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"Sporchi immigrati tornate a casa " ... Ma gli immigrati sono italiani in GB...
Publie le sabato 31 gennaio 2009 par Open-Publishing2 commenti
Le frasi rivolte ai lavoratori stranieri sono più o meno queste: “Sporchi immigrati. Tornate a casa vostra. Togliete lavoro a gente di qui che ne ha bisogno”. Quante volte si sentono ripetere espressioni simili, in Italia, da chi non sopporta la vista degli immigrati di un colore o di un altro. Be’, in questi giorni le stesse frasi sono state pronunciate qui in Inghilterra all’indirizzo di lavoratori italiani. Alla raffineria Lindsey Oil di Grimsby, gestita dall’azienda petrolifera francese Total, è stato assunto un gruppo di manovali italiani e portoghesi, scrive il quotidiano Daily Express di Londra, apparentemente perchè costano meno. Una legge europea lo permette. Sono ospitati da una speciale nave-albergo, con un contratto di lavoro a tempo. Ma agli operai inglesi la cosa, in piena recessione, non è andata giù: ieri hanno dichiarato sciopero e protestato piuttosto vigorosamente per la presenza degli italiani. Alcuni dei quali, o almeno presunti tali, sono ripresi in una fotografia del Daily Express mentre agitano il dito medio e fanno il gesto dell’ombrello davanti al naso degli operai inglesi. “Gli italiani lavorano male e non rispettano le norme di sicurezza”, dice un operaio inglese al quotidiano di Londra. “La nostra non è una protesta razzista, ma quei posti di lavoro spettavano a noi. E’ un’ingiustizia”.
Chiunque abbia ragione, è la prova di come i ruoli possono cambiare in fretta: in Inghilterra possiamo essere visti come i vu’cumprà che tanti di noi non sopportano in patria. Che è stato poi, quello dei poveri immigrati guardati male dai nativi, il nostro ruolo per secoli. Sarebbe bene non dimenticarcelo.
http://franceschini.blogautore.repubblica.it/2009/01/29/sporchi-immigrati-tornate-a-casa-vostra/
Messaggi
1. "Sporchi immigrati tornate a casa " ... Ma gli immigrati sono italiani in GB..., 2 febbraio 2009, 12:47
Oltre tre milioni di connazionali sono emigrati.
Nei blog su Internet
raccontano sogni, stereotipi e nuove discriminazioni, con l’incubo della crisi globale
"Noi globetrotter del lavoro"
diari online degli italiani all’estero
di PAOLO GRISERI
L’idea è quella di mettere un bel timbro con la scritta: "Fatto da un italiano all’estero". Così, per rendersi riconoscibili, orgogliosi di arrivare dal Bel paese anche se emigranti. La proposta è venuta dai ragazzi della "Prima conferenza dei giovani italiani nel mondo" organizzata dal ministero degli Esteri a Roma nel dicembre scorso. "I lavoratori del nostro paese - è scritto nella relazione finale - hanno un’immagine positiva, di gente capace di lavorare e creare. Questa immagine viene poco sfruttata dagli italiani che vivono all’estero anche se proprio loro hanno contribuito a crearla e diffonderla. Per questo proponiamo la nascita di una denominazione di manifattura". Il timbro "made by italian people" è certamente un segnale in controtendenza nell’epoca in cui, in Inghilterra, la crisi scatena invece la caccia agli "italians".
Vista dai blog, la comunità italiana sparsa per il mondo vive e combatte sospesa tra i luoghi comuni: quelli della madrepatria, delle navi d’inizio Novecento che partivano cariche di drammi e poveracci verso destinazioni ignote, e quelli dei paesi di approdo dove gli "italians" sono il popolo indisciplinato che fa scattare con maggiore frequenza gli allarmi dei metal detector negli aeroporti. Il 7 gennaio scorso Andrea ha scritto sul suo blog "Bodrato. bloggatore. com": "Siamo vittime di una visione dell’Italia e degli italiani completamente distorta".
"Gli stranieri pensano che siamo un paese tutto pizza, mafia e spazzatura. Soprattutto siamo vittime dei racconti degli immigrati che sono arrivati qui in America 100 anni fa. Per cui noi italiani ci siamo sentiti fare delle domande del tipo: "Da voi in Italia ci sono le lavatrici?", "Voi in Italia potete permettervi di fare studiare almeno un figlio?"’ "Avete il bagno in casa?". Quando la notizia che a Napoli non si poteva smaltire la spazzatura fece il giro del mondo, fu difficile per noi spiegare che questa piaga era circoscritta alla Campania e che nel resto d’Italia non era così. Anzi rimanevano sbalorditi quando gli si spiegava che in molte città si effettua addirittura la raccolta differenziata".
