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SPIAZZATI

Publie le venerdì 11 luglio 2008 par Open-Publishing
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La manifestazione tenutasi l’altro giorno a Roma in piazza Navona, a cui hanno partecipato Di Pietro, Pancho Pardi, Sabina Guzzanti, Rita Borsellino, Beppe Grillo e migliaia di cittadini onesti provenienti da ogni parte del paese, è andata bene. Benissimo.

E’ stato stupefacente vedere quanto consenso e quante presenze sia stata in grado di raccogliere un’adunata tenutasi in pieno luglio e in un giorno infrasettimanale, anziché il canonico venerdì. E’ stata una manifestazione vera e viva. Non come le squallide processioni sindacali e partitiche a cui i capigregge paramentati trascinano di tanto in tanto i loro montoni belanti e tosati. Nel passato, ho partecipato a parecchi di questi defatiganti raduni di pecore. Funzionano così: i capi di un partito o di un sindacato organizzano la kermesse nel giorno che precede immediatamente una festa comandata. Di solito un venerdì o un sabato, nel quale proclamano uno sciopero o un’astensione dalle attività lavorative. La proclamazione dell’evento avviene, di norma, nel corso dell’autunno o della primavera, per evitare la legittima e auspicabile concorrenza di skilift e ombrelloni. Questo per assicurarsi la massima presenza e disponibilità possibile di ovini che, in circostanze normali, avrebbero cose più serie da fare.

Dopodiché si passa alla fase della precettazione. Pensionati ridotti alla fame vengono convinti a salire su torpedoni malfermi col miraggio di una gita gratuita e di una sosta in Autogrill retribuita. Rappresentanti sindacali di fabbrichette senz’arte né parte si lasciano buttare giù dal letto alle cinque di mattina nella sincera convinzione di sacrificare a Morfeo il proprio impegno per il trionfo della democrazia. Impiegati e avventori di Acli e circoli ricreativi vengono radunati in massa, sul far dell’alba, dinanzi alla più vicina sede Cgil o alla locale sezione di partito e ammassati su autobus variopinti. “Fate questo in nome della libertà democratica” è il mantra con cui le povere bestie vengono condotte stancamente ad esibire i propri corpi per la gloria del potere. “Portate anche i vostri bambini, ingrosseranno le nostre fila”. Ed orde di neonati carrozzati, di impuberi piagnucolanti, di figli e nipoti di cazzoni in buona fede si trascinano sotto la pioggia o il solleone per le strade della città eterna, lungo un percorso rigidamente programmato e presidiato da truci questurini abbigliati come robocop. Sventolano tante belle bandiere. Ascoltano in muta disperazione, affollati sotto un palco, i deliri retorici dei loro carnefici, che mille volte li hanno venduti e mille ancora li venderanno. Poi la messa finisce e tutti tornano stanchi e vuoti alle loro case, con la terribile sensazione di aver sprecato una meravigliosa occasione per un picnic in montagna o una partita a Risiko.

Questa merda, nel gergo orwelliano dei caprai celebranti, viene chiamata “libertà di manifestazione”.

Martedì scorso, per una volta, non è stato così. Le persone che hanno affollato Piazza Navona lo hanno fatto in pieno luglio, in un martedì lavorativo, senza pressioni né ricatti morali. Lo hanno fatto perché cominciano ad aprire gli occhi e dei caprai e delle loro auto-celebrazioni ammuffite iniziano a non poterne più. Sarà stata anche una manifestazione inutile, come vanno cianciando quelli che sono rimasti a casa, nell’incrollabile convinzione che l’aderenza dei loro culi al divano del soggiorno rappresenti invece un atto di portata rivoluzionaria. Sicuramente è stata una manifestazione bella a vedersi e in grado di scompaginare il quadro politico. Non ho mai visto il culo di un chiacchierone da tinello scompaginare nient’altro che le riviste glamour su cui si era pesantemente assiso.

