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Sinistra arcobaleno: Una fine annunciata

Publie le martedì 22 aprile 2008 par Open-Publishing
3 commenti

Una fine annunciata Questo mese sul mensile Aprile

di Famiano Crucianelli

Nella vittoria della destra pesante è il voto popolare, fondamentale l’unità operai-imprenditori del Nord così come la deriva sociale e morale del Sud e, infine, decisivo il bisogno di sicurezza contro le tante paure e incertezze dei nostri tempi. E’ un voto pericoloso; il rischio di una deriva radicale di destra è reale. Pensare di ribaltare questa situazione tornando all’antico - come qualcuno a sinistra pensa - o anche, inseguendo i moderati del 900 - come diversi chiedono - sarebbe un puro vagheggiamento

Forse è ancora presto per riflettere a mente fredda sulla disfatta della Sinistra arcobaleno e sulla sconfitta del Partito democratico nella sfida con Berlusconi. Forse, ma non possiamo comunque sottrarci.
Le recriminazioni sono tante, i veleni ancor più e lo "scaricabarile", del resto, è un antico sport nazionale a destra come a sinistra. Sugli errori di miopia, stupidità e strategia politica dirò poco e, in conclusione, mi interessa partire da quella che a me sembra la questione fondamentale, vale a dire l’affermazione di una cultura e di un orientamento di una "nuova destra " in una parte ampia se non maggioritaria della società europea. Sola eccezione, la Spagna di Zapatero.

Questo dato di analisi non è un’attenuante per la sconfitta da poco subìta; al contrario è un’aggravante. Aver compromesso il governo Prodi, mentre in Europa e ancor più in Italia sono evidenti le difficoltà a sinistra e le spinte pericolose a destra, è stato un vero delitto politico. La causa profonda di questo smottamento verso destra è da ricercare in quegli effetti diretti e indiretti che sull’economia, sulla cultura e sulle società occidentali hanno determinato i processi di globalizzazione.

In questi ultimi venti anni è cambiato tutto e la caduta del muro di Berlino ha accelerato esponenzialmente questi mutamenti; un mutamento regressivo e insieme ricco di opportunità. Il nuovo mondo ha cancellato i confini nazionali, ha mutato alla radice i rapporti di forza fra impresa e lavoratore, ha reso esplosiva la crisi fiscale dello stato, ha messo in movimento masse enormi di poveri dall’est e dal sud verso le metropoli del capitalismo e, al tempo stesso, ha dato un impulso straordinario alle nuove tecnologie, alla modernizzazione nella produzione, nei servizi e nella comunicazione sociale. Nella sostanza mentre da una parte molti sono i cittadini privi di diritti fondamentali, lavoratori sempre più deboli e sempre più precari, imprese disperate nel mercato globale, una realtà ricca di informazione e povera di cultura, dall’altra parte, in un’area significativa della società e del sistema economico, è cresciuto dinamismo e professionalità.

Molte aziende hanno moltiplicato le loro fortune nel mercato mondiale e diverse centinaia di milioni di cittadini del mondo sono entrati nello sviluppo economico. La globalizzazione ha lacerato in profondità il tessuto unitario, ha polarizzato il sistema sociale fra quanti partecipano (e bene) delle grandi opportunità e quanti (i più) sono precipitati nelle zone basse della società . I cosiddetti ceti medi, dei quali si continua a parlare, sono come dissolti, una parte minore dei quali promossa nei piani nobili del sistema e gli altri, i più colpiti da una moderna proletarizzazione. E’ come se fosse saltato un ponte e le due rive sono sempre più distanti e senza comunicazione sociale. Il paradosso è che, mentre il mondo è sempre più globale, mentre il virtuale e i consumi creano l’impressione di partecipare allo stesso destino, in realtà la società è sempre più divisa, immobile e castale. A fronte di una parte della società che è ben garantita vi è una moltitudine composita di cittadini e lavoratori insicuri per l’oggi e per il domani, cittadini che avvertono le masse disperate che vengono dal Sud del mondo e dall’est dell’Europa come un pericolo e un problema acuto.

La prima vittima di questo nuovo stato di cose è la politica, il sistema classico dei partiti, il sindacato e, in primo luogo, la sinistra. Non era un destino scritto, perché al fondo le nuove contraddizioni del mondo globale, la debolezza degli stati nazionali, la tendenza ai conflitti e al disastro ambientale così come la condizione di vita e di lavoro di tanta parte della società e la stessa modernità avrebbero chiesto più politica, più iniziative democratiche, progressiste e di sinistra. Per questo alla metà degli anni 90 - quando al governo dell’Europa vi era la sinistra e negli Stati Uniti il partito democratico - si è persa un’occasione storica. La sinistra non ha saputo né voluto sciogliere il nodo di un’Europa politica, autonoma e protagonista nel mondo e l’amministrazione Clinton ha lasciato sul tavolo tutti i problemi a partire dalla tragedia Israelo-Palestinese sino alla retorica vuota sui poveri del Sud.

