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Oggetto: Si addestrano in volo in Iraq» E così muoiono
La verità dai colleghi dei 4 elicotteristi precipitati il 31 maggio: «Abilitati da poco al volo notturno, li hanno mandati a fare esperienza al posto degli anziani». Erano 40 gradi fuori rotta
ALESSANDRO MANTOVANI
ROMA
Li hanno fatti volare di notte nei cieli iracheni per uno scopo preciso ma inconfessabile: completare l’addestramento. Ecco a cosa serviva il viaggio costato la vita al tenente colonnello Giuseppe Lima, 39enne di Roma, al capitano Marco Briganti (33) di Forlì e agli specialisti mitraglieri Massimiliano Biondini (33) di Bagnoregio (Viterbo) e Marco Cirillo (29) di Viterbo, i quattro elicotteristi dell’Aves, l’Aviazione dell’esercito, rimasti uccisi nel deserto a 13 miglia da Nassiriya la notte tra il 30 e il 31 maggio. E’ stato un incidente, non un atto di guerra. L’indagine della procura militare di Roma è chiamata a chiarire se sia stato provocato effettivamente da un’«imprevedibile» tempesta di sabbia o da altro, guasto meccanico o errore umano. Il relitto è stato ritrovato 40 gradi fuori rotta, che non è affatto poco. L’elicottero viaggiava a 120 nodi, oltre 200 chilometri l’ora, a una decina di metri dal suolo. Come si ricorderà i quattro stavano rientrando da Kuwait City dove avevano accompagnato un commilitone, costretto a rientrare in Italia per un grave lutto familiare. Non c’era alcun motivo ragionevole per predisporre un volo che in gergo sichiama Nvg, Night vision googles, ovvero il volo notturno tattico con i visori che poi sarebbero speciali occhiali elettronici in dotazione ai piloti. L’equipaggio avrebbe potuto passare la notte nella base kuwaitiana per ripartire l’indomani, con la luce del giorno e in tutta sicurezza.
I due piloti erano molto preparati, assicurano gli stati maggiori. Il comandante Lima aveva 480 ore di volo all’attivo, di cui però solo 24 sull’AB 412 che è il velivolo sul quale è precipitato. Poteva pilotarlo solo da gennaio. Il primo pilota capitano Briganti, alla seconda missione in Iraq e quindi esperto della zona, aveva totalizzato 1060 ore di volo di cui 521 su AB 412. Ma non è questo, dicono i loro colleghi dell’Aves, il dato che conta davvero, perché «tra pilotare un elicottero in condizioni normali e un volo Nvg passa la stessa differenza che c’è tra guidare un’utilitaria e lanciarsi in pista al volante della Ferrari di Shumacher». Lima era abilitato Nvg dallo scorso gennaio e dopo 25 giorni è finito in Iraq, quando alle spalle aveva solo 15 (quindici) ore di volo Nvg comprese quelle necessarie per l’abilitazione e che chiameremmo, per intenderci, «di scuola guida». Briganti, abilitato nel 2004, 35 (trentacinque) ore di volo Nvg. Non erano affatto i piloti più esperti tra quelli a disposizione del comando italiano di Tallil, la base poco lontana da Nassiriya dove sono acquartierate l’Aeronautica e l’Aves, ma gli altri sono stati tenuti a riposo proprio perché loro «facessero esperienza».
Sono tutte informazioni che arrivano da uomini dell’Aves impegnati in Iraq. C’è già un’interrogazione urgente depositata in senato dal capogruppo del Prc, Gigi Malabarba. A Viterbo come a Rimini, nelle basi dell’Aviazione dell’esercito, la tensione è fortissima come dimostrano anche le e-mail, in parte pubblicate qui sotto, che arrivano a siti come www.paginedidifesa.it o www.osservatoriomilitare.it. Ma anche i comandi devono aver compreso che qualcosa non funziona, tanto da bloccare la partenza, prevista in questi giorni, dei piloti di stanza a Rimini che sarebbero dovuti partire, a questo punto anche per rimpiazzare quelli deceduti nell’incidente. Li hanno bloccati con otto ore di preavviso.
Per l’ennesima volta ci vogliono i morti. La missione in Iraq si è ormai trasformata in un calvario per l’Aves: era stato necessario uno scandalo, quello dei quattro piloti rimpatriati, per adeguare le protezioni dei velivoli; poi c’è voluto un morto, il maresciallo Simone Cola ucciso a gennaio durante una ricognizione su AB412, per spedire in Iraq gli elicotteri corazzati A129 Mangusta scartati, fino a quel momento, in nome della propaganda che chiama «missione di pace» quella in Iraq. Lo stesso, si ricorderà, era successo ai carabinieri, che per cambiare strategia e spostarsi ai margini dell’abitato di Nassiriya attesero la strage del 12 novembre 2003. E l’esercito spedì in Iraq i carri e i blindati Dardo e Ariete solo dopo l’uccisione del caporale Marco Vanzan.
«Il vero problema - spiega un sottufficiale dell’Aves - è che i più anziani ed esperti, in un modo o in un altro, riescono a evitare l’Iraq». Fanno cioè la scelta che è costata molto cara ai quattro che un anno e mezzo fa rifiutarono di volare di notte nei cieli del Golfo Persico su elicotteri da trasporto CH47 che ritenevano poco sicuri. Vennero immediatamente rispediti in Italia e denunciati per insubordinazione e altre diavolerie previste dal codice militare. «Ottimi piloti, pessimi soldati», sentenziò l’allora comandante dell’Aves, generale Luigi Chiavarelli. Di parere opposto è stata la procura militare di Roma che ha chiesto l’archiviazione, non ancora disposta dal giudice per le indagini preliminari. Ma la gerarchia è la gerarchia e i quattro, da allora, sono a terra. Non li fanno più volare. E l’Aves nel frattempo è costretta a mandare in missione, in un posticino tranquillo come l’Iraq, piloti che avrebbero ancora bisogno di completare l’addestramento. «Vanno ad addestrarsi laggiù, costi quel che costi - conclude amaramente il sottufficiale - Anche perché in Italia, vuoi per ragioni economiche, vuoi per le limitazioni previste per i voli militari, non è per niente facile accumulare ore di volo».
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Giugno-2005/art15.html