Alffox, titolare del blog "1 italiano a Budapest" mostra inorridito i luoghi comuni contenuti nella versione ungherese della pubblicità Vodafone: "Il campione di pallanuoto ungherese Tomas Kasas si trova in Italia e usa la chiavetta internet per comunicare con i suoi cari". La scena è girata a Genova, in sottofondo si sente la tarantella e lui comunica naturalmente con la madre che dice "Ti vedo un po’ dimagrito, stai mangiando?".
Non sempre, per fortuna, il luogo comune prevale. Le nuove generazioni di immigrati (soprattutto quelle che si affacciano su internet) narrano anche storie nelle quali il pregiudizio viene sconfitto sul campo. Il 7 dicembre scorso, su un blog intitolato "Storie di un disadattato a Londra", un anonimo immigrato italiano negli uffici della City narrava i primordi del disastro dell’economia mondiale: "In questo momento - confessava - tutta la mia vita gira intorno al credit crunch, questa crisi finanziaria che sta schiacciando le nostre vite con mano sempre più pesante e della quale ora seriamente vediamo gli effetti sulla nostra vita quotidiana. Venerdì scorso ho assistito personalmente all’eliminazione di un collega del mio dipartimento. Lavorava nel mio ufficio da 15 anni, è stato invitato ad abbandonare il posto di lavoro proprio 10 minuti dopo essere entrato ed averci detto "Good morning". Lo so che a voi italiani questa cosa suonerà come fantascienza, lo stesso effetto che faceva a me fino a poco tempo fa. Eppure in Inghilterra un’azienda in difficoltà ha la piena possibilità di chiudere per sempre una posizione di lavoro licenziando il relativo dipendente a patto di pagargli il dovuto mese di preavviso". Quel che sorprende il bancario italiano è proprio il fatto di essere stato risparmiato: "Sebbene logicamente come ultimo arrivato avrei dovuto essere il primo a partire, alla prova dei fatti così non é stato: il direttore ha deciso di salvarmi. Per chi abita a Londra io potevo essere un semplice immigrato di una nazione straniera, eppure il direttore di dipartimento ha dimostrato di credere nelle mie capacità al punto da sacrificare un suo connazionale per me, il mio capo mi ha dato fiducia al punto di andare ad una partita di football lasciando 12 persone sotto la mia direzione, io stesso non ho sentito un minimo senso di prevenzione o di pregiudizio nei miei confronti e tutto questo sotto il peso dello standard di una banca internazionale. Non so se, rimanendo nella banca italiana dove lavoravo sei anni fa, sarei stato valorizzato in questo modo".
Rose e fiori? Chiedere agli operai della Irem di Grimsby per avere una sicura smentita. E poi il lavoro non è tutto. Sono soprattutto le donne a lasciar trasparire dai blog i loro sentimenti. Perché la scelta di emigrare è spesso un sottile punto di equilibrio tra la possibilità di guadagnare meglio e la rinuncia ad abitudini consolidate nelle generazioni. Si dice di no a un ambiente familiare (e alle sue sicurezze) in cambio della possibilità di migliorare sensibilmente il reddito e le opportunità di carriera. Ma anche chi sceglie le seconde attraversa i momenti difficili della nostalgia. Francesca Rossi scrive dalla Germania. Titolo del blog: "TuttinColonia". E confessa che "quello che mi manca di più dell’Italia, ovviamente oltre ai parenti e agli amici, sono il reparto frutta e verdura e il banco gastronomia dell’Esselunga. Parlare di depressione è esagerato ma di fronte ai quei miseri metri quadrati di cavoli e mele mi prende una certa malinconia".
Francesca si stupisce della vita nel suo quartiere di immigrati dove "un terzo degli appartamenti è occupato da italiani: i più giovani sono nati qui, possiedono un rottweiler e indossano felpe con su scritto Italia". Mentre i più anziani "sono qui da trent’anni, ti salutano dicendoti "buonggionno", usano ancora la brillantina Linetti, hanno il baffo sottile e curato e non conoscono una parola di tedesco "tanto qui frequentiamo solo compaesani". L’unica cosa che non cambia a nessuna latitudine sono i portinai: pettegoli e ficcanaso. Meno male che, per il momento, i nostri ci portano su un palmo di mano perché, vista la composizione del condominio, noi rientriamo nella voce ’inquilini rispettabili’".
