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di Lorenzo Marvelli
Sono a lavorare.
qui fuori, la piazza della stazione di Montesilvano, c’è un sacco di polizia. anche carabinieri in assetto antisommossa con i soliti guanti neri di pelle alle mani che indossano quando devono fare il lavoro sporco. A Montesilvano come a Buenos Aires o a Pechino o a Los Angeles o a Marsiglia...
Tutti uguali gli eserciti armati metropolitani. tutta la stessa risma.
Gli occhiali a specchio.
Gli scarponi fino a sotto il ginocchio.
Le pistole al cinturone.
Un esercito di robocop pronti a picchiare.
Corpi terrificanti in divisa.
Saranno felici di dare seguito immediatamente al decreto sicurezza passato ieri alla camera.
Non ci avranno dormito questa notte.
sai una cosa?
tutto questo mi fa schifo.
sto leggendo un bellissimo libro di Caminiti che s’intitola "Settantasette". Ebbene. Devo dirti che mi piacerebbe che tornasse il 77 per dare risposta agli eserciti dispiegati, proprio dal basso ed in maniera insorgente. come fu in quell’anno pieno di ribelli per strada.
Potere operaio, lotta continua e poi le femministe, gli indiani metropolitani e centinaia di gruppi con in testa l’idea della rivoluzione.
Il problema è che quel movimento si è polverizzato. nel terrorismo, nell’eroina, anche nelle istituzioni.
Ed ora non restano che gli eserciti armati nelle piazze delle nostre città. che non sono più nostre. e neanche loro. Perché non sono di nessuno queste cazzo di città.
Ieri sono intervenuto con l’ambulanza a casa di una donna che aveva ingerito farmaci in eccesso. un sonnifero. Una separazione in corso, problemi con la madre e la fuga in campagna dai nonni, vecchi e rincoglioniti. in casa due figli, 9 ed 8 anni. un bambino ed una bambina. anche un gatto con gli occhi azzurri e due cani molto belli.
Dopo aver iniettato in vena l’antidoto alla mamma in coma e dopo averla aiutata a risvegliarsi sono stato con i bambini. Il maschio mi ha parlato molto. Mi ha detto del farmaco che la mamma aveva ingerito, me lo ha descritto con una incredibile preparazione in farmacologia. Mi ha detto che le aveva fatto odorare l’aceto e che ci aveva chiamati perché proprio non riusciva a riportarla in vita. una specie di infermiere in erba. molto misurato ma anche molto attento. anche molto sofferente per la sua paziente che, purtroppo, è sua madre.
Prima di andare via gli ho detto che lui non è solo che ci sono io che sono il 118 e che sono in attesa che qualcuno mi chiami e poi corro e risolvo le cose perché tutto si risolve e anche la sua storia si risolverà e papà e mamma troveranno la maniera di smettere di litigare e prendere gocce per dormire e così lui e sua sorella andranno a scuola e diventeranno grandi e...
glielo dicevo senza crederci troppo e con un desiderio di abbracciali quei bambini che neanche immagini.
quando sono andato via il bambino è venuto fino al cancello con il cane piccolo. gli ha sollevato le zampe anteriori e con una mi ha fatto ciao.
questa immagine è un concentrato di sofferenza e speranza. come dire... una specie di sofferanza.
Io vorrei che il bambino e il cane venissero qui in piazza presidiata dagli eserciti metropolitani.
Vorrei che mi vedessero in azione. Una volta per tutte.
Io vorrei sacrificare la mia vita per questo bambino e questo cane perché tutti i soggetti di questa storia sono interdipendenti anche se non so per quale cazzo di motivo.
Ci deve essere una via alla salvezza, ci deve essere un modo per spogliare la sofferanza della sua componente di sofferenza e lasciare libera la speranza di liberare questa piazza e questo mondo da tutti gli eserciti in armi.