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Salari, Confindustria trucca le carte: « Da dieci anni vanno meglio dei profitti
Publie le sabato 28 giugno 2008 par Open-PublishingSalari, Confindustria trucca le carte: « Da dieci anni vanno meglio dei profitti»
di Roberto Farneti
su Liberazione del 27/06/2008
I consumi crollano, le famiglie italiane non sanno come arrivare alla fine del mese perché, in termini di potere d’acquisto, le retribuzioni da lavoro dipendente sono scivolate all’ultimo posto in Europa. Ma a piangere miseria sono le imprese. I sindacati chiedono politiche redistributive? L’analisi dei padroni parte da un punto di vista esattamente opposto. E cioè che non c’è niente da restituire ai lavoratori, dal momento che a pagare il prezzo più alto della bassa crescita e della perdita di competitività del sistema paese sono state loro, le aziende. Questa, almeno, è la sbalorditiva tesi che emerge dall’ultimo rapporto del Centro Studi di Confindustria presentato ieri al convegno "Più produttività e meno povertà".
Secondo questa ricerca, il potere di acquisto delle retribuzioni, negli ultimi dieci anni, sarebbe «aumentato poco, benchè più della produttività» con il fattore lavoro in netto recupero di «quote distributive a scapito del capitale» e margini di profitto nel manifatturiero «drasticamente calati». Nel rapporto si sostiene che la distribuzione del reddito a favore del lavoro «è stata nel 2007 del 65,5% (65% nel ’97), e nell’industria è al «70,7%» mentre al capitale è andato il «34,5% (35% nel ’97)», contro il 40,1% della Spagna, 37,5% della Germania, 39,3% degli Usa e il 36% della Francia. Il valore reale delle buste paga, tra il ’97 e il 2007, sarebbe cresciuto di 1.787 euro (prezzi 2007) e per un dipendente pubblico l’incremento sarebbe stato di 2.184, dati che, azzarda il Centro Studi di Confindustria, «smentiscono l’opinione diffusa, ormai "vox populi", di una riduzione del potere di acquisto delle retribuzioni» anche se a ritmo lento. Gli economisti di viale dell’Astronomia arrivano al punto di affermare che «la diseguaglianza nei redditi e la povertà in Italia non sono aumentate nei passati 15 anni», anche se «restano alte nel confronto internazionale a causa della loro maggiore incidenza al Sud».
La domanda, come si suol dire, sorge spontanea: in che mondo vive la Confindustria? Per quanto riguarda la povertà, se è vero che il rapporto Istat relativo al 2006 parla di fenomeno «sostanzialmente stabile» da 4 anni, è altrettanto vero che tutte le statistiche segnalano un peggioramento della condizione della classe media. Con il "Rapporto Italia 2004", l’Eurispes denunciava che ormai sono due milioni le famiglie italiane esposte al rischio di scivolamento sotto la soglia di povertà.
Peraltro molte delle cifre contenute nel rapporto presentato ieri non trovano riscontro in altri autorevoli studi. A partire da quello reso noto nel maggio scorso dalla Banca dei regolamenti internazionali, istituto che raduna tutte le banche centrali e che è considerato una delle più attendibili fonti di "monitoraggio" delle tendenze economiche. Dalla ricerca emerge che in Italia negli ultimi 25 anni c’è stata una gigantesca redistribuzione della ricchezza a spese del lavoro dipendente. Prima degli anni ’80, spiega la Bri, le imprese si mettevano in tasca il 23% del Pil, ora quasi il 32%. Otto punti percentuali equivalgono a 120 miliardi di euro che, suddivisi per 17 milioni di salariati, significano 7mila euro in più all’anno in busta paga.
Quanto al potere d’acquisto delle retribuzioni, ci pensa lo studio dell’Ires Cgil presentato nel novembre 2007, dal titolo "Salari in difficoltà", a chiarire come stanno realmente le cose. Vale a dire, all’opposto di quello che sostiene Confindustria. Tra il 2002 e il 2007, calcola l’Ires, il potere d’acquisto del salario di un lavoratore dipendente si è ridotto di mille e 210 euro. «Se a questo aggiungiamo l’ulteriore calo causato dalla mancata restituzione del fiscal drag - spiega ancora l’Ires - gli euro in meno diventano mille e 900». Intanto «la forbice si allarga: imprenditori e professionisti hanno visto i loro onorari crescere di 12mila euro nel quinquennio, mentre lo stipendio dei dirigenti è cresciuto di sei punti rispetto a quello dei dipendenti».
Malgrado ciò, ancora ieri Confindustria, per bocca della presidente Emma Marcegaglia, ha ribadito che «non si possono aumentare i salari in base all’inflazione reale». Immediata la replica della Cgil, che tramite il segretario confederale Fulvio Fammoni, contesta le affermazioni di Confindustria e rilancia la proposta di una «mobilitazione unitaria per richiedere un cambiamento di politica economica e sociale». Sul banco degli imputati c’è anche il governo: «Il taglio per i comuni previsto dal decreto sulla manovra, comporterà una spesa in più di circa 510 euro l’anno per i 2,3 milioni di famiglie italiane che vivono sotto la soglia di povertà», evidenzia il segretario confederale della Cgil, Agostino Megale, sottolineando che «anche per questo la manovra è sbagliata e da cambiare».
Salari, Confindustria trucca le carte: « Da dieci anni vanno meglio dei profitti»