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Sperimentiamo l’Anarchia

Publie le venerdì 8 febbraio 2008 par Open-Publishing
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Lo scopo di questo articolo è la chiarificazione di una serie di “nuove idee” che in maniera embrionale hanno interessato parte del movimento anarchico negli ultimi anni. Credo che ogni nuova forma di conoscenza avvenga in maniera ipotetico-sperimentale, ovvero in un processo in cui l’individuo in maniera del tutto irrazionale, attraverso un complesso confronto con i dati in suo possesso, formula delle ipotesi e poi in maniera non sempre consapevole e sistematica li confronta sperimentandoli con la realtà a esso circostante.

In queste pagine cercheremo di descrivere una possibile applicazione delle metodologie ipotetico-sperimentali alle battaglie rivoluzionarie degli anarchici. In realtà il movimento anarchico da sempre è un movimento particolarmente sperimentale, più o meno consapevolmente c’è da sempre un richiamo costante alla sperimentazione, da quando si descrive l’esperienza di un’occupazione di un centro sociale fino all’analisi di momenti rivoluzionari come la Comune di Parigi, la rivoluzione del ’36 in Spagna, passando per l’esperienza punk del ’77 fino alla Banda del Matese, ecc.

DEDUTTIVISMO E INTUIZIONISMO: DUE FACCE DELLA STESSA MEDAGLIA

Metodologie “scientifiche” diverse da quella ipotetico-sperimentale sono il metodo assiomatico-deduttivo e il metodo intuitivo. Generalmente si tende a credere che questi siano i soli metodi possibili di conoscenza, si crede anche che uno escluda l’altro, in realtà essi sono “due facce della stessa medaglia”.

I deduttivisti accusano chiunque non la pensi come loro di essere degli intuizionisti, viceversa gli intuizionisti accusano di scientismo tutto coloro che credono nell’analisi critica. In realtà il metodo assiomatico non avrebbe senso senza il ricorso all’intuizione: chi sostiene che ogni concetto ne implica logicamente un altro, e così via, ritiene che prima o poi ci sarà un concetto primo immediatamente vero che si può raggiungere solo con l’intuizione.

E’ una credenza comune a tutti gli assiomatici, da Aristotele a Russell, infatti, se la conoscenza fosse infinita, in un sistema rigorosamente logico si potrebbe dimostrare tutto e il contrario di tutto, mandando in frantumi tutta la struttura rigida di deduzioni: infatti in un sistema logico senza un principio intuitivamente evidente non si può mai sapere con certezza se tra i principi non ancora scoperti ce ne sarà uno in contraddizione con il sistema.

Se il deduttivismo ha bisogno, nelle sue estreme conseguenze, dell’intuizione, dall’altro canto anche gli “artistoidi” e gli intellettualoni da strapazzo non potrebbero sostenere la forza della loro conoscenza pura ed immediata, se non esistesse al mondo una conoscenza mediata. Che senso avrebbe parla di immediato in un mondo dove non c’è il mediato? Che senso avrebbero i simbolismi senza una realtà concreta da rappresentare? Per quanto ci sforziamo non è neanche pensabile un’intuizione immediata e irrazionale senza una realtà fatta di deduzioni mediate e razionali.

Cosa c’entra tutto questo con l’anarchia? Moltissimo. Il movimento anarchico è un movimento rivoluzionario che vuole rovesciare e il sistema esistente, abbattere l’autorità e costruire un modo senza sfruttamento, senza confini e senza galere. In altre parole il movimento anarchico vuole modificare la realtà. E’ quindi di estrema importanza osservare che la storia ci ha insegnato che la realtà viene modificata attraverso la sperimentazione di ipotesi alternative al mondo esistente.

La conoscenza di tipo deduttivo ha un limite enorme: non è ampliativa. In essa le conclusioni sono implicite nelle premesse. A implica logicamente B, ogni guerra implica logicamente una debolezza del capitalismo (come dicono i marxisti-leninisti), ogni tecnologia implica logicamente un attacco alla natura (come dicono i primitivisti), ecc. Ma di fatto quando una conoscenza non è ampliativa essa è immobile.

Una concezione assiomatica significa la difesa gelosa delle proprie posizioni e il disprezzo per idee nuove, credendo che la disgregazione della rigorosità della propria logica politica sia un elemento di debolezza e non di forza: significa in altre parole preferire l’omegeneità della propria organizzazione alla crescita del movimento rivoluzionario.

Non essere ampliativi significa non accettare al proprio interno posizioni non in linea, significa non aderire a lotte non deducibili dai santi principi enunciati dai Maestri (che essi si chiamino Marx Mao Stalin, o Bakunin e Malatesta poco cambia), significa per un trotzkista non fare il partito con un non trotzkista, per un anarchico comunista non lottare con un anarchico individualista e viceversa per un individualista disprezzare le lotte sociali.

L’assiomatico crede appunto che ogni passaggio sia la conseguenza logica della premessa, crede che solo da A=A si fa la rivoluzione, mentre sappiamo che paradossalmente le concezioni identitarie non solo non ampliano il soggetto che le predica, ma addirittura col passere del tempo lo indeboliscono e lo rimpiccoliscono.

La metodologia sperimentale diversamente produce elementi nuovi, amplia le nostre conoscenze inserendo nuove idee assurde non razionalmente già calcolate nel concetto precedente. L’anarchia è anch’essa quindi un’ipotesi, di fronte ad una realtà insopportabile alcune persone hanno ipotizzato una realtà diversa e l’hanno chiamata anarchia. Non è affatto scontato che l’anarchia un giorno ci sarà, il compito dell’anarchismo è quello di sperimentare quest’idea meravigliosa con la consapevolezza però che, come ogni esperimento, esso potrebbe anche fallire.

Kropotkin ad esempio che sostiene la tendenza naturale all’anarchia su questo singolo aspetto aveva torto, dato che non esistono tendenze naturali, fili evolutivi prestabiliti da seguire.

IL PREZZO DA PAGARE

Il prezzo da pagare è altissimo. E non è detto che sia sempre tatticamente sopportabile. Il prezzo da pagare è quello di rinunciare alla certezza che l’anarchia un giorno ci sarà per accontentarci della consapevolezza che dobbiamo essere noi “bravi” a costruirla, è quello di rinunciare ad una visione ideologica della realtà in cui è immediatamente deducibile dai nostri ideali vedere chi sono gli “amici” e chi i “nemici” per una visione più complessa.

L’anarchismo sperimentale quindi ha il compito di costruirsi in base ai dati esistenti, poi ricomporsi, ricominciare dai fallimenti, formulare ipotesi diverse da quelle fino ad ora conosciute, ritornare sui suoi passi, ripartire di nuovo, ecc. E’ un processo estremamente caotico, ma non per questo disconnesso dalla realtà: anche se le ipotesi vengono formulate in modo non razionalmente deduttivo esse hanno un legame, se pure non totalmente comprensibile, con la realtà concreta di chi le ha formulate, con gli esperimenti che ha già fatto, con lo sfruttamento di cui è stato vittima, ecc.

 Facciamo l’esempio anarco-ecologista, di grande attualità in questi anni di innalzamenti climatici e catastrofi naturali.