Ma il successo più grande è stato l’aver suscitato l’ira dei caprai. I giornali di questi giorni sono tutti una babele di strepiti, accuse, minacce e cacofonici isterismi. “La manifestazione di piazza Navona è stata un regalo a Berlusconi”, bercia con inverosimile faccia di tolla il capo del partito che a Berlusconi ha regalato tutto, ma proprio tutto: impunità, leggi ad personam, bicamerali, tutela delle sue emittenti becere e illegali, indulti, credito politico... gli hanno regalato perfino la propria dignità e quella dei propri elettori, riconoscendolo come interlocutore attendibile e intonando peana alle larghe intese fino all’altroieri. Gli hanno regalato la stessa esistenza politica: Berlusconi non sarebbe mai neanche approdato alla scena istituzionale senza un’opposizione così indignitosa, corrotta, fraudolenta e repellente. Senza il loro marciume, che disgusta i tre quarti degli elettori di questo paese, a fare da contraltare, Berlusconi non sopravviverebbe dieci secondi. "Se ieri avessi deciso di portare il Pd in piazza Navona”, aggiunge con orgoglio il grande stratega, “oggi il partito sarebbe un cumulo di macerie". Cazzo, per un pelo! Guardatelo ora il PD com’è integro e robusto. Basta dare un’occhiata ai forum su internet, pieni di ex elettori di sinistra che annunciano la richiesta di asilo politico presso IdV, per rendersi conto che il PD è molto peggio che un cumulo di macerie. E’ un mostruoso falansterio fatiscente e pericolante, che i suoi inquilini non si decidono a demolire solo perché non saprebbero dove scappare e che rischia di rovinare da un momento all’altro sulla strada sottostante, travolgendo quel poco di paese che è rimasto in piedi. “O con noi o con Grillo”, sbraita il quattrocchi, come se la scelta, a questo punto, fosse problematica. Forse non si è reso conto di non avere più la forza elettorale né morale di imporre degli aut-aut. Forse non si è accorto di aver creato all’interno dello stesso organismo del suo partito la forza critica che lo sprofonderà negli abissi del nulla.

No, non parlo di Di Pietro, che sta saggiamente meditando di saltare giù al più presto dal treno scassato di una coalizione in corsa verso il baratro. Veltroni, grande genio della realpolitik, medita di sostituire i voti perduti con il distacco dell’ex magistrato con quelli di Casini. Come creda di far digerire una scelta simile ai suoi elettori è un mistero orgiastico che ha una risposta solo nel delirio lisergico del suo inconscio e – forse – nell’idiozia terminale di un branco di ex comunisti allo sbando che hanno deciso di gettare alle ortiche gli ultimi scampoli di dignità. No, non è Di Pietro l’accusatore integrato che il PD si porta in seno. Sono proprio i suoi seguaci – siano essi ciechi o disperati – che lo distruggeranno, facendo a pezzi il corpo che li ospita come un’orda di cellule cancerose incontrollabili.

Per chiarire il concetto, vorrei fare un parallelo con la dissoluzione del fascismo, che in un discorso sul PD capita proprio a fagiolo. Il fascismo, checché ne dicano i sussidiari, non fu sconfitto dagli alleati, né tantomeno dalla Resistenza (che ebbe un valore morale altissimo, ma per altri motivi). Il fascismo collassò su se stesso per la sfiducia, la rabbia e lo sbando degli stessi fascisti, dico quelli duri e puri, quelli che a parole continuavano a ciarlare di fedeltà al partito e di inevitabile vittoria. E’ difficile aver ragione di un nemico quando il nemico è quello che vedi guardandoti allo specchio. Il 5 maggio 1943 Mussolini silurò Galeazzo Ciano dal Ministero degli Esteri, relegandolo presso l’ambasciata vaticana e assumendo personalmente la titolarità del dicastero; allo stesso tempo allontanò Dino Grandi dal governo destinandolo alla presidenza della Camera. Nascevano in seno al duce i primi Arturo Parisi, i primi Furio Colombo. Cioè i furbi, quelli che si accorgono che la baracca sta per crollare, non hanno le palle per uscirne ma iniziano a guardarsi in giro.

Il 24 giugno si tenne a Palazzo Venezia la riunione mensile del Direttorio del PNF. Parlò il segretario, il povero Scorza, con il tipico trionfalismo magniloquente di chi vede l’approssimarsi di una tempesta. Parlò dei numerosi iscritti al partito, che avevano raggiunto la cifra di 4 milioni e 770.000 persone. “Ma le cifre hanno un valore assoluto solo se rappresentano spirito e volontà”, avvertì il poveretto. “E la volontà e lo spirito che animano le forze inquadrate sotto i segni del Littorio si chiamano fedeltà, disciplina, resistenza, vittoria!”. Scorza parlava a una platea la cui fedeltà era rappresentata da Ciano e da Grandi; la cui disciplina, a un mese dall’evaporazione del regime, non è difficile da immaginare; e la cui fiducia nella resistenza e nella vittoria era così forte dopo la disfatta in Africa che lo stesso Mussolini, non sapendo più come giustificare la sua plateale incapacità, si diceva felice che la guerra facesse soffrire il popolo, perché le sofferenze avrebbero rinvigorito il carattere della stirpe italica.

