Home > Stampa e Tv: lo sciopero? Quando? Dove?
Stampa e Tv: lo sciopero? Quando? Dove?
di Alessandro Cardulli
Un fatto avviene se i media ne parlano: è questa la legge, brutale quanto si vuole ma oggi imperante, della società dell’informazione. Addirittura può accadere che un fatto non avvenuto diventi reale se i media lo inventano. Prendiamo lo sciopero generale di venerdì. Lo si è visto anche fisicamente, perché nelle strade di 108 città italiane c’erano delle persone che camminavano l’una a fianco all’altra, portavano bandiere rosse, striscioni,cantavano, gridavano slogan.
Quante? Non ci interessa il numero. Se erano tante era una notizia. Se erano poche era una notizia ugualmente. Ma il fatto, secondo i media, non è avvenuto o se è avvenuto andava relegato nelle pagine interne, dove nessuno lo legge. Per quanto riguarda le televisioni se proprio non si poteva fare a meno di quei rompicoglioni che sono i lavoratori, i pensionati, i precari, bastava dare solo qualche immagine, magari degli ombrelli visto che pioveva e non delle persone che sotto gli ombrelli stavano e si era a posto con la propria coscienza. I telegiornali, quelli della Rai, servizio pubblico, e quelli del padrone, il presidente del Consiglio, se la sono cavata bene: lo sciopero generale, sì, forse c’è stato, ma come pioveva, che cosa si poteva riprendere dei cortei. Meglio abbozzare. Il giorno dopo abbiamo dato un’occhiata ai giornali, quelli stampati. Non pensavamo certo che i giornali del padrone, sempre il solito, il capo del governo o suoi amici, quelli cui ha regalato Alitalia, fossero più prodighi di notizie. Sapevamo già cosa avrebbero scritto: che lo sciopero era fallito, Brunetta e Sacconi, il cui odio verso tutto ciò che sa di mondo del lavoro e di Cgil avevano già i numeri pronti per dimostrare che all’appello del più grande sindacato italiano non aveva risposto nessuno, che le strade erano rimaste deserte.
Dicono nei rispettivi ministeri che le dichiarazioni dei due esponenti del governo erano pronte già una settimana prima della effettuazione dello sciopero. Anche la Marcegaglia aveva la velina già preparata in anticipo. Che dire dei colleghi di questi giornali? Anche loro sono rispettosi della libertà di informare. Ma questa ,libertà riguarda il padrone. Lui deve essere libero di informare come vuole. Loro liberi di esercitare il diritto ad informare che è proprio della professione giornalistica. Non c’è scritto da nessuna parte che ci si deve opporre alla libertà di informare nel modo in cui il padrone detta. Sempre informazione è. Fin qui ci siamo. Guardiamo alle testate i cui giornalisti invece si fanno vanto della “loro” libertà di informare, i cui direttori quando partecipano a qualche dibattito o quando si trovano nell’avanspettacolo di Bruno Vespa, altro campione di pluralismo,sventolano le bandiere della libertà, del pluralismo, dell’oggettività. Magari sono anche iscritti ad “ Articolo 21”,l’associazione che, lodevolmente, si batte per l’autonomia e la libertà dell’informazione. Ne prendiamo uno per tutti: La Repubblica. Cerchiamo invano in prima pagina perlomeno un cenno su quanto era avvenuto nelle strade e nelle piazze italiane. Niente. Eppure su quella pagina c’è di tutto perfino le “notti brave di Adriano” e il richiamo di una storia come quella del titolo “ Lahore, sciopero della danza del ventre” Non c’era neppure un angolino per la “ giornata brava” di Guglielmo Epifani?
Però, si dirà, a pagina sei il titolo c’era e parlava, fra virgolette.(intendendo come detto dalla Cgil )di un milione e mezzo in cento città. Se andavate a leggere l’articolo su cento righe una trentina erano dedicate a chi contestava i dati della Cgil per dire, come Sacconi, Brunetta e Marcegaglia, che lo sciopero e le manifestazioni avevano visto la presenza di tre o quattro gatti Non parliamo dei tg. Quelli del servizio pubblico vedono direttori e giornalisti in attesa dei giri di valzer quando arriverà il nuovo consiglio di amministrazione. E, come si dice, tengono famiglia. Quelli di Berlusconi, lasciamo perdere. Tutti insieme diranno che pioveva e faceva freddo. Come si sa i giornalisti sono delicati di salute. Se andavano per strada a fare il loro mestiere rischiavano un raffreddore, un’influenza. Per quei quattro scalcagnati di lavoratori e lavoratrici, pensionati, precari, studenti, le tute blu dei metalmeccanici, magari anche un po’ sporche, non ne valeva proprio la pena.