Nella sostanza, né gli europei né l’amministrazione americana hanno saputo dare sicurezza e futuro alle nuove masse proletarizzate. Non hanno saputo parlare ai nuovi ceti figli della modernità, né virtuosamente interagire con le opportunità che pure la globalizzazione ha liberato a livello planetario, vale a dire l’ingresso nel mercato internazionale e nello sviluppo economico di grandi aree del mondo in Oriente come in America latina.

In questo vuoto si è affermato il capitalismo senza regole e senza pietà, si è alzata l’onda migratoria dei poveri del Sud, è cresciuta nel cuore dell’Europa la mala pianta del populismo e della demagogia. Se dovessi pensare a una data, quella è il 1996, l’anno, gli anni delle grandi occasioni mancate.

L’Italia di questa tendenza generale rappresenta il volto peggiore. Lo è in profondità, nella sua struttura e nella sua composizione sociale: una società bloccata da corporazioni voraci e da caste plebee e sofisticate; un sistema inquinato dalla piccola, molecolare come dalla grande illegalità e un mondo produttivo sino all’altro ieri vissuto all’ombra protettiva della svalutazione della lira. Lo è nel sistema politico e nelle istituzioni che hanno perso credito e autorevolezza nella società, oramai paralizzate da una balcanizzazione ottusa e prive di autonomia dai poteri economico - finanziari come dalle pressioni del Vaticano. Lo è in quel debito finanziario dello Stato, ben oltre il 100% del Prodotto interno lordo che rappresenta il vero crimine di chi ha governato l’Italia negli anni 80. Da qui un paese dall’ identità incerta, una classe dirigente senza ambizioni, una società confusa e insicura e, quindi, il pericolo del declino. Perché meravigliarsi se la ricerca, la formazione e l’innovazione tecnologica ristagnano? Perché sorprendersi se la competitività del nostro sistema economico è agli ultimi posti dei paesi industrializzati? Perché lamentarsi di una società per buona parte egoistica e senza etica pubblica ? Perché stupirsi se Berlusconi vince le elezioni?

Esiste, però, un’altra Italia: quella della legalità, della sicurezza senza razzismo, del mondo del lavoro consapevole delle grandi sfide comuni, della cultura e della creatività, dei giovani che accettano la fatica del " merito" e dei doveri e dei diritti. A questa Italia - per una congiuntura politica straordinaria - era stata data una grande e inedita opportunità: i disastri del governo Berlusconi dal 2001 al 2006 avevano consegnato sul filo di lana a Prodi e al centro- sinistra il capitale del governo. In meno di 20 mesi quel capitale è stato dilapidato; la sinistra radicale è stata cancellata ed il Partito democratico è solo una frontiera di resistenza e una speranza per il futuro. Le ragioni di questo stato di cose sono diverse ma ne voglio rammentare schematicamente solo due.

In primo luogo un’irresponsabile gestione tecnocratica dei problemi del Paese: il rapporto deficit/PIL in poco più di un anno è passato da oltre il 4% a meno del 2%. Un buon risultato per i vertici della BCE e dell’Unione europea ed un merito per Padoa Schioppa; un disastro per lavoratori, cittadini e imprenditori onesti. Si è voluta ripetere la logica dei due tempi che già fu sperimentata nel 1996: prima il risanamento e poi lo sviluppo e la redistribuzione sociale di risorse. Dimenticando colpevolmente due novità. In quegli anni chiaro, forte e popolare era l’obiettivo dell’ingresso nella moneta unica europea e le condizioni materiali dei lavoratori non erano così indecenti come oggi. Non vi è quindi da meravigliarsi se quel clima sociale che aveva portato alla vittoria elettorale del 2006 si sia poi rapidamente trasformato in disillusione e recriminazione. A questa difficoltà si è sommato un secondo e devastante problema politico, quello di una maggioranza di governo che ogni giorno - nei suoi comportamenti e nelle sue scelte - ha dato il peggio di se.

I sicari del governo Prodi sono stati Dini e Mastella, ma quelli che hanno contribuito in modo decisivo al logoramento e allo sgretolamento dell’Unione sono quei dirigenti della sinistra che hanno trasformato la coalizione in un campo di battaglia permanente: dalle missioni militari alla TAV; dalle politiche sulla sicurezza alla base militare di Vicenza, per arrivare alle assurde mobilitazioni sul protocollo sociale contro il governo, contro il sindacato e contro il voto di 5 milioni di lavoratori. Per questa via si è preparato il peggio, si è aperta la via a Berlusconi e si è messa fuori dal Parlamento la sinistra radicale.