La notte tra il 9 e il 10 luglio le sofferenze rinvigorenti si intensificarono e in Sicilia sbarcarono le prime truppe anglo-americane. “Non teniamo più!”, telegrafò il vigorosissimo sottosegretario agli Esteri Bastianini all’ambasciata italiana di Berlino, supplicando l’ambasciatore Alfieri di chiedere a Ribbentrop l’invio di truppe e aerei tedeschi a rinforzo. Ma Ribbentrop si diede malato. Sono cazzi vostri. Noi abbiamo già i nostri problemi. Il regimetto italiano si sfarinò in conseguenza dello sfarinarsi del grande regime germanico che lo aveva protetto. Oggi, se diamo un’occhiata oltreoceano, possiamo vedere i neocon americani fuggire verso le colline portandosi dietro, ammassata alla rinfusa in un sacchetto del rudo, l’ideologia neoliberista che ne giustificava il potere. Che ne sarà dei servi dei gerarchi (Veltroni in primis) ora che i gerarchi si danno alla macchia? Se la storia ha davvero i suoi corsi e ricorsi, fosse pure a grandi linee, io un’idea inizio ad averla.

Questo sgretolarsi del partito fascista fu dovuto, in primis, all’annacquamento dei suoi valori morali di base. Il PNF era ormai un carrozzone in cui si trovava di tutto: nostalgici della marcia su Roma accanto a notabili cattolici e demoliberali, elementi della sinistra e perfino “posizioni comunistoidi”, come dirà esterrefatto Mussolini al prefetto Dolfin all’atto della fondazione della Repubblica di Salò. “Qualcuno”, si sbigottiva il duce, “ha perfino chiesto l’abolizione, nuda e cruda, del diritto di proprietà!”. Non penso ci sia bisogno di sottolineare i parallelismi con la congerie arlecchinesca di cui è a capo il duce occhialuto. Sottolineo solo una differenza: il capo spirituale del fascismo aveva ancora, almeno lui, un’idea piuttosto precisa di quali fossero i valori che del fascismo avevano fatto la grandezza; si meravigliava e si doleva della deriva morale del suo partito, pur rifiutando di accettarne la responsabilità. Posso dirlo? Rispetto a Veltroni, Mussolini aveva, sul piano morale e intellettivo, almeno due marce in più.

Il 24 luglio il Gran Consiglio del Fascismo decise di togliere di mezzo il duce. Dino Grandi raccolse il sostegno dei fascisti moderati, come Federzoni, e anche degli esponenti della “sinistra fascista”, come Bottai e Ciano. Ivanoe Bonomi, vecchio antifascista, offrì il proprio appoggio, riunendo intorno a sé il fior f iore del vetero-antifascismo. La mozione di Grandi per la liquidazione di Mussolini passò a larga maggioranza, con 19 voti favorevoli, 7 contrari e un astenuto (Suardo). Il 25 luglio il re convocò Mussolini per un colloquio e vigliaccamente, a sorpresa, lo fece trarre in arresto. Nessuno mosse un dito. Le camice nere rimasero inerti. L’intera struttura del Partito si sgretolò in silenzio, senza che nessuno provasse a opporre la minima resistenza. Nessuno provò nemmeno a organizzare uno straccio di controgolpe: gli uomini che avrebbero potuto guidarlo (Farinacci, Preziosi, Pavolini, Ricci, perfino il figlio maggiore del Duce, Vittorio) si erano già dileguati. Il resto è storia.

Storia che si ripete.

Anche la caduta del fascismo fu preceduta da grandi manifestazioni (gli scioperi del marzo ’43). Scioperi che non furono certo la causa diretta del crollo, ma ne furono il segnale. Volevano dire che la società non accettava più il fascismo e che stava per verificarsi una “saldatura” tra le masse e gli interessi industriali e finanziari che non si sentivano più tutelati. I vecchi sostenitori del regime, abbandonati a se stessi, ne diventavano i carnefici. Accusatori in pectore. Il fascismo, dal canto suo, non seppe rispondere a queste manifestazioni se non con i consueti strumenti, ormai spuntati e ridicoli: la censura, gli arresti, le minacce, le intimidazioni, i “dopo di me il diluvio”.

