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Salari e idee balzane. Tutto pronto per preparare la fregatura d’autunno.

Publie le giovedì 10 settembre 2009 par Open-Publishing
2 commenti

Che il punto di vista dell’impresa e del mercato si presuma oggi egemone tanto da ritenere di avere ormai stravinto (anche sul piano ideologico oltre che materiale) lo dimostra il dibattito apertosi in questi mesi, guarda caso sempre e solo sul nostro salario.

Lo sanno anche i sassi, e da tempo, che le retribuzioni in Italia sono in costante riduzione. Una riduzione resa certa e costante grazie ad almeno 10 anni di cedimenti sindacali in materia di contrattazione e dalla distruzione sul piano legislativo (dalla legge Treu alla legge 30) del sistema di tutele all’occupazione.

Nonostante ciò, come si diceva, per padroni e Governi, la questione di come ridurre ancora le nostre retribuzioni rimane un chiodo fisso.

Tronfi, come si può sentire chi presume di avere ormai sfondato su tutto e di poter osare oltre, i fautori del liberismo selvaggio e del "profitto prima di tutto" si sono in questi mesi lanciati in vere e proprie bizzarre proposizioni.

Ovviamente tutti fingono preoccupazione per i poveri lavoratori. Un punto di partenza necessario (il loro) per poter giustificare il loro dovere-volere-potere di decidere dei nostri salari.

E via con le proposte:

Quella più in voga da qualche mese a questa parte è quella di ridurre la tassazione sulle retribuzioni (e magari anche il peso contributivo). I salari devono aumentare un poco ??? perchè non ridurre le Tasse ?? .. così gli aumenti li paga lo Stato e non le aziende ... e contemporaneamente diamo così anche un bel colpo al livello dello Stato sociale ed alla progressiva privatizzazione di tutti i servizi pubblici (dalla sanità, all’assistenza, all’istruzione ecc ecc.) che ovviamente dovremo comunque pagare ancora noi e di più.

Certo la proposta si riduce per ora alla sola contrattazione decentrata, scaricando sulla collettività (ossia sugli stessi lavoratori) l’onere di sostenere in qualche modo le quote retributive legate agli obiettivi di remunerazione e di produttività delle imprese. Due piccioni con una fava ... le imprese si intascano l’aumento dell’intensità di lavoro chiesta ai lavoratori e ciò che le imprese dovrebbero pagare verrebbe ripartito tra loro e lo Stato, tramite la riduzione o l’eliminazione delle trattenute fiscali e previdenziali (dando così anche un aiutino ad affossare stato sociale e previdenza pubblica).

La cosa comica è che chi propone e difende questa idea (padroni, economisti, sindacalisti) la ritiene una genialata.

Altra proposta è quella di reintrodurre le gabbie salariali.

Proviamo a fare due più due.

I salari sono già bassi da anni, il nuovo modello contrattuale li abbassa ancora di più e li subordina definitivamente all’accettazione degli obiettivi di redditività ed al nuovo ordine imposto dalle imprese (basta scioperi ecc). Ora con la proposta di reintrodurre in qualche forma le vecchie gabbie salariali si vuole porre un nuovo limite (deciso dall’alto) alla contrattazione sindacale (quella poca che si fa ancora) ed alla capacità dei lavoratori di organizzarsi sindacalmente su scala nazionale.

Certo la vulgata sostiene che la proposta è fatta per sostenere i lavoratori del Nord a cui così si potrà dare più salario a scapito di quelli del Sud sperando che qualche imbecille ci creda, ma anche così rimane una emerita cazzata visto che benzina, tariffe, ecc costano uguali. Forse la differenza (se c’è) sta nel prezzo dei peperoni ... ma sai che differenza.

Ciò non di meno la nuova teoria si basa sull’idea che il salario va corrisposto in base al costo della vita che come la vulgata afferma è diverso tra Nord e Sud.

Economisti di elevata statura (presumono) illustrano così in modo semplice la loro teoria, secondo la quale al Nord per sopravvivere devi mangiarti un coniglio al giorno (cinghiale la domenica), mentre al sud basta un pò di pane ed una mela (pizza la domenica). Perchè quindi pagare di più un Napoletano ?

Dall’alto e qualificato punto di vista dei nostri coraggiosi economisti ciò equivarrebbe ad uno spreco enorme di risorse da destinare invece allo sviluppo.

