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SCARCERATI E DISOCCUPATI

Publie le martedì 8 agosto 2006 par Open-Publishing

di Carmelo R. Viola

Davvero c’è da portarsi le mani ai capelli davanti a scene che appartengono a decenni e decenni addietro. Solo un pugno di sprovveduti e di mestieranti del potere (“un po’ per celia, un po’ per non morire”) può dar luogo a scene di detenuti, rimessi in libertà per indulto, che si ritrovano in un “deserto asociale”, senza assistenza alcuna e senza sapere che cosa fare, senza avere un tetto, un letto e un lavoro che dia loro un avvenire sicuro senza la tentazione-bisogno di delinquere per sopravvivere. Siamo davanti alla negazione del diritto e della civiltà, ma simile preoccupazione è estranea ad “onorevoli” di un sedicente centro-sinistra (orami l’alternanza è fra “varianti di destre”), che vivono alla giornata preoccupati solo di gareggiare, cioè di seguire i tempie incapaci di determinare la vita del paese.

Questa tecnica, che affida la dinamica della vita sociale al privato e riduce vieppiù le responsabilità dello Stato, la chiamano liberalesimo. E’ invece il marasma del capitalismo che, invece di lasciare il posto alla scienza del sociale, viene abbandonato a sé stesso con il risultato di ritrovarci, in assenza delle parziali coperture dello Stato socialdemocratico, l’essenza nuda e cruda del capitalismo, che è la triade maledetta dell’idiozia, del ridicolo e del crimine.

Attorno a questa triade il prof. Prodi, già catechista televisivo della detta triade, e la sua accozzaglia di collaboratori - dai democristiani ai neoliberisti del duo-Pannella-Bonino, al sedicente comunista Bertinotti - fingono di rispondere ai problemi incalzanti dell’elettorato. In realtà, sono impegnati a fare stare in piedi il sistema.

Torniamo alla scarcerazione sic et sempliciter di gente che, per il solo fatto di trovarsi in carcere, aveva ed ha problemi esistenziali non indifferenti e magari di incompatibilità sociale. Ma, come sono stati imprigionati secondo una contabilità burocratica, che potremmo dire di Pinocchio (tot crimini, tot anni di carcere e il caso è risolto!), così, in un tempo di scienza di risposte sociocliniche a difficoltà civili, che non possono essere risolte con la sola reclusione, sono stati ributtati nel vortice di una giungla antropomorfa, dove perfino il fisco colpisce solo i più deboli e pertanto manifestazioni di “liberati”, che chiedono lavoro - come quella realizzata a Palermo - non preoccupano più di tanto come agitazioni oziose di cittadini “orfani” che reclamano un padre non esiste.

La scienza vorrebbe che il cittadino di uno Stato di diritto fosse equiparato al figlio di una famiglia con a capo un buon padre di famiglia, ma questo è un concetto vietato da quando papi e presidenti Usa hanno decretato che lo Stato sociale (alias socialista) è irrealizzabile e che l’uomo, nato animale, come animale deve darsi da fare fino alla fine (catastrofe) della civiltà. Perciò, invece di pensare come eliminare le carcere - simbolo di una civiltà primitiva (antropozoica) - si progettano nuovi edifici carcerari e si rafforzano la polizia e gli strumenti atti a tutelare il “predamonio” dei predatori e a punire gli antropozoi che, sia pure perché stretti dal bisogno, non sanno rispettare le regole del gioco. Parliamo delle regole che rispettano la proprietà privata (predamonio) senza limite e di quelle degli uomini di affari (così care a Montezemolo) dai cui successi dipendono l’occupazione e il relativo benessere dei più fortunati. Il resto è la “naturale zavorra” di una pseudo-società.

Perciò, i vari Bersani che, come i suoi complici di cordata, non sanno che significhi scienza sociale, scambiano per progresso la concorrenza fra i piccoli predatori e la chiamano liberalizzazione, cioè pratica di libertà (naturalmente antropozoica) tesa a togliere il pane di bocca al vicino, purché - repetita juvant - nel rispetto delle regole. Da questa guerra di tutti contro tutti dovrebbe venire fuori - non si sa come - perfino l’amore del prossimo!

Idiozia, ridicolo, crimine sono i tre fili conduttori di una tragedia comica che i nostri onorevoli gestiscono con assiduità perfino commovente, specie quando parlano di Pil (prodotto interno lordo) felici se i buoni affari della Fiat immettono altre auto in circolazione: per la scienza sociale sono rintocchi di mortorio ma per i becchini sono note di successo!

Nel discorso dell’economia l’idiozia e il ridicolo eccellono (il crimine sta nei risultati) e per i gestori abbiamo vere e proprie guardie del corpo, che vanno dal ministro dell’economia (che è poi predonomia), al governatore della Banca d’Italia e al responsabile della Bce, veri e propri direttori d’orchestra o burattinai che manovrano il “governo della moneta”, e fanno gli esclusivi interessi degli uomini d’affari, che sono i “motori” della civiltà antropozoica, dove lo Stato si chiama “di diritto” non perché risponda ai diritti naturali ma solo perché ha delle regole.

E’ di questi giorni l’aumento del costo della moneta, già perché anche la moneta è merce e come tale ha un prezzo che i “bottegai” regolano a loro piacimento. Il danno di tale aumento è solo dei meno poveri ma questo è un dettaglio ininfluente. Preoccupati a non deprezzare la ricchezza dei potenti (con l’inflazione), non immettono moneta utile per la realizzazione di opere necessarie (come quelle degli ospedali) o per dare potere d’acquisto a chi non ne ha a sufficienza.

Mettiamoci nei panni di coloro che, usciti dalle patrie galere, non sanno da dove ricominciare per avere una vita decente e un avvenire sicuro. Ma se ciò è difficile per “gente normale”, figuriamoci per chi è stato segnato dalla legge e dal costume come pregiudicato e poco raccomandabile. Ci troviamo davanti ad uno Stato socialmente morto la cui maggiore preoccupazione è la manovra finanziaria di fine anno: un espediente che sarà possibile finché ci sarà proprietà demaniale da vendere, industrie da privatizzare e spese sociali da decurtare. Dopo sarà la catastrofe: un ritorno alla primitività del capitalismo. Auguriamoci che non sia la signora ghigliottina della Parigi del 1789 a ricordare alla parte gaudente del popolo che esiste anche la parte sofferente.