Proprio come hanno fatto i politici e i loro organi di informazione verso la manifestazione di piazza Navona: strepiti e minacce, falsità ed anatemi, ingiurie e minimizzazioni (“100.000 persone? Ma nooo, saranno state al massimo 20 o 30mila”; e quand’anche fosse?). Nell’imminenza della sua fine, ogni casta di potere diventa il fantasma di se stessa, un fatalismo imprudente e prepotente si impossessa dei suoi capi e dei suoi lacchè. Nessuno riesce più a distinguere la malattia terminale dal suo sintomo esteriore. Si attaccano Di Pietro, Travaglio e la Guzzanti come se, zittiti loro, la Casta potesse tornare ai bei tempi andati: quelli in cui dava tranquillamente a bere al pubblico che la democrazia è il migliore dei sistemi possibili, l’alternativa politica è il suo vessillo e il presidente della Repubblica è un bravo ed onest’uomo, garante dei nostri diritti. Credono che la fiducia nelle istituzioni, una volta crollata, possa essere sostituita dalla spietatezza repressiva delle istituzioni. Non capiscono che, come diceva Jedel Andreetto, la stessa passività rassegnata che hanno indotto nei cittadini (ridotti a massa decerebrata) rende ormai impossibile terrorizzarli. Non puoi terrorizzare qualcuno i cui riflessi non reagiscono alle sollecitazioni. Soprattutto se quel qualcuno è la tua massa di riferimento, la colonna portante, lo zoccolo duro del tuo apparato di potere. Soprattutto se quel qualcuno sei tu.

Gianluca Freda

10.07.08

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Messaggi

  • Lettera di Sabina Guzzanti al Corriere della Sera

    Caro Direttore, per tutti quelli
    scioccati dalla stampa di questi giorni, voglio rassicurare: non siete
    impazziti e non sono nemmeno impazziti i giornali. La questione è molto
    semplice, questo sistema fradicio e corrotto vede nell’eliminazione del
    dissenso l’unica possibilità di salvezza.

    Scrive Filippo Ceccarelli su
    Repubblica in relazione al mio intervento a piazza Navona: «Nulla del
    genere si era mai visto e ascoltato a memoria di osservatore».

    Questa
    cosa, Ceccarelli, si chiama libertà.

    Non hai mai visto una persona che
    chiama le cose col suo nome, anche quelle di cui tutti convengono sia
    assolutamente vietato parlare, come l’ingerenza inaccettabile del
    Vaticano nella vita politica del Paese e nelle vite private dei
    cittadini italiani.

    Caro Ceccarelli, hai fatto un’esperienza
    straordinaria. Col tempo apprezzerai la fortuna di esserti trovato lì
    l’8 luglio.

    Quello che hanno visto i presenti e gli utenti di internet
    è una piazza ricolma di gente, che è stata in piedi per tre ore ad
    ascoltare e ad applaudire entusiasta.

    Gli interventi più criticati dai
    media sono quelli che hanno avuto indiscutibilmente più successo.

    Nel
    mio intervento, al contrario di quello che tanti bugiardoni hanno
    scritto, gli applausi più forti sono stati sulle critiche alla politica
    del Vaticano e le frasi più forti fra quelle sono state applaudite
    ancora di più.

    Questa manifestazione è stata il giorno dopo descritta
    come un fallimento, un errore, un autogol.

    Stampa e tv hanno tirato
    fuori il manganello e con i mezzi della diffamazione, della menzogna e
    dell’insulto stanno cercando di scoraggiare chi ha partecipato, a
    continuare. Alcune ovvie piccole verità: -

    A sinistra si lamentano del
    fallimento della manifestazione quando l’unico elemento di insuccesso è
    costituito dai loro stessi interventi.

    Se non avessero parlato in tanti
    di insuccesso a dispetto dei fatti, la manifestazione sarebbe stata
    percepita per quello che è stata: un successone. - Berlusconi e i suoi
    sono furiosi per quanto è accaduto e il sondaggio che direbbe che
    Berlusconi ci ha guadagnato lo ha visto solo Berlusconi.

    Quello che
    dice potrebbe non essere vero. - L’intenzione di espellere Di Pietro
    era già evidente da parte del Pd e non è per me e Grillo che i due si
    sono separati. Pare che Veltroni gli preferisca Casini. Non è una
    battuta. -

    Le parlamentari che hanno difeso la Carfagna sostenendo che
    io in quanto donna non posso attaccare un’altra donna, insultando me
    sono cadute in contraddizione. -

    Pari opportunità e Carfagna sono due
    concetti incompatibili come Previti e giustizia. -

    È falso che non si
    possa criticare il presidente della Repubblica. Si può e ci sono buone
    ragioni per farlo ad esempio impugnando il parere dei cento
    costituzionalisti sul Lodo Alfano. - È falso che non si possa criticare
    e attaccare il Papa.