Ovviamente l’obiettivo è quello di far saltare la contrattazione e ridurre ancora di più i salari, ma essendo i nostri economisti degli studiosi insigni devono ammantare questa ipotesi di un qualcosa ad elevato contenuto sociale e solidaristico e così prendono e rielaborano a loro piacimento la nota teoria .. "a ciascuno secondo il suo bisogno".

Pur non essendo noi insigni economisti ma avendo (come loro) anche noi la voglia di sparar cazzate si potrebbe partecipare al gioco lanciando un’altra proposta, altrettanto originale e creativa.

Perchè non pensare ad un salario "a peso"??..

La nostra teoria è altrettanto semplice .. infatti ... più uno è grosso e più deve mangiare ... perchè quindi sprecare risorse sui magri quando a questi basta molto meno per rimanere in piedi ??? Certo dovremo mettere in cantiere che dal mondo cattolico verrà posta la questione che "il peso" sia riferito al nucleo famigliare essendo la famiglia il centro della società, così come dovremo aspettarci che dal mondo nutrizionalista e da qualche medico venga avanzata la proposta di introdurre delle penalità agli obesi (che costano tanto alla società) e degli incentivi ai magri (che costano molto meno alla società), cosa che stravolgerebbe la nostra proposta .... ma chi se ne frega .... cazzata per cazzata la nostra del "salario a peso" non è così diversa dal salario per territorio..

Di queste ultime settimane, infine, l’idea di legare la retribuzione dei lavoratori alla loro partecipazione agli utili dell’impresa.

Il Governo è così "gasato" dalla sua ultima pensata che già ha convocato per giovedì 9 settembre le parti sociali per avviare una discussione su questa materia.

Siamo proprio curiosi di sapere come si articolerà la proposta Governativa, ma anche di vedere la risposta di Cisl e Uil (la Cgil per ora si dichiara scettica e contraria) i quali già non si trattengono e chiedono più coraggio al Governo pensando ad un modello simile alla cogestione.

In definitiva l’idea è quella di smantellare definitivamente l’idea di salario. Come qualsiasi lavoratore sa l’idea del "giusto salario" corrisponde prima di tutto alla soddisfazione di quelle necessità legate alla sopravvivenza ed alla riproduzione di se medesimo e della sua famiglia (se il salario è basso non si campa). Con l’accordo del luglio 1995 e successivi, fino all’accordo separato del gennaio 2009 il salario è stato invece vincolato ai risultati di redditività di impresa, ora lo si vuole far diventare un fattore a rischio a seconda della perfomance generale dell’impresa sul mercato.

Ossia il lavoratore non deve più andare a lavorare per avere un salario ma per partecipare ai rischi del mercato come qualsiasi altro azionista in borsa .... se gli va bene, bene ... altrimenti ..... son cazzi. E quindi anche la sua partecipazione all’impresa deve essere caratterizzata da dedizione, da spirito di corpo e di appartenenza alla grande famiglia. Deve lavorare di più quando serve e accettare di stare a casa quando non serve, senza protestare o mugugnare, anzi facendo il tifo affinchè il proprio management faccia le scarpe a qualche altra azienda o aumenti gli utili con qualche riduzione di personale. ...sperando in cambio in qualche bricciola (dividendo) a fine anno.

Quindi basta contrattazione, basta presentare richieste di aumento se il salario è basso .... bisogna invece imparare a sperare nel mercato, o ... come qualche economista pervaso da vera comicità ha affermato ... imparare ad essere protagonisti del nostro futuro.

Fin qui tutto chiaro. Ai padroni interessa ridurci il salario ed aumentare la nostra subordinazione al loro punto di vista e tant’è che per portare avanti questo loro obiettivo la fantasia non gli manca.

La nota dolorosa è che non riusciamo a capire i nostri sindacati.

Cisl e Uil, in particolare hanno ormai perso il senso del loro esistere come sindacato, ed incapaci di comprendere come di fronte ad una riduzione dei salari e dell’occupazione la risposta ovvia e semplice è quella di chiedere più salario e maggiori tutele all’occupazione si sono invece ormai definitivamente lasciati catturare dal mito della produttività come contropartita che essi possono portare al tavolo imbandito dalla nuova ed emergente casta "neocorporativa" del "vogliamoci tutti bene .. che poi qualche briciola la diamo pure a voi".

