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Sarkozy si gioca l’ avvenire sulla riforma costituzionale

Publie le mercoledì 23 luglio 2008 par Open-Publishing

Sarkozy si gioca l’ avvenire sulla riforma costituzionale

di Massimo Nava

Ma l’ opposizione lo accusa di «bonapartismo»

Aiuto! E’ tornato Napoleone III, la Repubblica è in pericolo. Così sembrano pensare i socialisti francesi e alcuni deputati gollisti di fronte al tentativo di Nicolas Sarkozy di modificare la Costituzione. Se vedessimo barricate per le strade di Parigi, il dibattito - acceso e pieno di fantasmi storici - potrebbe effettivamente ricordare il passaggio dalla Repubblica all’ Impero, con «Sarko I», iperpresidente che tutto può e tutto decide, un primo ministro ridotto al ruolo di maggiordomo di corte e l’ Assemblea nazionale esposta ai voleri del monarca.

Eppure di «bonapartismo» e di sistema da riformare si parla dai tempi di Mitterrand ed è proprio Sarkozy a voler introdurre cambiamenti che limitino la concentrazione dei poteri. «Questo regime si chiama monocrazia, il governo di uno solo e la riforma non va nella direzione giusta», tuona un giurista di chiara fama, Robert Badinter, l’ ex guardasigilli di Mitterrand che fece abolire la pena di morte. Oggi, nella vetrina del palazzo di Versailles, sede di grandi occasioni e grandi decisioni, con parlamentari e senatori in seduta unificata, vedremo a che cosa porterà la battaglia finale. Sarkozy ha bisogno dei due terzi dei voti per far passare la più importante modifica costituzionale (38 articoli) dai tempi di de Gaulle.

I cellulari sono infuocati di appelli al voto utile, si moltiplicano le concessioni dell’ ultima ora per convincere scettici e oppositori. Lo stesso Sarkozy, negli ultimi giorni, ha offerto nuove modifiche che rafforzerebbe il ruolo delle commissioni parlamentari, ma l’ opposizione si prepara al muro contro muro. Al giudizio negativo sulla riforma, si somma la prospettiva di incassare le conseguenze politiche di un indebolimento del presidente e della maggioranza. Sarkozy teme lo schiaffo della sconfitta, ma è tutto da vedere se la democrazia francese e le istituzioni della Repubblica ne uscirebbero vittoriose e in salute.

Il dubbio è angosciante, se si ripercorrono brevemente le questioni in gioco. La prima - la più importante, condivisa da tutte le forze politiche - è che il presidenzialismo francese e le sue istituzioni hanno bisogno di profondi correttivi. Per quanto si discuta (anche in Italia) sull’ eventualità di prenderlo a modello di governabilità, sarebbe ora di osservarne da vicino i limiti: eccesso di potere del presidente, scarso ruolo del parlamento, un senato ridotto a consesso di notabili eletti con un sistema arcaico, penalizzazione delle minoranze come conseguenza del maggioritario a doppio turno. «Il nostro è un sistema squilibrato in confronto alle altre democrazie europee», ammette il premier, François Fillon.

La seconda - ed è il paradosso della battaglia di oggi - è che proprio Sarkozy si sia deciso a mettere nero su bianco argomenti di cui in Francia si discute da vent’ anni. E sulla carta la sua riforma va nel senso opposto al «bonapartismo»: limite del mandato del presidente a due legislature, possibilità per i cittadini di indire referendum abrogativi, forti limiti all’ utilizzo del voto di fiducia, soppressione del diritto di amnistia collettiva, maggiori poteri al parlamento e alle commissioni che possono mettere il veto sulle nomine di sottogoverno del presidente. Attualmente, è stato calcolato che settemila nomine passino dall’ Eliseo. Infine, obbligo di ottenere l’ accordo del parlamento in caso di operazioni militari superiori ai quattro mesi.

Bisognerebbe entrare nei dettagli per illustrare un testo elaborato a suo tempo dalla commissione Balladur, già molto emendato dalle opposizioni e arricchito durante il dibattito nei due rami del parlamento. Ma, in sintesi, l’ obbiettivo del presidente è appunto quello di introdurre maggiori equilibri nelle istituzioni, offrendo all’ opposizione e ai cittadini più poteri di controllo e diritti. «Non è una riforma di destra o di sinistra, ma una riforma per il Paese. Se non passa, è la sconfitta di tutti», dice Fillon. E i francesi, in maggioranza, sono favorevoli. Perché allora tanti timori e perplessità, anche nella maggioranza? Al di là dei preconcetti di schieramento o personali (sono contrari molti amici di Chirac e Villepin), c’ è un articolo che fa discutere: il diritto del presidente di esprimersi davanti al parlamento, diritto formale, che però rafforza l’ idea che il presidente sia il vero capo del governo e non più il rappresentante della Nazione, super partes ed eletto dal popolo.

Tutti sanno che da sempre non è così, ma la forma conta. E proprio Sarkozy ha sempre detto: «Voglio essere un presidente che governi». I socialisti, salvo qualche parere diverso (Jack Lang) si schierano contro per varie ragioni, oltre al tornaconto politico. Avrebbero voluto l’ introduzione di una quota proporzionale, il diritto di voto per gli stranieri alle elezioni locali, la regolamentazione dei tempi di parola del presidente alla televisione e la riforma del sistema di elezione del Senato. «E’ assurdo che l’ opposizione abbia vinto tutte le elezioni locali e sia minoritaria al Senato! Sarkozy fa una riforma di facciata, che non cambia le cose», sostiene il segretario del PS, François Hollande. Battaglia aperta. L’ ultima parola, oggi, a 576 deputati e 330 senatori. In seduta plenaria, nel palazzo del Re Sole.

Corriere della Sera del 21/07/2008