontato
di petto il nodo dell’Europa. Di questa istituzione
che è una parte importante del dominio
capitalista globale. Dominio che di fatto
rende difficilissima, quasi impossibile qualsiasi
ipotesi redistributiva. Eppure, anche
qui, la sinistra italiana non ne parla. Si occupa
di altro. Ma non vorrei essere fraintesa: io
dico che è meglio di niente se le diverse sigle
della sinistra trovano un qualche accordo
per l’unita d’azione sul piano istituzionale,
nel breve periodo. Ma vedo che non riescono
ad andare oltre. Insisto: meglio che niente.
Ma se poi arrivano perfino a teorizzare tutto
ciò, beh... allora qui non ci siamo proprio.
Un’ultima battuta,la più scontata,è su Veltroni.
Che idea ti sei fatta del discorso del
Lingotto?
Ma ne dobbiamo davvero parlare? L’unica
cosa che mi viene da dire è che alla sua prima
uscita pubblica da segretario dei democratici
m’è sembrato nazionalpopolare. D’un nazionalpopolare
che definirei postberlusconiano.
Piuttosto della vicenda Veltroni mi interesserebbe
riflettere su un altro versante...
Quale?
Io non sono affatto convinta che chi l’ha
messo lì, lo faccia poi davvero gareggiare
quando sarà il momento. Insomma, penso
che quando si tratterà di decidere il nuovo
candidato premier, sarà già bello e che bruciato.
Sai, in quegli ambienti gli odi e i rancori
sono davvero micidiali. Ma lasciamo perdere...
è solo una sensazione.