Il ciclone della crisi economica si abbatte sui luoghi comuni e sulle abitudini consolidate nei decenni. I cittadini italiani all’estero sono esattamente lo stesso numero degli stranieri regolarmente presenti in Italia, tre milioni e mezzo. Per ogni italiano trattato da romeno all’estero c’è un romeno trattato da romeno in Italia. Proprio adesso che il benessere (e l’emigrazione dal sud del mondo) aveva fatto salire gli italiani nella scala sociale mondiale, il gioco del mattone dei mutui suprime ci fa nuovamente ruzzolare giù dai gradini.
Anche i manager tremano. Luciano scrive da Nanchino: è ingegnere e si firma "TomcatUsa". Confessa che sta attraversando un periodo difficile: "Il problema è che qui in Cina le cose cambiano molto rapidamente e in un attimo si passa dall’essere un asset strategico a un costo da eliminare. Capita di ricevere all’improvviso una chiamata dall’Europa: "Caro ingegnere saprà che al momento c’è molta incertezza nei mercati, le borse sono in crisi". "Immagino, ma d’altra parte questo è anche il momento in cui si dovrebbe investire per quando la situazione migliorerà". "Sarà ma noi al momento non ce la sentiamo di investire per cui abbiamo deciso di sospendere il progetto, almeno per un po’". "Decisamente una brutta notizia, io sono qui per questo progetto". "Non si preoccupi, si tratta solo di uno stop temporaneo: diciamo 6-8 mesi, giusto per capire cosa succede"". Il blog di Luciano finisce così, con un licenziamento in diretta: "Al momento - ammette - non so bene dove andrò e nemmeno cosa farò. Magari tra un po’ ci ritornerò in Cina, chissà. O magari non ci tornerò più e rileggendo tra qualche anno i post che ho scritto sorriderò al pensiero di quante cose siano successe durante la mia permanenza qui. Per ora non mi resta che salutarvi e ringraziarvi per il tempo che avete dedicato alla lettura dei miei post e per i vostri commenti che mi hanno tenuto compagnia durante questi due anni di permanenza qui, nella Terra di Mezzo". La terra in mezzo ai luoghi comuni, tra italiani, italians e il resto del mondo.
2 febbraio 2009
http://www.repubblica.it/2009/01/sezioni/esteri/gb-raffinerie-italiani/griseri-italiani-immigrati/griseri-italiani-immigrati.html
2. "Sporchi immigrati tornate a casa " ... Ma gli immigrati sono italiani in GB..., 2 febbraio 2009, 15:45
Sta suscitando molto scalpore in Italia la rivolta dei lavoratori britannici contro le maestranze italiane impegnate da una ditta che ha vinto un appalto per la realizzazione di una raffineria nel regno Unito, una situazione alquanto incresciosa che vede un centinaio di italiani bloccati sotto la protezione di un vasto schieramento delle forze dell’ordine inglesi nella nave-alloggio nella quale sono ospitati, una protesta che lo stesso premier Gordon Brown ha giudicato intollerabile e inqualificabile, il che, tuttavia, non ha impedito al governo di Sua Maestà britannica di dare prontamente il via a una commissione di inchiesta sugli appalti ottenuti da ditte straniere, in particolare se con operai al seguito, in Gran Bretagna.
Purtroppo, la reazione degli inferociti disoccupati britannici non rappresenta un episodio isolato, in quanto nel corso del weekend è apparso in rete un lungo articolo dell’Associated Press che denuncia il fatto che negli ultimi sei anni le dodici banche a stelle e strisce destinatarie di 150 miliardi di fondi pubblici hanno richiesto alle autorità competenti l’autorizzazione ad assumere 21.800 lavoratori stranieri, spesso destinati a ricoprire ruoli di rilievo, una situazione che è andata in totale controtendenza con l’ondata di licenziamenti avvenuti nel settore negli ultimi due anni e che ha portato a un incremento di poco meno del 30 per cento di questa particolare forma di immigrazione di vice presidenti, analisti, legali specializzati in questioni legate alla finanza, gestori di human resources e via discorrendo, caratterizzati da una retribuzione media di 90.721 dollari, al netto ovviamente dei famosi bonus che stanno facendo infuriare Obama e i suoi più stretti collaboratori.
