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SOLO

Publie le giovedì 5 luglio 2007 par Open-Publishing

Se non emanasse quell’insistente lezzo che nessuna essenza riesce a coprire, come peraltro accade ai propri ex camerati, farebbe quasi pena. Ora che, schivato dai suoi come un lebbroso, s’erge sullo scrannetto e li addita col ditino. In primis il boss-mentore che tanto ha servito. Un altro cameriere del capo da lui piazzato – poveri telespettatori – alla direzione d’un tg (sic transit gloria nuntii) lo ricorda come “simpatico, umile e rispettoso” (sic!). E spiritoso anche se con quelle battute grevi proprie del machismo nostalgico. La sua celebre “la checca di Paissan m’ha graffiato con le unghie laccate di rosso” ha fatto storia alla buvette perché lui, Francesco Storace, froci e comunisti li ha sempre odiati.

Dopo il passato da sprangatore vissuto fra le fogne romane di Acca Larenzia e piazza Tuscolo Francè bazzica in successione via Milano e via della Scrofa e per infilarsi nei palazzi che contano indossa il cravattino. Come altri campioni d’opportunismo che ora accusa smania per la carriera e si spalma al cospetto del ducetto missino ben prima della cura delle acque. Lo serve con dovizia: suo addetto stampa e portavoce. Poi quando il Berlusca sdogana Fini e i fratelli neri eccolo smanioso come un gerarchetto di provincia a menar randellate a Montecitorio e in Rai. Muovendosi col raffinato stile appreso da amici che si chiamano “pinguino Gramazio” e “pecora Buontempo” Francè Epurator provoca non pochi problemi di look al nuovo aplomb della destra postfascista tutta presa a smacchiarsi il doppiopetto dal sangue di bombe, stragi e assassini perpetuati per decenni.

Allora il capo pensa di trovargli un alloggio acconcio dove scaricare la borietta di podestà. L’Epurator diventa Governatore del Lazio. Non l’avesse mai fatto… Storace si staracizza e costruisce la sua legione, introduce a stipendio amici di aggressioni in qualità di esperti, promuove conoscenti senz’arte né parte a ruoli di manager. Quindi il colpo di genio: per ingraziarsi oltremodo il capo supera in zelo servile l’altro cameriere di casa Fini, Gasparri er bava, e si mette a spiare nientepopodimenoche la nipotina isterichetta e insoddisfatta del Duce, resa politicamente autonoma da un atto d’orgoglio fascista. Che Francesco Governator non fosse né raffinato né scaltro si vedeva lontano un miglio e i collaboratori-spioni prescelti risultano pecionari da quattro petecchie, che comunque all’amministrazione regionale e ai contribuenti sono costati mica poco.

L’ennesima evacuazione fuori dal vaso gli costa cara e finisce indagato per uno sfottio di reati. Per salvarlo deve scomodarsi addirittura il Berlusconi premier che, a evitargli guai più seri coi magistrati, lo nomina Ministro (della Sanità, arisic!). Ma anche questo non basta. La fogna fascista tracima, ne vien fuori tutta la bell’essenza dell’ideologia nera e le sue misere truffe. Il Benito di Arcore non può tenerlo, lo lascia in balìa del destino. Che si rivela duro per Francè: lo scaricano tutti e si ritrova fuori da palazzi e palazzine. Dopo quasi un anno - è un po’ lento di comprendonio – capisce che la pacchia è terminata, sbatte la porta e se ne va. Adesso in splendida solitudo addita e accusa i compari di merende e sogna Salò. Ripetendo una frasetta del fucilatore Almirante dice di “voler vivere come se dovesse morire subito”. La morte politica è già sopraggiunta, quella umana anche se lontanissima potrà essergli grande consolatrice.

Spartacus, 4 luglio 2007