Il prezzo da pagare per un individuo che ama la natura è quello di interrogarsi sulla possibilità o meno dell’ipotesi primitivista, di comprendere davvero se questa ipotesi è effettuabile, se in un mondo del genere i miei bisogni egoistici e individuali saranno appagati. E’ stato fino ad ora semplice dire “io amo la natura”, ne deduco che “io attacco chi distrugge la natura”, ne deduco che “la scienza attacca la natura”, ne deduco che “io sono contro ogni scienza”, ne deduco che occorre tornare all’età della pietra. E’ sicuramente più difficile colpire militarmente chi distrugge la natura, con la consapevolezza di voler costruire qualcosa di positivo che effettivamente migliori lo stato dell’ecosistema. E’ facile dedurre alle estreme conseguenze i nostri desideri, un po’ più complesso è effettivamente realizzarli. Confrontando l’ipotesi primitivista di Zerzan con quella più semplicemente antiindustriale di Kaczinsky, personalmente mi rendo conto che la seconda è sicuramente più facile da attuare, anche se la prima è più argomentata scientificamente; questo a sottolineare il fatto che non è solo la rigorosità del pensiero che rende “migliore” una strategia rivoluzionaria.

L’anarchismo sperimentale sostiene che è venuto il momento di pagare il prezzo di questa difficoltà. Il prezzo da pagare è continuare una strategia rivoluzionaria, quindi anche con mezzi illegali e armati, pur esponendosi alle critiche, da una parte, di chi crede che tu sia un moderato perché ti poni degli obbiettivi più concreti e meno radicali, dall’altra, della repressione dello Stato. E non è detto che sia un prezzo tatticamente sempre sopportabile.

 Un altro prezzo altissimo è quello del rifiuto di assiomi astratti come la non violenza, da sostituire con un rapporto concreto e sperimentale con la realtà, che sappia dirci di volta in volta quale è il mezzo migliore in una determinata situazione.

Ancora una volta logici rigorosi della rivoluzione e anime pie dell’intuizione non sono poi così distanti: infatti si prende un principio morale e immediato, la non violenza, lo si santifica e lo si astrae dalla realtà, e poi si deduce da questo principio una serie di assiomi indiscutibili. Esattamente il contrario di un approccio sperimentale alla rivoluzione, un approccio che prevede lo sviluppo di ipotesi diverse (esempio: violenza, controinformazione, sciopero della fame, barricate, guerriglia, volantinaggio, resistenza passiva, ecc), si sceglie la migliore in base ai dati raccolti in episodi passati e la si esperimenta per vedere se è in grado di farci raggiungere l’obbiettivo desiderato.

 Ultimo esempio, per ora, è il tema anticarcerario.

La distruzione delle galere è uno degli scopi degli anarchici; sia le galere fatte di sbarre, sia le galere del lavoro, della città, della scuola, della famiglia. Ma ancora una volta il rifiuto delle galere non può essere astratto e fine a se stesso, ma concreto e fine a me stesso. L’obbiettivo non può essere la creazione di un nemico a cui dedicare il nostro tempo, l’obbiettivo è di tirare fuori le persone che in quelle galere si trovano.

Mi riferisco ad esempio al testo di Bonanno, un compagno a cui culturalmente devo tanto, Contro l’indulto, in cui presenta una tesi inaccettabile. Non si può essere a priori contro l’indulto perché questo determina la pacificazione delle lotte carcerarie. Lo scopo non è combattere la pacificazione dello Stato astrattamente, lo scopo è quello di non vivere in carcere. Un provvedimento come l’indulto ha fatto uscire degli individui in carne ed ossa dal carcere, persone che oggi possiamo abbracciare, con cui possiamo parlare, con cui possiamo fare l’amore, insomma persone fisiche non concetti astratti di rivolta.

Per me, poter rivedere amici marocchini ed albanesi al bar, dopo aver saputo che non li avrei rivisti per anni, mi ha dato una gioia incommensurabile, una gioia che va oltre la rigorosa e razionale adesione ad un pensiero come quello anarchico che mai dovrebbe scendere a patti con lo Stato.

Un indulto come quello ad esempio di questa estate ovviamente ha dei limiti enormi: non è stata una ripiegata dello Stato di fronte a rivolte e proteste, di fronte a campagne di azioni dirette ed attentati, piuttosto purtroppo questo indulto sarà occasione per i secondini di riprendere fiato e di continuare i loro sporchi esperimenti su un numero più gestibile di prigionieri. Non è un caso che da quando Diliberto ha istituito i GOM, da quando esistono campi magnetici che controllano ogni carcere, da quando Dorigo denuncia l’uso del controllo mentale su di se e su altre decine di detenuti, da allora non ci sono state più grosse rivolte nelle carceri.

IPOTIZZARE E SPERIMENTARE NUOVE IDEE

Di fronte ad una realtà che cambia si sente il bisogno di liberarsi dalle vecchie concezioni e formularne altre più adeguate per la comprensione del presente e poi per decidere dove indirizzare l’intervento rivoluzionario.

Cosa significa essere proletari, ad esempio? Chi sono questi proletari? Gli operai, i precari? Oppure proletari sono i milioni di morti di fame e di epidemie in Africa? Un commerciante, che in quanto tale nella visione classista dovrebbe essere un borghese, afgano che vende oppio e armi per quattro soldi è più o meno “rivoluzionario” di un salariato italiano cosciente e iscritto al sindacato? Per usare vecchi termini è più rivoluzionario il clandestino che vende fumo nelle periferie e dorme per strada o il salariato che “vende il suo lavoro” in cambio di cellulare e lavatrice? Per fare un esempio recente è più rivoluzionario il rivoltoso delle periferie parigine che insorge contro la repressione della polizia o l’iscritto al Partito Comunista Francese che organizza le ronde per difendere i quartieri dalle fiamme della rivolta?

Di fronte a questa nuova complessità della realtà quali sono le risposte del movimento rivoluzionario classico? Quali sono le nuove idee ipotizzate e sperimentate? La realtà non è mai complessa, la realtà è sempre se stessa; sono i cervelli umani che sono complicati e nel momento che di fronte ad una realtà nuova si usano idee vecchie essa ci può apparire complessa, quando se ne ipotizzano con successo delle nuove e più adeguate essa allora ci apparirà più semplice.

Serve una struttura di pensieri in grado di chiarificare chi è il nemico oggi, quali sono i suoi strumenti, quali sono i suoi servi, quali sono i suoi punti deboli; allo stesso modo mancano delle idee che ci dicano chi sono i soggetti rivoluzionari nuovi, come agisco, come dovrebbero agire per indirizzare la conflittualità in senso libertario, su quale fuochi e in quali direzioni devono soffiare gli anarchici.

CONTRO UNA VISIONE DUALISTICA DELLA REALTA’

La nostra civiltà si fonda sul concetto di dualismo, basti pensare ai concetti di Bene e Male, o ai contrari di Eraclito, o alla lotta tra classi nella visione marxista, alla dialettica hegeliana e molti altri esempi ancora si possono fare.

