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Shoah, la memoria non si difende per legge
Gabriele Polo
Può una legge difendere la memoria della Shoah? Può la galera per chi nega un male indicibile difendere le vittime di un crimine assoluto? E battere chi ne evoca linguaggi e forme? Evidentemente no. In cuor suo se ne deve essere convinto persino il ministro Mastella avendo egli, all’ultimo momento, cambiato il disegno di legge che da oggi inasprisce le pene per «chiunque diffonda idee sulla superiorità razziale», evitando ogni esplicito riferimento al negazionismo della Shoah. Le proteste degli storici un effetto lo hanno quindi avuto. Ma, come spesso accade in Italia, il provvedimento proposto dal Guardiasigilli ha maglie talmente larghe da poter far rientrare dalla finiestra ciò che è stato fatto uscire dalla porta.
Una comunità che ha bisogno di una legge per affermare quelli che dovrebbero essere i suoi valori costitutivi è una comunità debole. Lancia un segnale di fragilità: andrebbe affrontata in altro modo, con un profondo lavoro sulla cultura comune (a partire dalla scuola, sempre più abbandonata a se stessa o considerata un’azienda privata). Invece si preferisce reintrodurre il reato d’opinione, una nuova legge Mancino (più estensiva), quella che la sinistra aveva combattuto in un recente passato. Servirà a far sparire dagli stadi o dalle strade svastiche, saluti romani, cori razzisti? Non è mai andata così. Anzi, come dovrebbe insegnarci la lezione tratta dall’applicazione (si fa per dire) della legge sull’apologia del fascismo, servirà ad abbassare l’attenzione politica e culturale in difesa dei valori costituenti della nostra democrazia, perché «tanto ci penserà un giudice». Sapendo che non ci penserà quasi nessuno e che il violare la legge sarà un motivo in più per far uscire cose becere o stupide dalla bocca di chi non sa nemmeno ciò che dice, quel che ha significato e significa.
E’ un modo sciocco e controproducente per affrontare problemi epocali. Come minimo semplificatorio. Come quell’affermazione di ieri del presidente della Repubblica che equipara l’antisemitismo all’antisionismo. Che, nella politica di guerre che segna la nostra contemporaneità, producano entrambi disastri non significa che siano la stessa cosa: appiattire le differenze è un regalo a chi domani negherà il male di Auschwitz e la sua memoria.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/26-Gennaio-2007/art3.html