Mitico ed insuperabile rimane il grido di guerra del nostro Bonanni che di fronte ai lavoratori che chiedono più pane (cioè più salario), parafrasando la famosa Maria Antonietta (che proponeva allora di distribuire croissant) gridò non più tardi di un anno fa il suo imperativo e maschio ..... "basta col salario a prescindere".

Una uscita bizzarra che ha lasciato tutti a bocca aperta, ma cosa voleva dire lo si è capito a gennaio quando Cisl e Uil firmano l’accordo separato sul modello contrattuale. Un accordo semplice che praticamente dice che se vuoi un pò più di salario ti devi fare un mazzo tanto e poi non è detto che te lo danno questo un pò più di salario ... dipende ... e comunque non a tutti.

Confindustria (che sarà anche cattiva ma è anche sicuramente più furba di tutti) ovviamente sta relazionandosi con le pinze a tutta questa discussione. Gabbie salariali ??? Idea geniale ma meglio realizzarla con un più forte decentramento della contrattazione. Partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa ?? Non è male come idea ma è alquanto complicata da realizzare, meglio quindi dare più importanza ad un legame certo tra retribuzione ed obiettivi di redditività, smontando il contratto nazionale che non riesce a rispondere alle flessibilità nuove che si chiedono alla prestazione ed alla retribuzione.

Confindustria non è scema ... essendo il suo obiettivo quello di ridurre le retribuzioni facendole dipendere dagli obiettivi aziendali e non dai bisogni che i lavoratori devono soddisfare, ed essendo il suo obiettivo quello di non legarsi alla forza lavoro preferendo averla disponibile sul mercato nelle forme a lei più congeniali (precaria, flessibile ecc) ha già tutte le norme che gli servono, sia dal punto di vista legislativo che contrattuale. Perchè complicarsi la vita quando ciò che gli serve è portare a regime quanto è già stato fatto per smantellare le tutele del lavoro ??

Confindustria accetta quindi il confronto su queste materie (gabbie salariali e partecipazione dei lavoratori agli utili di impresa) solo perchè dal punto di vista ideologico servono a smontare ancora di più le resistenze all’entrata a regime dello scenario che si è costruita in questi anni con la complicità del nuovo e rampante neocorporativismo sindacale.

In fin dei conti ciò che Confindustria vuole veramente dal Governo è più soldi pubblici spesi a sostenere le imprese, maggiore libertà di accesso ai settori remunerativi ancora in mano pubblica (sanità, scuola, acqua ecc). meno tasse e meno contributi da pagare ...... Alla riduzione dei salari ed alla precarizzazione dell’occupazione ci stanno già pensando loro grazie agli smantellamenti normativi realizzati in questi anni sia dai governi di centrosinistra che di centrodestra, ed ai cedimenti sindacali in materia di contrattazione.

In fin dei conti ciò che Confindustria vuole, anche utilizzando e piegando al proprio interesse le battute del Governo Berlusconi su gabbie salariali e partecipazione agli utili, è ribadire e rafforzare la centralità dell’impresa su tutto il resto chiedendo che tutto venga subordinato a questo.

Ciò che rende penoso questo momento è l’assoluta subordinazione sindacale a questo gioco.

Cisl e Uil ripetono ciò che già Confindustria dice e cioè che di gabbie salariali non se ne deve parlare perchè il modo per differenziare i salari è già stato definito con l’accordo separato sul nuovo modello contrattuale ... quindi va bene la differenziazione ma a modo nostro ... se le differenziazioni vengono decise per legge ... noi che cazzo ci stiamo a fare ???

Per quanto riguarda la proposta di partecipazione agli utili osano invece di più balenando scenari di cogestione che però Confindustria gli ha già smontato.

E la Cgil ???

Vivacchia ... naviga a vista nella ricerca di un approdo facile a cui attraccare per riallacciare i rapporti con Cisl, Uil e Confindustria.

Certo non mancano le contraddizioni (vedi Fiom e non firma a livello confederale dell’accordo separato) ma non mancano neppure le ambiguità (vedi ultime dichiarazioni di Epifani sulle proposte di Confindustria di cercare ciò che unisce invece di dare peso a ciò che divide e vedi anche la debolezza contrattuale di diverse categorie Cgil).

L’evidenza è che la Cgil non abbia oggi una linea ma che si muova giorno per giorno facendo ciò che succede.

In definitiva, ciò che rende penoso questo momento è l’assolta inadeguatezza della iniziativa sindacale rispetto alla portata dell’offensiva da tempo apertasi su salari e occupazione, ed il futuro non promette nulla di buono .. anzi.