Il dualismo, come ogni concezione imposta dall’alto e da applicare ad ogni fenomeno naturale, è un concetto profondamente antilibertario, assiomatico e antisperimentale. Non si può racchiudere la complessità delle motivazioni che spingono un individuo alla ribellione ed alla conflittualità con il potere politico ed economico, in un semplice scontro tra “idee” (le classi in fin dei conti sono delle idee), piuttosto dovrebbero essere le idee ad essere prodotte per rappresentare il più adeguatamente possibile i fenomeni; ciò significa che quando un’idea non è più adeguata abbastanza a ciò che con essa si vuole dire ne va ipotizzata una diversa. Come abbiamo visto le definizioni storiche di classi sociali non sono adeguate a descrivere le nuove insorgenze nel mondo povero e poverissimo, ma neanche nelle periferie europee e statunitensi, né ci aiutano ad individuare chi è il soggetto rivoluzionario e se ne esiste uno.

Al contrario del dualismo l’anarchia, come la realtà, è multiforme, complessa, eterodossa. Vediamo alcune forme di dualismi nella politica e i loro limiti fondamentali:

 Il dualismo destra-sinistra.

Secondo questa visione del panorama politico le posizioni dei conservatori sono di destra, mentre quelle dei progressi sono di sinistra. Questa impostazione nasce durante la rivoluzione francese e rappresenta bene l’era moderna, che è proprio l’era della dialettica e del dualismo.

E’ chiaro che l’ipotesi anarchica non può essere sperimentata in questa concezione. Noi siamo conservatori quando vogliamo difendere le nostre foreste e le nostre montagne dall’industrializzazione, dal pregresso tecnologico; ma siamo progressisti quando vogliamo superare le razze e i confini, quando lottiamo contro il patriarcato e il sessismo. Come possiamo definire la complessità di questa posizione nella dicotomia destra-sinistra? Come possiamo dirci di sinistra quando lottiamo contro lo sviluppo delle tecnologie, quando facciamo campagne contro la psichiatria, quando ipotizziamo teorie anticivilizzatrici, quando sperimentiamo il “rinselvatichimento” come progetto principale dell’anarchia verde? Come possiamo dirci di destra quando lottiamo contro lo sfruttamento, contro il dominio dello Stato, contro la guerra, contro gli eserciti e contro le galere, quando attacchiamo gli interessi della nazione e colpiamo i “servitori della patria”?

Io, per esempio, ho avuto un’ aspra discussione con il compagno Lucio Garofalo, che scrive su anarchaos e si definisce anche lui anarchico, perché egli sosteneva che bisognasse andare a votare per il referendum sulla fecondazione assistita, mentre io in quell’occasione mi trovavo più vicino alle posizioni della Chiesa che a quelle delle multinazionali. In una visione dicotomica della realtà io sarei potuto apparire come un reazionario, come un maschilista, come una persona di destra; ma è chiaro che vedere la complessità delle miei posizioni di allora in un’ottica dualistica è molto limitativo. Io infatti sono assolutamente contrario al dominio patriarcale e fermo oppositore dei dogmi della Chiesa, eppure non ho votato perché consideravo un’evoluzione pericolosa della scienza capitalista la ricerca sugli embrioni, perché consideravo un desiderio borghese quello di avere un figlio a tutti i costi mentre nel mondo ci sono persone che non sanno cosa dargli a mangiare ai propri figli, perché consideravo più importante la lotta delle donne nei paesi islamici che non possono abortire rispetto a quella delle occidentali ricche che hanno 6mila euro da investire per comprarsi un figlio (questo il prezzo dell’operazione in Italia). Argomentare allora la mia posizione nell’ottica del dualismo destra-sinistra sarebbe stato impossibile e denigratorio nei miei confronti.

 Il dualismo tra Stato e capitale.

Sia i marxisti che i capitalisti si sono molto impegnati nel farci credere che gli interessi dello Stato siano contrapposti a quelli del mercato, e quindi quando c’è uno stato forte il marcato è meno libero e viceversa. Si pensi ad esempio alla tesi leninista che il comunismo rappresenta la supremazia della politica sull’economia, una tesi paradossalmente antimaterialista poiché predica in sostanza la supremazia delle idee sulle cose, concezione sicuramente contraddittoria nel pensiero marxista. Recentemente dal mondo no-global sono emerse le teorie del nuovo Toni Negri che ha addirittura ipotizzato la fine dello stato-nazione e la nascita dell’era delle multinazionali.

Ma il dualismo tra Stato e mercato è solo un’apparenza che viene smascherata da un minimo di osservazione della realtà. Non potrebbe infatti esistere nessun sistema economico senza la produzione di una burocrazia e di un esercito che lo amministri e lo difenda. E infatti non esiste nessun sistema del genere, gli stessi economisti “illuminati” si sono da tempo resi conto che neanche gli Stati Uniti sarebbero un nazione “puramente” capitalista, anzi proprio negli USA l’ingerenza dello Stato nelle faccende economiche assume proporzioni enormi: si pensi ai tanti imprenditori finiti in galera per non aver rispettato le severissime regole che lo stato USA impone al mercato e al diritto di concorrenza. Sono stati proprio gli americani “di sinistra” ad inventarsi il welfare, inoltre in un mercato “libero” non sarebbe neanche pensabile una spesa decisamente antieconomica come quella che gli statunitensi devono sostenere per mantenere il loro esercito, un spesa che non produce crescita economica se non per i fabbricanti di armi e che è superiore al costo degli eserciti di tutte le altre nazioni del mondo messe insieme, una spesa che grava sulle tasche degli statunitensi, che incrementa il loro debito e incrina il loro PIL, eppure una spesa che il capitalismo dona volentieri allo Stato perché resti forte difensore dei suoi interessi.

E’ chiaro che gli anarchici non possono credere a questo dualismo, dato che gli anarchici vogliono superare il sistema capitalistico, ma lo vogliono fare distruggendo lo Stato. Lo Stato non solo non sembra scomparire ma oggi è più forte che mai, uno Stato che ha dei mezzi militari neanche immaginabili fino a 20 anni fa, come i raggi laser e le armi ad energia, uno Stato che finanzia e sperimenta mezzi pericolosi come il controllo mentale, uno Stato che crea regimi speciali nelle carceri, polizie sempre più potenti e servizi segreti sempre più impuniti. Lo Stato non sta crollando e gli anarchici lo sanno bene, quando lo Stato crollerà ci sarà l’anarchia, anzi se lo Stato dovesse crollare e lo sfruttamento continuare ad esistere quella sarà proprio la prova definitiva del fallimento degli esperimenti anarchici. Secondo me comunque questa ipotesi è del tutto priva di fondamento, dato che oggi, come e più di ieri, lo Stato è il mezzo con cui il capitale esercita il suo dominio.

Oggi sicuramente più che in passato, con le forze socialdemocratiche che ritornano al potere. Negli ultimi decenni infatti l’economia si è legata allo Stato in maniera più stretta del solito. Questo legame lo descrive benissimo Bonanno ne La rivoluzione illogica: «Ad un certo punto il capitale, spogliandosi del suo aspetto avventuroso caratteristico della pirateria inglese e della nuova frontiera americana, si manifesta nella cruda evidenza di se stesso: come flusso ininterrotto di produzione di strutture di potere attraverso il ruolo necessario dell’economia. In questa fase esso è pronto ad eliminare una struttura intermedia del mercato – quella dei portatori di denaro – sostituendovi una struttura di tipo diverso, quella dei portatori della organizzazione Stato».

