Home > SQUADRONI DELLA MORTE
Squadroni della Morte
di Roberto Reale
Un silenzio colpevole avvolge le cronache dall’Iraq. Di quel paese si parla ormai con stanchezza, superficialità,distrazione. Le notizie arrivano frammentate. Molte non sono né verificate nè verificabili. Quando scoppiò la guerra nel marzo 2003 si parlò di una “nebbia mediatica” che stava ricoprendo lo svolgersi degli eventi. L’espressione andrebbe usata a maggior ragione oggi. Da Baghdad, Bassora, Mosul arrivano soltanto frammenti di informazioni. Oltre al conflitto fra la guerriglia sunnita e i militari statunitensi, emergono altre lacerazioni. Cosa sta succedendo nel sud del paese a maggioranza scita?
Qual è il rapporto fra la polizia irachena e le truppe straniere, inglesi ma anche italiane? A Bassora britannici e poliziotti si sono sparati addosso. E il governatore della città ha definito barbara l’operazione condotta dai militari inglesi. A Baghdad, a seguito di ripetuti attentati terroristici, ci si muove sull’orlo di una guerra civile fra sciti e sunniti. Nessuno difende la popolazione inerme. Iraqi body count, il sito inglese che con estrema prudenza conta le vittime innocenti, è arrivato a stimare in 29mila il numero dei civili uccisi. Fra questi caduti disarmati ci sono anche i giornalisti: 37 gli operatori dei media morti nel solo 2005. Una strage nella strage che non trova né spazio né attenzione sui media occidentali. C’è da chiedersi se questo accada per “assuefazione al dramma” o perché la stragrande maggioranza di questi “caduti” sono iracheni. Fanno insomma meno notizia di un occidentale sequestrato. Qualunque sia la risposta resta il fatto che ben pochi strumenti di informazione hanno colto la drammatica novità di queste ultime settimane. Oggi i giornalisti non vengono uccisi perché si trovano sulla “linea del fuoco”. La vicenda delle ultime tre vittime è emblematica. Fakher Haider di Bassora, Hind Ismail e Firas Al Maadhidi di Mosul sono stati letteralmente giustiziati nel giro di poco più di 48 ore. Il primo è stato prelevato in casa, davanti alla moglie e tre figli, da uomini vestiti con le divise della polizia. Hanno detto che volevano interrogarlo. Il giorno dopo il corpo è stato trovato alla periferia della città con le mani legate e un foro di proiettile in testa. Fakher Haider lavorava anche per il New York Times, lo stesso giornale di Steven Vincent, eliminato con la stessa tecnica in agosto proprio a Bassora. Una vicenda sulla quale non è stata fatta nessuna luce. Come accadrà purtroppo anche per Hind Ismail e Firas Al Maadhidi. Lavoravano entrambi a Mosul per il quotidiano Al Safir. Li aspettavano per strada e non hanno avuto scampo.
Storie terribili. Questi reporter sono stati individuati, prelevati, eliminati. E in molti casi i testimoni parlano di criminali vestiti da poliziotti. Tutto questo non ricorda forse gli squadroni della morte di tante, troppe cronache sudamericane? Evidentemente c’è stato un salto di qualità nella “caccia al giornalista”. Le fazioni in lotta ( e a Bassora non ci sono i sunniti) non vogliono che ci sia gente che veda, riferisca, racconti. Non solo: quando questi “testimoni scomodi” vengono eliminati, nessuno, proprio nessuno si dà da fare per trovare i colpevoli. Possibile che i media occidentali continuino a tacere? Che non si capisca che questo massacro ci tocca direttamente? L’appello a comprendere la gravità di quanto sta avvenendo va rilanciato a 360 gradi. In queste condizioni, in questa cupa atmosfera non può crescere nessuna democrazia. L’allarme riguarda anche noi.