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Ciò nonostante la Cgil rimane per ora un elemento ancora contradditorio rispetto alla definitiva affermazione (anche formale oltre che sostanziale) del nuovo e più pesante livello di subordinazione del lavoro all’interesse di impresa.

Ma tutto si giocherà sopratutto nel suo percorso congressuale.

E’ chiaro che già si scontrano due linee. Da una parte chi chiede alla Cgil il coraggio di un più preciso posizionamento e di una più efficace strategia per rompere le subordinazioni a cui oggi è costretto il lavoro, e dall’altra chi vorrebbe un mandato largo e generico per continuare a navigare a vista, vedere ciò che succede e decidere di volta in volta che fare.

Nella prima posizione ci sta il tentativo di ridare fiato ad un sindacalismo contrattuale e rivendicativo, sulla seconda posizione ci sta invece l’interesse di una burocrazia che, senza sponde politiche efficaci, valuta timorosa la convenienza o meno di fare accordi con un Governo "non amico" nel timore di essere tagliata fuori dal nuovo ordine neocorporativo che il liberismo dei mercati sta ormai affermando.

Un congresso ha questo di buono ... che ancora può far sentire la voce ed il punto di vista dei lavoratori e farli esprimere su posizioni tra loro alternative.

In un momento come questo non possiamo permetterci l’assenza di un documento congressuale alternativo al congresso della Cgil, ed in ciò la rete28aprile ha ragione da vendere, anche solo che per tentare di sancire l’esistenza di una forte ed organizzata minoranza in Cgil .. già questo manterrebbe aperta una forte contraddizione sui tentativi presenti in Cgil di accettare ed adeguarsi alla normalizzazione del nuovo scenario neocorporativo.

8 settembre 2009

COORDINAMENTO RSU

http://www.coordinamentorsu.it/doc/altri2009/2009_0908_rsu.htm

Messaggi

  • 10.09.09 - Il congresso CGIL di fronte a un bivio, subire o lottare

    Giorgio Cremaschi, 10 settembre 2009, Liberazione.

    E’ cominciata nella Cgil la discussione sul congresso. Un congresso sul quale si appuntano attenzioni diverse, alcune amichevoli, altre malevole, comunque tutte profondamente interessate a cosa succederà nel principale sindacato italiano. Il nodo del congresso può essere così riassunto: dopo l’accordo separato sul sistema contrattuale e nel pieno della più grave crisi economica degli ultimi decenni quali sono il programma, l’iniziativa di un sindacato che non si rassegna ad accomodarsi all’esistente? (...)

    Con l’accordo separato Cisl, Uil, governo e Confindustria stanno tentando di stabilire un nuovo regime di collaborazione sindacale che dà per scontato che l’eguaglianza dei diritti dei salari, delle garanzie sociali debba essere progressivamente abbandonata in nome di una competitività attenuata dall’assistenza e dalla sussidiarietà. L’aggravarsi degli effetti sociali della crisi, invece che spingere verso una riforma profonda delle politiche economiche, sta portando a una riaffermazione brutale degli stessi meccanismi che l’hanno generata. Si mandano messaggi tranquillizzanti sulla ripresa perché si vuole ricominciare, come prima, peggio di prima, a speculare sul lavoro e sui diritti. Così il nuovo slogan vincente - legare ancor di più il salario alla produttività – propone in realtà una brutale selezione sociale nel mondo del lavoro. Si daranno i soldi e diritti solo a quella parte del mondo del lavoro che si salverà nella guerra della competizione, mentre per tutti gli altri ci sarà sempre meno.

    La frantumazione sociale e la precarietà, la guerra tra i poveri, le gabbie salariali, l’aziendalismo, sono tutte conseguenze e aspetti della stessa scelta di fondo: mantenere in piedi l’economia liberista anche quando questa non è più in grado di mantenere la promessa di alti ritmi di sviluppo. Cisl e Uil, al di là della propaganda, sono rassegnate al fatto che il sindacato non possa più modificare rapporti di forza e scelte di fondo, e quindi possa solo adattarsi ad amministrare la frantumazione sociale.