 Il dualismo tra organizzazione e antiorganizzazione.

E’ il più sentito tra gli anarchici, interessa molto di meno agli altri. Come ogni dualismo è amplificato nell’era moderna dove di fronte ad una realtà più complessa del passato, c’è l’esigenza di idee chiare: o sei libero o sei servo dell’organizzazione, o sei parte della struttura rivoluzionaria o sei un elemento irrazionale piccolo borghese fine solo a te stesso. Di fronte a questa semplificazione io credo che l’anarchismo sperimentale debba provare a ipotizzare idee alternative alla costrizione poco libertaria del “o stai con me o contro di me”. Un po’ come il discorso fatto sopra sulla violenza, così anche l’organizzazione può essere utile come può essere dannosa, è una questione di opportunità. Qui sta la difficoltà dell’anarchismo sperimentale, quello che dicevamo “il prezzo da pagare”, non accettare modelli preimpostati e ipotizzare di volta in volta le soluzioni più adeguate allo scopo che si vuole raggiungere.

E’ chiaro che le organizzazioni “eterne” sono sempre dannose, poiché esse tendono a sopravvivere oltre lo scopo immediato e quindi lo pongono in secondo piano: non sono più finalizzate all’attacco e alla distruzione dello Stato, ma se questo attacco incrina la loro sopravvivenza lo condannano come provocatorio. Sono utili invece le organizzazioni con strategie a breve e medio termine, con tattiche fantasiose, innovative e sperimentali. Ad esempio organizzarsi contro la costruzione di un inceneritore creando gruppi di discussione con la popolazione locale, oppure organizzazioni che hanno il compito di supportare i compagni e le compagne finite/i in galera dopo un’operazione repressiva, od organizzazioni nei luoghi di lavoro. Le Unioni, come le chiama Max Stirner, si sciolgono quando il loro scopo è stato raggiunto, quanto l’inceneritore non viene più costruito, quando i compagni e le compagne in carcere sono di nuovo liberi/e, quando hai raggiunto l’aumento per il quale ti eri impegnato.

Lo scopo degli anarchici non è quello di conquistare il palazzo del potere e metterci la nostra bandiera sopra, il nostro scopo è fare la rivoluzione, farla con tutti gli insorti, e non utilizzare le insurrezioni per scopi autoritari e di avanguardia. La rivoluzione la si fa con i vecchietti del quartiere che insorgono contro l’inceneritore che ha portato morti e tumori, con i colleghi di lavoro, con quelli che assaltano i supermercati perché non possono comprarsi ciò di cui hanno bisogno, con chi incendia i pozzi di petrolio perché inquinano le falde acquifere del villaggio, ecc. Non succederà mai nella storia che tutte queste individualità saranno unanimemente anarchiche, chi aspetta quel momento per dare fuoco alle polveri o è cieco di fronte alla realtà o è un codardo! Piuttosto dobbiamo portare nei momenti di rivolta uno spirito il più possibile libertario e il meno possibile autoritario, essere presenti nello organizzazioni che nascono dal basso, ma mai creare le Sante Organizzazioni con scopi teorico-strategici che hanno tempi lunghissimi.

 Il dualismo tra i generi.

Pur essendo nemico dell’impostazione patriarcale della nostra società ho sempre preferito al termine femminismo il termine antisessismo. Non è solo una questione astratta di nomi, per cui l’antisessismo sarebbe migliore in quanto “più neutrale”, ma per fattori concreti sperimentati negli ultimi anni. Infatti se pur nella stragrande maggioranza dei casi le vittime sono le donne e gli autoritari gli uomini sarebbe pericoloso generalizzare il processo di oppressione in una questione meramente sessuale. Ad esempio i centri sociali femministi che negli anni settanta scrivevano “vietato l’ingresso ai maschi”, provocando un’autorità identica e contraria a quella che volevano combattere; in fondo ma che colpa ne ha un uomo per dover vedersi reclusa una parte del mondo?

L’anarchia è un concetto contrario ad ogni forma di confine e per ogni essere vivente, di qualsiasi genere esso sia. Per esempio i comunisti autoritari seguaci di Marx nell’ottocento predicavano la dittatura del proletariato, mentre gli anarchici e in particolare Bakunin sostenevano che questa sarebbe stata un massacro, che avrebbero sostituito ad una autorità un’altra; a questi i comunisti rispondevano che i proletari erano gli oppressi e che per prima cosa dovevano conquistare il potere, poi si sarebbe visto. Allo stesso modo oggi, pur se le donne sono maggiormente vittime della violenza del sessismo, non per questo va ipotizzata una battaglia di un solo genere contro il patriarcato e non magari affrontata una battaglia di tutti e di tutte contro ogni autorità.

E’ ovvio che i dati concreti parlano di una violenza assolutamente sproporzionata contro le donne, una violenza contro la quale il movimento anarchico deve scagliarsi: è ovvio quindi chi sono le oppresse e chi sono gli oppressori. In ogni caso il ruolo degli anarchici all’interno del movimento rivoluzionario non è quello di monopolizzarlo, ma, come dicevamo prima, di farne parte in maniera orizzontante e libertaria, cercando di contrastare nelle insurrezioni e nella futura ipotetica rivoluzione ogni atteggiamento autoritario, ogni degenerazione stalinista in cui le oppresse divengono carnefici.

UN APPROCCIO DINAMICO PER L’INSURREZIONE

L’approccio quindi dell’anarchismo sperimentale nei confronti dell’insurrezione non è rigido e statico, ma fluido e dinamico, sempre pronto a modificarsi e a creare nuove idee da sperimentare. Nel paragrafo precedente abbiamo visto quattro forme di dualismi particolari, ho scelto infatti proprio queste quattro forme perché il nostro approccio critico nei loro confronti è in ognuna diverso: nel dualismo destra-sinistra noi non siamo né di destra né di sinistra e critichiamo la stupida dicotomia dall’esterno, nel dualismo tra capitale e Stato noi affermiamo che essi sono la stessa cosa e che vanno distrutti entrambi, nel dualismo tra organizzazione e antiorganizzazione noi diciamo che le forme vanno scelte a seconda delle opportunità del momento, nel dualismo tra generi noi stiamo dalla parte delle oppresse ma sosteniamo che l’oppressione vada distrutta e non semplicemente capovolta.

Non esiste quindi una sola realtà verso cui guardare allo stesso identico modo, se guardiamo il dualismo tra destra e sinistra come guardiamo il dualismo tra generi, ad esempio, rischiamo di scegliere una parte e dimenticare il ruolo che essa ha nei meccanismi del potere; al rovescio se guardiamo il dualismo tra generi come guardiamo il dualismo destra-sinistra, cioè in maniera “equidistante”, dimentichiamo chi sono le oppresse e indirettamente verrebbero favoriti gli oppressori; così come non possiamo comportarci nei confronti del dualismo tra mercato e Stato come facciamo per l’organizzazione, perché così si comportano gli opportunisti che scelgono quale mezzo usare per influenzare il mercato o il potere in un certo modo, ecc.

