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Sabato 4 novembre a Roma è tornato visibile il conflitto Capitale-Lavoro

Publie le venerdì 10 novembre 2006 par Open-Publishing

La manifestazione del 4 un grande successo: è stata l’occasione
per il “popolo della sinistra” di esprimere il proprio malcontento
Sabato è tornato visibile il conflitto Capitale-Lavoro

Piero Bernocchi*
La manifestazione del 4 novembre è stata un grande successo, con una partecipazione nettamente superiore alle previsioni (prima dello “scandalo manchette”, il Comitato organizzatore prevedeva un quarto dei 200 mila poi scesi in piazza) che ne fa la più importante manifestazione su temi del lavoro e sociali degli ultimi anni.
Quanto ha pesato, sulla travolgente crescita delle adesioni, l’aggressione scatenata dalla maggioranza della Cgil, dei Ds e degli “amici del governo amico” nei confronti dei Cobas e della loro “pretesa” di mettere al centro dell’attenzione non solo la condizione generale del precariato ma anche le politiche sociali e relative al conflitto capitale-lavoro che il governo sta operando qui ed ora?

Come mai un ministro, i Ds e la maggioranza della Cgil trovano addirittura “criminalizzante”, fino a cercare di demolire la manifestazione, la definizione di “amico dei padroni” dopo che per anni le stesse forze (e la attuale Finanziaria che premia solo i padroni di Confindustria) si sono affannate a cercare il sostegno del padronato, penalizzando a tal fine tutto il lavoro salariato?

Il fatto è che la critica alla Finanziaria e alle politiche del ministro del Lavoro ha messo a nudo il cuore della contraddizione del governo: e cioè il tentativo di proseguire il berlusconismo oltre Berlusconi e la politica liberista nei confronti dei servizi pubblici (Lanzillotta) e del lavoro subordinato. Il profondo malcontento su tali temi del “popolo di sinistra” cercava una via per manifestarsi, mentre era all’offensiva una destra sociale ingorda e insaziabile. E i Cobas questa occasione l’hanno offerta, mettendo il dito nella piaga, attualizzando la piattaforma del Brancaccio, sottolineando i guasti della Finanziaria e del salvataggio operato da Damiano nei confronti dei padroni dei callcenter e di tutti coloro (la netta maggioranza, ivi compresi quelli “pubblici” della macchina statale nazionale e locale) che vivono di lavoro precario, sottopagato e semischiavistico; nonché l’opposizione drastica all’idea funesta che la difesa dei più deboli passi per la cancellazione di diritti conquistati in anni di lotta (pensioni, Tfr, salari decenti, continuità nell’occupazione ecc..).

La grande maggioranza dei partecipanti era scontenta dell’operato del governo soprattutto su Finanziaria, servizi sociali, lavoro, pensioni, Tfr. Una parte ritiene che il governo sia ancora “correggibile” e gli ha inviato un forte monito; un’altra, tra cui i Cobas, ritiene che la grande maggioranza delle forze di governo “si faccia dettare il programma dalla Confindustria e dal Vaticano”. Tutti, però, hanno detto con chiarezza a Prodi “così non potete continuare”: dunque, di fatto, quella del 4 è stata la prima grande manifestazione di contestazione, da sinistra, del governo.

Nel contempo, essa ha rimesso clamorosamente al centro il conflitto Capitale-Lavoro. L’obiettivo dell’intera politica padronale degli ultimi trenta anni è stato quello di rendere invisibile tale conflitto, di farlo addirittura sparire come problema, spostando l’attenzione su conflitti “altri” (il territorio, l’immigrazione, i giovani, i diritti civili, guerra e “terrorismo” ecc..): di lavoro non si doveva più parlare. E proprio mentre il Capitale colonizzava tutti i territori e metteva a profitto qualsiasi cosa, estendendo a dismisura nel mondo il lavoro salariato e paraschiavistico, riportando interi paesi al pre-fordismo, al lavoro da Terzo mondo con condizioni e orari da miniera ottocentesca, una gigantesca operazione ideologica e politica descriveva come irrilevanti tali conflitti, persino con il contributo di parecchi che, convinti di alimentarne di nuovi, davano una mano a Monsieur le Capital con fanfaluche su toyotismi salvifici, postfordismi rigeneranti, lavori “liberati”, esodi, “fine del lavoro”. Insomma, come se, durante un’alluvione del Nilo che copre tutto il territorio visibile, qualcuno parlasse di “fine del Nilo”!

Finalmente la crepa nel “pensiero unico”, partita da Seattle e incrementata dai movimento no-global e no-war, comincia ad attaccare il cuore dei problemi, quel conflitto Capitale-Lavoro che è capofila ed elemento determinante, insieme al conflitto di genere, della grande maggioranza dei conflitti sociali. Non di solo precariato in senso stretto abbiamo parlato il 4: è tutta la condizione del lavoro salariato e paraschiavistico che stiamo rimettendo a nudo, il come, il dove, il quanto e il perché si viene sfruttati dal Capitale nelle sue molteplici forme.

Non è vero che i padroni non sono più individuabili: la coraggiosa lotta dei precari di Atesia ha dimostrato che la prospettiva non è la totale subordinazione sul posto di lavoro seguita da una ribellione “nel sociale”, né la passiva disponibilità allo sfruttamento in cambio di “sussidi di cittadinanza” erogati da amministrazioni “benevole”, e che non ci deve essere contrasto tra continuità del lavoro in condizioni e salari accettabili e continuità di reddito.

Questa prima consapevolezza deve essere travasata nei conflitti sul territorio, da potenziare ed estendere, perché il 4 abbiamo solo “illuminato” il conflitto, seppur potentemente (e si dovrebbe ringraziare i Cobas se l’iniziativa è passata dall’oscurità più totale alla luce solare in cui poi si è svolta), non abbiamo ancora creato un movimento, che non nasce a tavolino ma cammina sulle gambe del conflitto reale al quale il 4 noi abbiamo dato solo un primo, seppur potente, impulso.

E perché l’impulso non vada perso, è decisivo che i salariati recuperino la democrazia nei posti di lavoro. Mentre organizzavamo il 4, alcuni degli ex-partner, poi ritiratisi, reprimevano brutalmente i nostri diritti, intervenendo su ministri e capi di istituto perché ci venisse vietato persino il diritto di fare assemblee, rendendo ancor più truffaldine le elezioni Rsu nelle scuole, in base a quel monopolio sui diritti sindacali che scippa parola, rappresentanza e trattativa a chi non è Cgil-Cisl-Uil.

Non è una bega intersindacale: il furto di democrazia ai Cobas e i precari di Atesia che, dopo 8 scioperi all’80% di adesioni, non vengono neanche ricevuti da Damiano perché lui “parla solo con Cgil-Cisl-Uil” (e poi si lamenta se lo consideriamo ministro Cgil e ne segnaliamo l’inimicizia), sono facce della stessa medaglia. E come si può agevolare il conflitto se i salariati non recuperano spazi democratici nei posti di lavoro? E come si può chiedere ai Cobas di sostenere luoghi unitari e serena collaborazione con chi si fa diretto “carnefice” dei nostri (e di tutti i lavoratori/trici) più elementari diritti?

*Confederazione Cobas
http://www.liberazione.it/giornale/061109/archdef.asp