Ben due eletti dal popolo degli Stati Uniti d’America nel corso dell’Election Day svoltosi nei primi giorni di novembre 2008, hanno deciso di dedicare il loro preziosissimo tempo per redigere una proposta di legge che ha come principale obiettivo quello di dare le occasioni di lavoro ai soli cittadini americani, una pensata che sostituisce l’America First con Americans First e che è molto in linea con quelle alquanto balzane idee che le fervide menti partorite dalla Padania sono solite sfornare un giorno sì e l’altro pure e che puzzano di xenofobia lontano un miglio!
Non è peraltro un caso se gli sforzi del ministro svizzero incaricato di coordinare i lavori di un nutrito numero di suoi colleghi stranieri presenti a Davos sulla globalizzazione e sullo sblocco delle difficoltà che rendono impossibile il raggiungimento di un’intesa sugli appositi negoziati bloccati oramai da anni siano stati del tutto vani, con buona pace della infervorata allocuzione di Frau Merkel, la cancelliera tedesca che è ecologista finché non si toccano gli interessi delle aziende manifatturiere tedesche ed è una fervente paladina della globalizzazione per il semplice motivo che ha una fifa blu che un’eventuale ondata protezionistica finisca per ledere il surplus tedesco nella bilancia commerciale, ma che ha in odio la tendenza dei suoi concittadini ad approfittare dei paradisi fiscali più o meno sulla lista nera dell’agenzia mondiale che si occupa di contrastare il riciclaggio di capitali legato alla delinquenza economica, inclusa quella dei colletti bianchi, al narcotraffico e al terrorismo jadista e non.
Chiunque abbia anche solo una vaga nozione della storia economica e, più in particolare, dei tristi capitoli legati alle ricorrenti crisi economiche e/o finanziarie, sa benissimo che una delle vittime predestinate della tempesta perfetta in corso ininterrottamente da poco meno di diciannove mesi è proprio quel fenomeno noto come globalizzazione, così come accadde con la crisi del 1929 e la successiva Grande Depressione che mandarono letteralmente in soffitta la globalizzazione sviluppatasi a cavallo del 1900 e che, prima del grande crollo del 1929, aveva in larga misura provocato la prima tempesta perfetta, quella del 1907 che a paragone di quella in corso era poco più che un ondeggiamento in un bicchiere d’acqua!
Se qualcuno si fosse preso la briga di ascoltare i discorsi di Vladimir Putin e di Wen Jiabao in apertura dei lavori di Davos, avrebbe facilmente compreso come quello della possibile inversione di marcia sul cammino della piena libertà di movimento delle persone, dei capitali e delle merci sia stato il vero tema dominante, forse ancor più delle tristi conseguenze della crisi finanziaria e dei travagli dell’economia cosiddetta reale, una preoccupazione particolarmente sentita dai leaders della Russia e della Repubblica Popolare Cinese che, a torto o a ragione, si sentono le principali vittime di quanto è accaduto negli ultimi anni a Wall Street e dintorni e che vedono drammaticamente sfumare i loro sogni di egemonia nel terzo millennio.
Tralascio le ambasce di quella cricca di ex appartenenti al PCUS e al KGB che hanno visto polverizzarsi i loro gruzzoli miliardari in dollari e in euro, così come i crucci del loro capo indiscusso al di là della carica che volta per volta assume, ma credo proprio che l’Occidente dovrebbe preoccuparsi, e anche molto, delle conseguenze della brusca frenata dell’economia cinese, uno stop che viene solo parzialmente espresso dalle cifre ufficiali e che sta inducendo ad un fenomeno di ritorno nelle campagne di decine di milioni di donne e di uomini che avevano contribuito, spesso in condizioni veramente disumane, al balzo in avanti di un paese dalle dimensioni continentali e che ospita un quarto degli abitanti del pianeta.
La stima della nuova falcidia di buste paga statunitensi in gennaio e il previsto concomitante raggiungimento della soglia psicologica del 7,5 per cento di disoccupati non aiuterà certo a mitigare quel vento protezionistico che sta agitando, dalla costa atlantica a quella pacifica, gli Stati Uniti d’America e la stessa prevista nomina di un senatore repubblicano alla poltrona di ministro del Commercio, così come la decisione di mantenere Robert Gates alla Difesa, non promettono davvero nulla di buono!
2 Febbraio 2009
Marco Sarli
http://www.flipnews.org/italia/underground_3/blog/index.php?option=com_content&task=view&id=2712&Itemid=1