Non esiste uno schema identico con cui la realtà si forma, è inaccettabile la visione dialettica per la quale c’è una tesi e un’antitesi universali, in cui se scegliamo di stare con la tesi (le donne, gli oppressi, ecc.) allora per rigore logico non possiamo in altri casi porci equidistanti nei loro confronti (la destra e la sinistra) oppure esserne sintesi (l’organizzazione); non esiste nessun rigore logico a cui dobbiamo uniformarci.

Di fronte a questa complessità diventa difficile capire chi è il nemico e come combatterlo. Se però si guarda oltre la nebbia che si è alzata con gli ultimi mutamenti del panorama politico, si scopre che i nemici sono sempre gli stessi, lo Stato e i padroni, e che gli strumenti da usare sono sempre quelli che la situazione concreta ci mostra più utili.

ANALISI DI ALCUNE ORGANIZZAZIONE E EVENTI RIVOLUZIONARI IN ITALIA

Allora analizziamola questa realtà presente, fuggiamo della semplici chiacchiere astratte e andiamo a vedere quali possono essere gli strumenti giusti per rivoluzionare il mondo. Per ora mi fermerò nell’analisi semplice di alcune organizzazioni e di alcuni episodi più o meno rivoluzionarie che ci sono stati in questi ultimi anni in Italia; tanto per dare un’applicazione attuale alle teorie sperimentali di cui abbiamo parlato sopra.

Ad esempio la tipica organizzazione anarchica di natura “assiomatica” è la Federazione dei Comunisti Anarchici, essa infatti si struttura secondo un modello piramidale dove troviamo 1) un principio primo, la linea teorica generale, condiviso da tutti i comunisti anarchici; 2) una strategia a cui i militanti con “unità di intenti” aderiscono nel momento che scelgono di far parte della FdCA; 3) delle visioni tattiche e di strategie particolari a breve termine determinate nei Congressi e sulle quali è possibile dissentire. Un’organizzazione di questo tipo rappresenta il modello esattamente inverso di quello ipotizzato dal metodo sperimentale: ovvero una realtà oggettivamente, ma inspiegabilmente, insopportabile e quindi da modificare, l’unità di azione e in alcuni casi di organizzazione su temi specifici, e l’ipotesi di un’alternativa più radicale come può essere l’anarchia o il comunismo. Io proprio su battaglie specifiche, come l’analisi delle problematiche economiche e sociali a breve termine, mi sono trovato spesso in sintonia con le posizioni della FdCA, mentre la FdCA chiede prima l’unità di intenti e poi la condivisione di strumenti occasionali.

Per passare agli episodi rivoluzionari mi interessa fare il paragone tra tre diverse modalità di lotta: il metodo del “partito armato”, con gli omicidi politici delle “Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente”; le azioni delle “Cellule di Offensiva Rivoluzionaria”; il metodo dell’azione diretta informativa-spettacolare, portata avanti da alcuni gruppi autonomi che aderiscono alla “Federazione Anarchica Informale”.

Le azioni delle BR-PCC sono state quelle più eclatanti, quindi quelle in cui il messaggio poteva potenzialmente giungere a più persone, ma anche quelle, di conseguenza, che hanno sollevato le reazioni più sconcertate. Uccidere qualcuno è sempre un gesto terribile, un gesto che va calcolato attentamente. Si potrebbe molto discutere di strategia e condannare quella del centralismo leninista di cui le BR sono portatrici, ma qui mi interessa piuttosto fare degli esempi tattici per scopi sperimentali. Proprio da un punto di vista sperimentale io ho notato soprattutto che l’omicidio Biagi ha avuto molto più “successo” dell’omicidio D’Antona: mi è capitato spesso mentre esco dal lavoro o mentre vado a farmi una bevuta economica al bar, di incontrare persone che nutrono un profondo rancore verso l’uomo che fu il collaboratore del ex ministro Maroni, un uomo che teneva lezioni e sperimentava leggi su come sfruttare meglio la gente, un uomo a cui è stata dedicata una legge come la legge 30 che prevede contratti precari anche di un giorno, che isola l’individuo da lavoratore come gli altri a “collaboratore a progetto”. Un tipo un giorno usò una frase che mi ha colpito e amaramente divertito: «Se faccio questa vita è colpa di quel porco di Biagi, non potevano ucciderlo prima? In questo maledetto paese non solo i treni ma anche i terroristi arrivano sempre tardi!». Per l’omicidio D’Antona questa reazione popolare non c’è stata, si è percepito di meno, secondo me, chi era questo D’Antona, cosa faceva e che danno provocava alla “classe”.

Chiaramente le mie analisi sono fatte in ottica sperimentale, un’ottica che non interessa minimamente i brigatisti, nei loro deliri sono convinti di aver “colpito il cuore dello Stato” e nessuna analisi riuscirebbe a dissuaderli; come non interessa ai brigatisti la diffusione delle loro idee, altrimenti non produrrebbero quelle lunghe, noiose e illeggibili rivendicazioni. Però analizzare questi episodi, che in un certo modo hanno fatto la nostra storia recente, può essere sempre utile. Per esempio, sempre sperimentalmente, io mi sono fatto un’idea delle ragioni di questa diversa partecipazione di massa alle due azioni delle BR-PCC: nel primo caso c’era al governo il centro-sinistra e l’opposizione era minoritaria, uccidere uno sconosciuto in quel contesto significava terrorizzare e dividere anche quelle poche persone che si opponeva al governo D’Alema e alla sua politica di guerra e sfruttamento; nel secondo caso, invece, Presidente del Consiglio era Berlusconi e si stavano preparando i più grossi scioperi mai visti in Italia in 20 anni, pochi giorni dopo l’omicidio ci sarebbe stata una enorme manifestazione della CGIL a Roma contro il governo, insomma milioni di persone odiavano le proposte di Maroni e dei suoi collaboratori. Da un ottica quantitativa, che tanto piace ai partiti armati leninisti, nel governo D’Alema c’erano mettiamo un milione di persone che esprimevano conflittualità verso la classe dirigente e anche se ne avessero “pescato” uno avrebbero appena raggiunto i mille simpatizzanti; nel governo Berlusconi con un conflittualità quantitativamente più diffusa è chiaro che il successo del gesto sarebbe stato maggiore. Vediamo come il dualismo destra-sinistra di cui parlavamo prima è stato un freno enorme alla diffusione del pensiero brigatista.

Le azioni delle COR, al contrario, sono state quelle meno eclatanti, conosciute praticamente solo nei territori in cui esse si sono svolte. Per quanto si tratti di metodologie più utili e secondo me anche eticamente più condivisibili, il progetto generoso di “unire comunisti, anarchici e antimperialisti” è passato nel più totale silenzio. Anzi, paradossalmente si è creata più confusione e più informazione nel momento degli arresti di alcuni compagni che nel momento delle azioni; un po’ come è successo anche pochi giorni fa per la montatura sul “Partito Comunista Politico Militare”, che esisterebbe da anni ma che non ha mai fatto azioni.

Secondo me invece bisognerebbe capovolgere questo rapporto, secondo cui trovi più solidarietà quando lo Stato colpisce un innocente rispetto a quando tu colpisci lo Stato. Purtroppo è un’ottica difensiva che non dipende dalla reale volontà degli individui coinvolti, ma anche dalle condizioni oggettive in cui lo scontro emerge; proprio per questo un’analisi sperimentale della situazione potrebbe essere utile.