    Si può e ci sono buone ragioni per farlo. Ho letto
    un po’ dappertutto che il Papa sarebbe una figura super partes.

    Super
    partes non è uno che si schiera con tutte le sue forze su ogni tema,
    dalla scuola ai candidati alle elezioni, alla moda e alla cucina, con
    interventi spesso molto al di sotto delle parti, cosa su cui anche la
    Littizzetto, esimia collega, ha efficacemente ironizzato. -

    La reazione
    furibonda di tutto il mondo politico alle parole di alcuni liberi
    pensatori, dimostra che gli interventi fatti sono stati importanti ed
    efficaci.

    La repressione dei media rivela la debolezza politica di una
    classe dirigente che in entrambi i poli è nata a tavolino. Gli unici
    elementi che hanno una oggettiva radice popolare e sono rappresentati
    in Parlamento allo stato attuale, sono Lega e Di Pietro.

    E crescono.
    Berlusconi e Pd calano vertiginosamente. -

    C’è un partito finto, il Pd,
    nato senza idee, tranne quella di fondere due partiti per ingrandirsi
    con lo stesso criterio con cui si accorpano le banche per essere più
    forti. Questo partito votato controvoglia dalla maggioranza dei suoi
    elettori si è rivelato fin dai primi passi un soggetto politico
    artificiale, che somiglia più a un «corpo diplomatico» che altro.

    Molti
    dei vip che lo hanno sostenuto ora sono colti da attacchi isterici
    constatando che non sta in piedi.

    Dall’altra parte ci sono delle idee
    che vogliono essere rappresentate e discusse. Idee davvero alternative
    a quelle del centrodestra. La qual cosa, nel momento in cui si cerca di
    costruire un’alternativa, ha la sua porca importanza e fa sì che queste
    idee vengano considerate oggettivamente interessanti dall’opinione
    pubblica.

    Per quanto riguarda l’annosa questione: «Può un comico fare
    politica?», si tratta anche qui di una domanda che non esiste in
    natura. È ovvio e tutti sanno che chiunque parli a un pubblico fa
    politica. È ovvio che la politica in una democrazia la fanno tutti. Ma
    la vera domanda che si pone è: può un comico ottenere molto più
    consenso politico di un politico?

    Può il discorso di un comico essere
    molto più politico di quello di un politico? I fatti dicono di sì e
    tocca abbozzare.

    Potete anche continuare a menare le mani, ma sarebbe
    meglio fare uno sforzo di comprensione.

    D’altra parte parlo per me ma
    credo anche a nome degli altri, le nostre idee sono lì e si possono
    usare gratuitamente. Approfittatene.

    Sabina Guzzanti

    • Lettera di Franco Berardi "Bifo" al direttore di Liberazione Piero Sansonetti

      Caro Piero, ho letto l’editoriale in cui ordini non so bene a chi di chiedere scusa a Mara Carfagna.

      Capisco lo spirito del tuo testo, è coerente con altre tue simili prese di posizione provocatorie, e provo per simpatia per te anche quando dici cose che mi sembrano sbagliate se non addirittura ipocrite.

      Ma penso che il tuo editoriale sia sbagliato per una ragione molto semplice, quasi ovvia.

      Se quelle frasi che tu consideri inammissibili le avesse dette un uomo, sarebbero state volgari e insinuanti e pruriginose.

      Se le dice una donna significano una cosa soltanto: questo regime è sporco, marcio, ripugnante, ma soprattutto illimitatamente cinico.

      E’ il regime di Cosimo Mele… è il regime di chi difende la famiglia e… poi va a sniffare coca con una signora in una camera d’albergo e cerca di impedirle di chiamare la Croce rossa quando questa signora per colpa sua si sente male.

      E’ un regime di porci. Punto e basta.

      E la presenza di Mara Carfagna al ministero delle Pari opportunità è un insulto per la dignità di ogni donna ma soprattutto un fattore pericoloso di discredito di quel che resta della democrazia.

      E se, com’è accaduto, una donna denuncia il cinismo io la ringrazio.

      Solo l’ipocrisia può farci sentire quelle parole come volgari. Sabina Guzzanti è la voce più pulita, più innocente, più onesta e se permetti anche la voce più intelligente che io abbia sentito in questi anni nel Paese ripugnante nel quale viviamo.

      Franco Berardi “Bifo”