Si discute del "voto utile" e della inconsistenza politica della Sinistra arcobaleno: piccole verità a fronte di un grande problema sul quale, anche se tardiva, sarebbe utile una riflessione. In realtà quella di Rifondazione comunista e di Bertinotti è stata una rivoluzione incompiuta: si è passati dal movimentiamo e dal radicalismo no-global al governo senza un vero processo critico. Si è entrati al governo lasciando una parte di sé all’opposizione. Si è costruita la coalizione dell’Unione quasi fosse una necessità congiunturale e non una scelta e un investimento strategico. Si è ipotizzato il superamento di Rifondazione senza una strategia per il futuro. Rifondazione è rimasta nel guado né qualcuno, penso alla Sinistra democratica, le ha dato una mano per uscire da questa scomoda posizione e, alla fine, il prezzo pagato è stato molto alto.

Veltroni e il Partito democratico escono da questo scontro perdendo una battaglia, ma salvando l’esercito e il progetto. Non dovrebbe però sfuggire ai dirigenti del Pd la fragilità del risultato, non solo perché i molti che a sinistra hanno votato, sono attraversati da dubbi e da grandi incertezze, quasi un voto in prestito, ma perché cinque anni sono lunghi e sarà ben difficile affrontarli senza un vero progetto di opposizione, senza avere una stabilità di partito e senza trovare un punto di sintesi fra le diverse culture politiche. Il compito non è semplice ed è facile scambiare lucciole per lanterne. Si dice: il Pd non ha sfondato al centro, non ha preso i moderati. Ma chi sono i moderati? Dove sta il centro? Il rischio dell’autoinganno è forte. Bossi, Berlusconi, Fini, Alemanno sono tutt’altro che moderati e uomini di centro. Né Casini e il suo 5/6 per cento possono essere la bussola del Pd.

Siamo al centro di un sisma sociale, economico e culturale che sta mutando composizione sociale e codici di civiltà. Pensare che questa onda anomala abbia investito solo la sinistra è una pura sciocchezza. Nella vittoria della destra pesante è il voto popolare, fondamentale l’unità operai-imprenditori del Nord così come la deriva sociale e morale del Sud e, infine, decisivo il bisogno di sicurezza contro le tante paure e incertezze dei nostri tempi. E’ un voto pericoloso; il rischio di una deriva radicale di destra è reale. Pensare di ribaltare questa situazione tornando all’antico - come qualcuno a sinistra pensa - o anche, inseguendo i moderati del 900 - come diversi chiedono - sarebbe un puro vagheggiamento.

Messaggi

  • Lui, il Crucianelli, si è subito "riaccasato" nel Partito Democratico.

    E adesso viene a fare la predica proprio lui.

    Ma veramente, que se ne vayan todos !

    K.

    • Caro Crucianelli,

      non ho letto il suo articolo, ma la retorica racchiusa nelle prime righe mi esenta da tale compito. Neanche la curiosita’ mi spinge piu’ di tanto. Sa’ perche? Sono un cosiddetto Rottodicoglioni.

      Leggo nel suo articolo

      "Nella vittoria della destra pesante è il voto popolare, fondamentale l’unità operai-imprenditori del Nord così come la deriva sociale e morale del Sud e, infine, decisivo il bisogno di sicurezza contro le tante paure e incertezze dei nostri tempi. E’ un voto pericoloso; il rischio di una deriva radicale di destra è reale. Pensare di ribaltare questa situazione tornando all’antico - come qualcuno a sinistra pensa - o anche, inseguendo i moderati del 900 - come diversi chiedono - sarebbe un puro vagheggiamento"

      Certo e’ vero. E l’ho avevo scritto prima del voto con poche righe: se hai un leader di sinistra che si pavoneggia a neo-liberal illusionista, allora la manipolazione delle coscienze e’ avvenuta molto prima nei tempi.

      Sono questi i segnali che si dovevano ascoltare. Alcuni hanno ascoltato, capito e stanno agendo.

      Le dico di non avere paura.

      Lasci la sua retorica perche’ forse anche lei avra’ bisogno di lottare. Poi decida da che parte stare.

      Noi ed in tanti qui abbiamo capito la situazione. Per questo, alla maniera antica io le ribadisco che e’ necessario formare le avanguardie antagoniste, il corpo combattente, i guastatori ed assaltatori, le retroguardie e tutto il resto.

      Lasci da parte le illusioni. Guardi, sono molti davvero i rottidicoglioni.

  • "I sicari del governo Prodi sono stati Dini e Mastella, ma quelli che hanno contribuito in modo decisivo al logoramento e allo sgretolamento dell’Unione sono quei dirigenti della sinistra che hanno trasformato la coalizione in un campo di battaglia permanente: dalle missioni militari alla TAV; dalle politiche sulla sicurezza alla base militare di Vicenza, per arrivare alle assurde mobilitazioni sul protocollo sociale contro il governo, contro il sindacato e contro il voto di 5 milioni di lavoratori. " LE PAROLE DI CRUCIANELLI SI COMMENTANO DA SOLE. SECONDO LUI IL PROGRAMMA ELETTORALE ERA SOLO UNA PRESA PER IL CULO E L’INVOCAZIONE DEL SUO RISPETTO UNA PERDITA DI TEMPO.