In fondo le azioni che hanno avuto più “successo” e meno repressione, sono state quelle fatte dalla Federazione Anarchica Informale, o meglio da alcuni suoi gruppi, mentre altri autonomamente hanno portato avanti attacchi di cui sono venuti a conoscenza meno persone. Da un punto di vista offensivo alcuni gesti sono riusciti a finire all’interno del circo mediatico e quindi alcuni messaggi sono arrivati anche alle orecchie di molti sfruttati che non sono coinvolti nel “movimento”. Faccio sempre degli esempi particolari e personali per rendere l’idea: conosco molte persone che vivono quotidianamente l’oppressione, ma che non si interessano di politica, non vanno alle riunioni, non fanno parte delle poche decine di persone che vanno ai presidi sotto i carceri per l’Italia, non entrano nei centri sociali, si fanno le loro 6 o 8 o anche 10 ore di lavoro e tornano a casa o vano a giocare a carte al bar e a farsi una bevuta. Individualità che, giustamente a mio parere, nel poco tempo libero che hanno, non vogliono sprecarlo in un centro sociale con giovani rivoluzionari e intellettuali impegnati (mantenuti dai genitori). Eppure a queste persone è capitato decine di volte di accendere la TV la sera e sapere che c’è stata una certa azione, dedicata magari ad un morto ammazzato di botte in carcere o trivellato ad un posto di blocco; e siccome si tratta di soggetti che in carcere ci sono già stati, o che di perquisizioni e percosse ai posti di blocco ne hanno subiti, chiaramente non per politica ma magari per possesso di droghe o per piccoli reati, molte volte capita che si comprano il giornale o che ti chiedono in che sito trovare o se glie le stampi tu le rivendicazioni.

Ora io chiaramente non so se è proprio questo tipo di appoggio che cercano i gruppi e gli individui che fanno parte della Federazione Anarchica Informale, esso non è chiaramente chiesto in nessun documento, eppure io ho voluto portare a conoscenza per arricchire il dibattito i dati sperimentali che ho raccolto nella mia realtà. Probabilmente le opinioni, all’interno degli stessi gruppi rivoluzionari, sono diverse e quindi non tutti la pensano allo stesso modo.

E’ però un dato di fatto importante che, al di la se a colpire siano gli anarchici o i comunisti, i veri oppressi a cui dedicare la nostra attenzione oggi, non sono quegli elementi avanzati abbonati alle riviste di movimento o militanti di circoli, ma proprio quelle persone che per la loro situazione non hanno né mezzi né tempo e né voglia di fare politica a livello professionale, eppure ogni tanto esplodono assaltando supermercati, riprendendosi le fabbriche e i quartieri, o quando sono soli e in pochi attaccando con azioni violente i simboli di ciò che considerano ingiusto. Azioni forse tecnicamente inadeguate, che per capacità materiali non vanno oltre il comune “teppismo”, ma che esprimono una certa sincerità nella loro voglia di conflitto.

Io penso che se non ci mettiamo dalla parte di queste persone, non riusciremo mai a capire quali sono le modifiche di questa società, come si pone oggi il rapporto tra Stato e capitale, quali sono gli obbiettivi a medio e a breve termine, e dove dobbiamo intervenire.

Michele Fabiani

michele dmL anarchaos.it

Messaggi

  • Questa volta Michele qualcuno ha postato un vero e proprio saggio filosofico tuo!
    e io non sono una filosofa, la mia formazione è quella di una sindacalista di base;-)
    sono una ferroviera in pensione che si è fatta tutta la trafila dei cub, dei consigli, dei comitati autonomi.
    Provo lo stesso a risponderti, a confrontarmi con te.
    Intanto non sono d’accordo che il processo cognitivo avvenga" in maniera del tutto irrazionale", è vero la conoscenza avviene attraverso ipotesi ed
    sperimenti"attraverso un complesso confronto con i dati in possesso" che poi si confrontano con i dati della realtà circostante; ebbene tutti questi
    passaggi mi paiono razionali e non irrazionali.

    Ora io credo che ipotizzare e sperimentare non sia una peculiarità solo degli anarchici, ma di qualsiasi rivoluzionario libertario.Senza ipotesi di
    un mondo altro e senza i tentativi di sperimentare queste ipotesi non c’è rivoluzione; è quella che io definisco utopia creativa..
    Ora tutto questo tuo discorso critico su dettutivismo e intuizionismo, tutta la tua critica a questi approcci deterministi al processo conoscitivo, la dove dici che bisogna essere ampliativi, io capisco bene cio’ che ce tu
    intendi dire, ma di questi tempi può ingenerare nei meno avveduti delle confusioni, su cui vari opportunisti possono giocare.
    "paradossalmente le concezioni identitarie non solo non ampliano il soggetto che le predica, ma addirittura col passere del tempo lo indeboliscono e lo rimpiccoliscono".
    Sai quanti opportunisti su una frase come questa si fiondano per giustificare le peggio ammucchiate!
    Allora qui ribadisco che tu stai parlando di essere ampliativi in direzione rivoluzionaria. e tra rivoluzionari-

    Infatti non è A= A che fa la rivoluzione, ma A+ A che faranno la rivoluzione.

    Nel senso che A ed A con le loro differenze, con le loro diversità e peculiarità solo se hanno coscienza dell’insopportabilità della non vita
    presente possono fare un cammino comune rivoluzionario.
    Ora come marxista sai che io invece sono convita che il futuro sarà Anarchia, ossia quando non ci saranno più le classi non ci sarà più né
    proprietà né leggi che la tutelano, quindi niente Stato, niente ministri, niente,giudici, niente galere, niente CAPI, eh, si cari borghesi del cazzo che state sempre a cercare il CAPO tra di
    noi, mentre noi vogliamo un mondo senza CAPI!!!!!

    Comunque hai ragione l’importante è sperimentare questo volontà e questo sogno in divenire che abbiamo, io che sono capa tosta sono convinta che si realizzerà, ma l’importante è sperimentarla questa unica via di salvezza: LA RIVOLUZIONE:

    Condivido che la via rivoluzionaria sia un percorso dialettico, che vede la sperimentazione, appunto, di tutte le forme di lotta, secondo i tempi e il
    grado di coscienza di quelli che la debbono fare, che per me lo sai è il proletariato,valutando bene i rapporti di forza, il terreno di scontro e
    tutte quelle cose che in una guerra, perché quella è, si chiamano tattica e strategia.

    In merito all’indulto Michele pure io sono stata contro, è vero i prigionieri sono usciti, per poco però, le galere sono di nuovo piene, era e
    resta un obiettivo riformista, fatto per le necessità di rendere più gestibili le galere; non ci possiamo accontentare di risultati limitati e caduchi, i nostri sforzi debbono tendere all’abolizionismo della
    carcerazione, cioè all’abbattimento di questa società che fa passare la maggior parte delle persone dal carcere sociale alla galera e che garantisce ogni impunità per i potenti.
    Bisogna anche avere ben chiaro in mente che una società senza galera anche quella ci sarà solo quando la classe degli sfruttatori non avrà più il potere.Ma è importante ribadire questo scopo finale perché tutte le "rivoluzioni" che si sono realizzate nel tempo hanno sempre lasciato la galera.

