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Si scrive “morti bianche”, si legge capitalismo

Publie le giovedì 2 agosto 2007 par Open-Publishing

Scritto da Mario Iavazzi
Se la lettura del presente articolo dovesse impegnare 5 minuti del vostro tempo, considerando per questa cinica statistica anche le notti e i giorni festivi, nel frattempo quasi una decina di lavoratori si saranno infortunati lavorando. 939.566 sono stati, infatti, gli infortuni sul lavoro solo nel 2005 e i 1246 morti, oltre tre al giorno. L’Anmil (Associazione mutilati e infortunati sul lavoro) stima 1280 morti per il 2006, dunque un dato in aumento, ai quali andrebbero aggiunti i morti non contabilizzati nell’economia sommersa.

Se i mezzi di comunicazione affrontassero il tema della sicurezza sul lavoro dedicandogli lo stesso spazio che dedicano alla cronaca, non parlerebbero d’altro. Ma è evidente che è molto più comodo insistere nel parlare e raccontare nel dettaglio di furti e omicidi per le strade piuttosto che d’infortuni sul lavoro, meglio alimentare la paura, magari dell’immigrato, del tossico o dell’emarginato sociale, o raccontarci nei dettagli le nozze milionarie di Tom Cruise, piuttosto che aprire una riflessione nella società su quanti omicidi i padroni commettono per non aver rispettato le norme sulla sicurezza del lavoro.

Una strage permanente

Quando accadono stragi come quella che ha procurato quattro morti e un ferito l’esplosione della Umbria Olii, si vuole trasmettere l’idea di fatti “eccezionali”, ma i dati forniti dall’Inail ci dicono che tragedie simili avvengono quotidianamente. I lavoratori coinvolti nell’esplosione, trovati carbonizzati, facevano parte di una squadra di cinque persone di una ditta esterna e stavano lavorando vicino ad un silo. L’esplosione di Umbria Olii, uno dei maggiori oleifici della regione, pare che sia stata causata da una scintilla che si è sprigionata durante le operazioni di saldatura che hanno innescato la serie di scoppi.

Bertinotti, in queste settimane, ha denunciato l’inciviltà di una società in cui si muore sul lavoro. Liberazione, domenica 10 dicembre, ha dedicato la prima pagina alle morti bianche indicando il nome di tutti i caduti nel 2006 e come è avvenuto il fatto. Ma il più delle volte le istituzioni si limitano a coprire i morti con i fiori della retorica d’occasione, parlando magari di un problema “culturale”.

Per il profitto si muore!

Il mercato del lavoro flessibile e l’alta precarietà spingono i lavoratori ad accettare condizioni di lavoro sempre più pesanti e ritmi sempre più intensi. La legge 626, che assieme ad una legge del 1955 regolamenta le norme minime sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, resta un foglio di carta straccia quando nelle aziende si affermano precarietà e flessibilità selvaggia. Al di là della sensibilità del singolo lavoratore, i dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, ecc.) sono l’ultimo dei problemi quando sei costretto a stare zitto e non protestare se non vuoi correre il rischio di non veder rinnovato il tuo contratto di lavoro.

Lo stesso discorso vale per i lavoratori immigrati, dal momento in cui se non hanno un contratto, se sono licenziati, non si vedono rinnovare il permesso di soggiorno.

L’attuale governo parla (come già il precedente governo Berlusconi) di emanare un Testo Unico che raccolga tutta la normativa sulla sicurezza sul lavoro. Il tentativo infame del governo Berlusconi di allentare ulteriormente i vincoli per le aziende per fortuna è andato a monte. Oggi siamo in attesa di capire cosa proporrà l’attuale governo, nella speranza che possa migliorare la legge 626. Ma sarebbe sbagliato nutrire aspettative, anche sulla richiesta di Bertinotti di una commissione d’inchiesta che ci pare come minimo insufficiente.

Le cause della strage nelle fabbriche hanno nomi e cognomi precisi: flessibilità, precarietà, ricatto permanente (in particolare sui lavoratori immigrati), aumento incessante dei ritmi di lavoro, del lavoro notturno e festivo, crollo degli investimenti, a partire da quelli in sicurezza, anche nelle aziende tutt’ora pubbliche. Un ruolo particolarmente negativo va attribuito ai processi di terziarizzazione, che hanno relegato in moltissime aziende le mansioni di trasporto, manutenzione, ecc., a ditte esterne con minori tutele.

Al fondo della scala i settori dell’edilizia e dei trasporti/logistica, dove dilagano cooperative e lavoro nero. Ultimi fra gli ultimi, i lavoratori immigrati clandestini, ridotti a condizioni di vera e propria schiavità in numerosi settori dell’agricoltura e nei cantieri, le cui morti spesso vengono occultate dai padroni (si ricordi il muratore rimasto sepolto sotto una palazzina crollata a Licata, mentre il padrone negava che vi fosse alcuna vittima).

La stessa legge 626, che inizialmente era stata vista da molti come un grosso passo in avanti, ha fallito. I Rappresentanti dei lavoratori alla sicurezza (Rls) istituiti dalla legge, in pochi casi riescono a farla rispettare senza un coinvolgimento attivo dei lavoratori. Per non parlare delle piccole aziende dove la figura del Rls interno nemmeno è prevista.

La 626 è sempre stata vista come fumo negli occhi dalle aziende. I padroni considerano la sicurezza un costo aggiuntivo, un abbassamento di produttività e uno strumento di controllo in mano ai lavoratori. Del resto gli Ispettori del Lavoro sono ad oggi meno di 2300 in tutto il paese e anche se si sta discutendo in Finanziaria di aumentarne di qualche centinaio, resta un numero ridicolo.

La salute e la sicurezza possono entrare nelle fabbriche solo se cambiano i rapporti di forza, se entrano maggiori diritti, se il ricatto della precarietà e dei salari da fame viene rotto. Altrimenti ogni legge resterà lettera morta. Bisogna in generale rivendicare:

 Sostanziali aumenti salariali, di 250-300 euro.

 Ritmi di lavoro meno intensi, riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

 No al lavoro notturno se non strettamente necessario.

 Stop alla precarietà, trasformazione dei contratti “flessibili” in contratti a tempo indeterminato.

 Estensione dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori a tutte le aziende.

 Controllo dell’organizzazione del lavoro da parte di Rsu e Rappresentanze elette democraticamente dai lavoratori.

 Piano di assunzione di migliaia di nuovi Ispettori del Lavoro con maggiori poteri e mezzi d’intervento, sotto il controllo dei lavoratori e dei loro rappresentanti.

 Esproprio senza indennizzo delle aziende in cui muoiono lavoratori a causa del mancato rispetto delle norme sulla sicurezza e nazionalizzazione di queste aziende sotto il controllo dei lavoratori.