    Da qui la rinuncia a difendere il contratto nazionale e la scelta non tanto a favore della contrattazione aziendale, ma del salario di merito e aziendalistico. Il progetto del governo, sulla distribuzione delle azioni al posto dei salari, suggella questo disegno. Esso non c’entra nulla con la partecipazione e la democrazia industriale, da quando in qua i piccoli azionisti hanno contato qualcosa nelle grandi imprese? Il progetto in realtà attiene a un’altra scelta, quella di addossare ancor di più ai lavoratori i rischi del mercato dell’impresa. Si chiede ai lavoratori prima di rinunciare al salario del contratto nazionale in nome del salario di produttività, poi di sostituire quest’ultimo con le azioni. Si chiede ai lavoratori, semplicemente, di rinunciare al salario certo e di essere ancor di più disponibili a rischiare la propria condizione sociale per la competitività nell’impresa. Mentre l’intervento pubblico ha salvato la grande finanza, mentre per i ricchi ci sono stati interventi di stampo socialista, per i lavoratori e per i poveri c’è, ancor più di prima, il rischio di mercato. Si taglia il salario, si chiudono le fabbriche, si licenziano i precari pubblici e privati, si prepara una nuova aggressione alle pensioni, alla sanità, a tutto ciò che resta di pubblico.

    La Cgil con il suo no alla controriforma del sistema contrattuale ha dimostrato di non voler accettare tutto questo. Ma ora si trova di fronte a un bivio. Da un lato le blandizie e le minacce della Confindustria, dell’opposizione moderata, degli altri sindacati e naturalmente del governo, che le chiedono di rientrare.

    Dall’altro c’è la via, che può essere anche dura e solitaria, di ricostruzione dei rapporti di forza, per imporre una svolta reale sul piano delle politiche economico-sociali. Ogni passaggio della vita sindacale di queste settimane presenta questo bivio. Dall’azienda che licenzia, al contratto di categoria, alla scuola. Ovunque si è di fronte alla stessa alternativa: di subire l’esistente contrattando al meglio le indennità, o lottare a fondo per cambiare le cose.

    Le lotte nelle fabbriche, il successo dell’Innse tra queste, la rivolta dei precari nella scuola, mostrano che c’è una disponibilità diffusa nel mondo del lavoro a non rassegnarsi. Ma ci sono anche, all’opposto, un’ideologia e una pratica che invece incoraggiano alla rassegnazione del “si salvi chi può”.

    Il congresso della Cgil sta qua dentro, nelle lotte, nei conflitti sui contratti, nella rottura dell’unità sindacale, nella crisi economica che dura e che continua a far danni. La reazione automatica del gruppo dirigente, di fronte a questa situazione, è quella di proporre un congresso senza alternative, unitario si dice nel linguaggio sindacale. La proposta è sostenuta da argomentazioni di apparente buon senso: di fronte a tanti conflitti, non dividiamoci tra noi. Il fatto è che però questo bivio tra accettazione e rassegnazione esiste comunque e, anche se si tenta di aggirarlo con giochi dialettici, si presenta davanti alle scelte quotidiane del sindacato. Per questo il congresso della Cgil non può saltare un confronto vero sulle scelte da compiere. Dopo 15 anni di concertazione, con i salari più bassi d’Europa e la prospettiva che scendano ancora, la Cgil deve scegliere se accettare il meccanismo che ha di fronte oppure provare intelligentemente e radicalmente a rovesciarlo. La seconda ipotesi significa rinnovare profondamente il sindacato e la sua piattaforma, ricostruire partecipazione e democrazia, fare del conflitto non l’estrema razio, ma la cultura e la pratica fondamentale dell’organizzazione.

    In conclusione, il no della Cgil alla controriforma del sistema contrattuale non deve essere vissuto come una parentesi o un incidente, ma come la scelta costituente di un nuovo modello di sindacato confederale. Se su questo ci sono opinioni diverse, è un fatto di democrazia che esse non siano sequestrate in confuse mediazioni interne ai gruppi dirigenti, ma vengano presentate con rigore e chiarezza agli iscritti e ai lavoratori. Un congresso della Cgil su posizioni diverse non solo non fa scandalo, ma è un contributo alla democrazia e alla partecipazione. Delle quali c’è infinito bisogno nell’Italia di oggi.

    Giorgio Cremaschi, Segretario Nazionale Fiom/Cgil

  • SE la CGIL NON CAMBIA PROGRAMMA E PRENDE PIù CORAGGIO NELLE RIVENDICAZIONI DEGLI OPERAI SI SUICIDERà CON LE SUE MANI!!!!!!!