    Ma che tu sia stato contento nel vedere esseri umani liberi ,se pure per poco, mi dice ancora una volta della tua dolcezza e umanità.

    E siccome abbiamo parlato di proletari e tu chiedi chi sono i proletari ora,caro Michele, ti dico che i proletari sono tutti quelli che hai citato gli operai, i precari, e quelli che muoiono in Africa e in tutto il mondo, tutti sono proletari, Michele, tutti noi che siamo ridotti a merce, e od ora anche in merce-carne da cannoni in maniera massiva.
    .Tutti anche se non tutti hanno la coscienza di
    essere proletari.
    Di sicuro il rivoltoso delle Banliueues è un proletario l’iscritto al partito comunista francese, beh, sappiamo quello che è!!!!
    il clandestino che vende fumo e il salariato che vende il suo lavoro, non sono rivoluzionari nessuno dei due, tutti e due partecipano al perpetuarsi del Sistema Capitale.

    Allora di destra e sinistra non parlo, perché in effetti ne ho piene le tasche come tutti gli abitanti di questo paese di destra e sinistra!!!!!
    Pensa te che ora non solo ci appallano con la campagna elettorale, di nuovo,nostra ma pure con quella americana!!!!
    Destra e sinistra li mando a fare in culo, e via.
    Invece mi interessa affrontare il problema del dualismo.
    Non solo la nostra civiltà, Michele, è fondata sul concetto di bene e male,qualsiasi civiltà è stata fondata ed è fondata sul dualismo bene e male, dai primordi della storia a quella islamica a quella cattolica a quella ebrea. a quella protestante a quella laica, se ancora ce n’è una!....: bene quello che è conforme a chi è al potere, male
    quello che è contro il potere e le sue leggi.
    Il concetto ha un’origine religiosa che poi è stato ribadito anche nel trionfo della rivoluzione borghese, tanto che i rivoluzionari francesi avevano il culto della dea Ragione, agli Dei o al Dio nei vari processi storici è subentrata la divinità Stato.
    Quindi se è vero, per me, che la realtà e il processo conoscitivo non può leggersi né capirsi in maniera manichea :conflitto bene male, che risulta riduttivo di fronte alla complessità dei fenomeni, resta però indubitabile il fatto che
    tale dualismo non è stato inventato, diciamo così’, ma nasce anche quello da una sperimentazione e da un sentire reale proprio di ogni individuo, su cui il potere innesta poi le sue codificazioni.
    Se uno mi dà una randellata in testa senza ragione o per ragioni sue, Michele, io lo avverto come male, non solo per il dolore ma anche per l’ingiustizia che subisco, e su questo che poi si innesta il meccanismo della riparazione del torto , voglio che il randellatore sia punito, voglio un risarcimento al danno subito, e questo fa capire il perché l’accettazione della legge e della galera sia così diffuso, come è difficile ipotizzare una società senza galera.
    In merito alla questione del dualismo, esce la differenza tra te e me e cioè la differenza fra un anarchico ed un comunista, un anarchico in effetti da una lettura sempre individuale della realtà, un marxista invece da una lettura di classe, su questo punto non ci piove, per me, le classi sono due: sfruttatori e sfruttati, padroni delle marce merci e del capitale e prestatori di merce lavoro, quindi il nemico è sempre quello è sempre lui il Capitale, concordo con te, invece sul fatto, che bisogna oggi individuare e analizzare qual’è il suo punto di debolezza oggi per "indirizzare la conflittualità in senso libertario".

    Dualismo Stato e capitale:

    Una cosa è quello che dicono, mi riferisco ai capitalisti e ai loro servi, sia amministratori che intellettuali, una cosa è la realtà.
    Lo Stato è sempre visto come un super-partes, un regolatore del conflitto, anche di quello tra capitale e lavoro, che debbono essere ristretti nei limiti che lo Stato codifica, la fruibilità di tali limiti e la loro definizione cambia secondo le esigenze del Capitale di cui lo Stato è lo strumento di attuazione nella realtà tangibile; per cui in momenti di ampliamento di mercato si avrà il cosi detto welfare, in momenti di crisi acuta come l’attuale
    si ha l’abolizione di tutte le tutele del welfare.
    Questo a prescindere dalla codificazione destra sinistra, che sono codificazioni di comodo, per restare all’esempio degli Stati uniti di cui parli, non si capirebbero le posizioni di schwarzenegger, il governatore della California che è divenuto un paladino dell’ambientalismo pur essendo di destra, se non si tenessero presenti gli interessi che rappresenta.
    Lo Stato con i suoi governi destri e sinistri resta il comitato d’affari della borghesia.
    Tu mi dici, e giustamente, pure i comunisti hanno lasciato l’apparato Stato, infatti ma quelli avevano fatto una rivoluzione socialista non comunista!
    A parte il fatto che finché ci saranno altri Stati dovrai per forza tenere uno Stato, dato che il mercato è globale, ora ancora di più, perché bisogna metterselo bene in testa ora come ora O LA RIVOLUZIONE SARA’ MONDIALE O NON SARA’!
    Questo perché mondiale è il capitale e mondiale è la classe che gli si oppone il proletariato.

    Ora io non sono affatto una fan di Totonno Negri,
    però debbo dire che le sue analisi partono bene e poi finiscono male, finiscono cioè a portare acqua al mulino del capitale.
    Perché, Michele, è fuor di dubbio che il governo reale dell’economia è nelle mani delle multinazionali e che gli Stati nazione sono in profonda crisi sono superati, non ha caso è stata creata l’Europa unita e una costituzione europea: gli Stati Nazione di Napoleonica memoria ora come ora non servono alle esigenze del mercato globale.
    Dello Stato Nazione resta solo l’apparato repressivo, destinato a breve termine ad essere soggetto del tutto alla polizia internazionale, agli eserciti internazionali.
    Che lo Stato Nazione non conta più un cazzo basta che pensi all’assoluzione per la strage del Cermis, dove uno Stato che ha le multinazionali più forti ha avuto la supremazia su uno Stato più debole economicamente.
    In ogni caso di debolezze sempre si parla quando si parla di Stato Nazionale, infatti gli Stati Uniti d’America, questa cosiddetta potenza che vuole imporre il suo dominio su scala mondiale, poi nella realtà ha tutto il suo debito interno nelle mani della Cina, altro Stato sfruttatore dei proletari alla grande; tanto che le ripetute crisi borsistiche che vediamo in questi ultimi tempi sono la causa di conflitti tra multinazionali di vari Stati, da quelli cinesi a quelli arabi a quelli europeo a quelli russi.
    Il bastone del comando sta in mano alle multinazionali che in massima parte sono a capitali di origine mafiosa, quindi in ultima analisi possiamo dire che il bastone del comando sta in mano alle mafie.
    Lo Stato Nazione Michele serve ora come ora per controllare e incarcerare il proletariato e per incarcerare quelli che dicono le cose che dici tu e che dico io.Serve solo per fare finanziarie che ci affamano per gli interessi delle multinazionali, e per elargire aumenti di 1.135 euro al mese per i parlamentari che fanno i servi delle multinazionali nel parlamento, mentre le pensioni come la mia sono quelle che sono: roba che se ti scaldi non mangi se mangi non ti scaldi!
    E le spese per gli armamenti non sono antieconomici per nulla, quello delle armi è l’unico mercato che tira, come si suol dire, in ogni caso serve per incrementare gli introiti delle multinazionali, appunto, e serve anche per esercitare il controllo e la sottomissione a livello globale.
    Non ci sarà mai uno Stato capitalista che abolirà la struttura dei portatori di denaro, che stato capitalista sarebbe?
    Qui c’è un flusso di capitali ininterrotto !
    talmente mondiale e ramificato che qualche magistrato che voleva vederci un pò chiaro ha dovuto gettare la spugna, figurati!
    Questo per dirti che tu e Bonanno mi pare che avete una concezione idealista dello Stato e del capitale.
    Da quanto detto fino ad ora è evidente che non sono d’accordo sull’organizzazione parcellizzata,
    e transeunte che si fa su problemi specifici e su questioni particolari, la realtà è così complessa che c’è bisogno di una organizzazione che abbia il quadro generale di questa complessità, il problema reale dell’organizzazione per me resta sempre uno, avere la capacità di creare una organizzazione duttile e nello steso tempo ferrea nella sua determinazione, dove ci sia un equilibrio armonico fra esigenze individuali e corpo collettivo della classe, dove non si riperpetuino i ruoli di comandati e sottoposti, un organizzazione che in sé prefiguri già i rapporti che si vogliono istaurare in futuro, quando non si prenderò nessun palazzo di inverno,ma tutti vivremo in libertà e sostegno e amore reciproco finalmente!
    Per questo non mi metto a parlare delle varie organizzazioni che hai analizzato tu, perché mi hanno rotto pure quelle Michele!
    Che stanno a ripresentare in varie salse sempre la forma partito, coi soliti soloni che decidono tutto.
    No, dico, dimmi te se io mi debbo mettere a parlare, per esempio, delle BR, che pigliano uno, lo mettono al gabbio senza sapere cosa cazzo farci,dimmi te se io debbo parlare di qualcuno che dice di fare il rivoluzionario per poi finire a fare il carceriere e di fatto inventare il 41bis!

    No ci hai ragione tu i nostri referenti sono
    " proprio quelle persone che per la loro situazione non hanno né mezzi né tempo e né voglia di fare politica a livello professionale, eppure ogni tanto esplodono assaltando supermercati, riprendendosi le fabbriche e i quartieri, o quando sono soli e in pochi attaccando con azioni violente i simboli di ciò che considerano ingiusto. Azioni forse tecnicamente inadeguate, che per capacità materiali non vanno oltre il comune “teppismo”, ma che esprimono una certa sincerità nella loro voglia di conflitto".

    Ti mando un caro saluto Michele e spero di rivederti presto e di fare questi discorsi di persona, guardandosi in faccia, che parlarsi di persona è tutta un’altra cosa.

    sai chi sono;-)

    .

    Vedi on line : risposta a Michele

  • Gentile anarchico Michele FABIANI, ti premeto che non sono affatto un anarchico e non sono per niente interessato alle tue teorie, però sono rimasto colpito del tuo interesse per il carcere, ho sempre saputo che la libertà di ogni persona finisce quando inizia quella di un altra persona, e penso che se ognuno rispettasse questa semplice regola i carceri sarebbero vuoti, penso che tu dovresti essere il primo a sapere che i tuoi amici che sono usciti dal carcere grazie all’indulto (peraltro di due estati fa e non della scorsa estate) erano in carcere non per aver rispetato la libertà degli altri, anzi.
    Premesso questo non ti permetto di infangare il lavoro di tanti appartenenti alla POLIZIA PENITENZIARIA che quotidianamente, sacrificano parte della loro vita, provano a farvi camminare di giorno e di notte a te e ad altri anarchici che non sanno rispettare la libertà degli altri, senza avere il timore di essere derubati, violentati, picchiati, sequestrati, uccisi etc etc.

    • Mamma mia le cazzate ....

      Quasi che non esistessero le differenze di classe, lo sfruttamento, il disagio sociale che producono "criminalità" ...e quasi che tutti i "criminali" fossero anarchici ....

      La quasi totalità dei detenuti usciti per l’indulto ( fatto peraltro soprattutto per salvare dal carcere la criminalità affaristico/borghese, quella dei colletti bianchi, col voto, non lo dimentichiamo, pure di Forza Italia ed Udc) erano in realtà appartenenti a 2 precise categorie;

       contravventori alla legge Bossi/Fini sull’immigrazione

       contravventori alla legge Fini sulle droghe

      E quindi non erano nè assassini, nè stupratori, nè ladri e non avevano assolutamente "limitato la libertà di altri" ....

      Tanto più che l’indulto non si applicava ai reati più gravi, come omicidio, stupro, rapina a mano armata, reati di mafia e di terrorismo, ed era comunque soltanto di 3 anni ....

      Il resto è propaganda .... e comunque che c’entrano gli anarchici con l’indulto di Prodi e di Mastella ?

      K.

    • Mi sa che le cazzate le ho appena lette, visto che l’indulto è stato applicato anche per i reati come omicidi, rapine, furti, spaccio internazionale di stupefacenti, e che quindi hanno sì limitato la libertà di altre persone, ti sfido a leggere il testo della Lex 241/06 (indulto), e comunque no è stato di soltanto 3 anni ma di ben tre anni!!!!
      Per quanto riguarda le differenze di classe ti posso assicurare che mio padre è un operaio semi-analfabeta e tuttavia io non sono certo diventato nè un drogato nè un rapinatore, basta lottare per migliorarsi.
      Inoltre il mio messaggio riguardava non tanto l’indulto ma le offese gratuite che l’estensore dell’articolo ha scritto nei confronti della POLIZIA PENITENZIARIA.
      B.R.

    • Tutte pene escluse dall’indulto, rileggiti la legge ....

      Quanto alla polizia penitenziaria, che dire ?

      Conosci quella cantilena in uso negli stadi ?

      "La disoccupazione ti ha dato un bel mestiere ecc. ecc."

      Alla fine puoi mettere "carceriere" invece che "carabiniere" .......

      P.S. Non sono anarchico, ma sono ancora convinto che "la truppa difende la trippa di chi ha troppo" .......

    • cosa volete che vi dica... ho ancora davanti agli occhi le ultime "novità" sul povero Aldrovandi... e ad occuparmi - tra tutte le cose - delle condizioni di vita delle divise proprio non mi riesce. Sarò "malvagio", io. Cercherò di migliorarmi.

    • Dal messaggio vedo che non solo non sai leggere, dato che non sei riuscito a leggere la legge 241 del 2006 (indulto), purtroppo nemmeno riesci a capire, dato che ti ho gia scritto che chi opera dentro il carcere si chiama Polizia Penitenziaria.
      Mi dispiace ma non conosco la canzone, io i miei soldi li spendo diversamente, comunque tu puoi cantare tutte le canzoni da stadio che vuoi, ma alla fine chi ti permette di vivere tranquillo e chi indossa una divisa, o forse e meglio dire che chi protegge le persone oneste e chi indossa una divisa.
      B.R.

      P.S. se nella risposta inserisci un indirizzo di posta elettronica ti invio la legge sull’indulto con qualche nota di spiegazione.