Home > Sulla crisi in Costa d’Avorio
"Allarme rosso - Costa d’Avorio, non si appiana la
crisi, saltano gli accordi. Il governo attacca i
ribelli"
Quella che fino all’altro ieri era una situazione di
impasse politica in un paese che tentava di riavviare
un processo di pacificazione, si è trasformata poche
ore fa in una crisi internazionale.
Otto soldati del contingente militare francese della
Liocorne, impegnato in Costa d’Avorio per vigilare gli
accordi di pace, sono rimasti uccisi in un attacco
aereo lanciato dal governo ivoriano contro Bouaké, la
città del nord controllata dai ribelli delle Forze
Nuove. Altri 23 soldati sarebbero rimasti feriti,come
ha reso noto il portavoce dei caschi blu delle Nazioni
Unite (Unoci), Jean-Victoire Nkolo.
I due contingenti, dislocati dallo scorso anno lungo
la cortina di ferro che divide il paese nel sud
controllato dal governo di Laurent Gbagbo e il nord
della coalizione di gruppi antigovernativi, contano su
una forza effettiva di 10.800 uomini.
Tuttavia, l’attacco aereo dell’esercito governativo
ivoriano contro le basi dei ribelli del nord
cominciato giovedì mattina, sembra aver colto tutti di
sorpresa. Secondo i ribelli, almeno 11 persone
sarebbero rimaste uccise e un centinaio ferite. Se la
notizia fosse confermata, il bilancio dei morti,
compresi gli otto francesi, sarebbe di 19 in tre
giorni, oltre a 123 feriti.
Subito dopo l’attacco alla loro postazione, i soldati
della Liocorne avrebbero risposto distruggendo i due
caccia bombardieri Sukhoi delle forze armate ivoriane.
La notizia della morte dei francesi ha determinato
l’immediata reazione di Parigi, che ha subito
provveduto allo spostamento di tre caccia Mirage F-1
dal Ciad alla capitale del Gabon, Libreville. Una
mossa precauzionale, studiata per la necessità di un
intervento immediato. In tal caso, gli apparecchi
militari francesi potrebbero attraversare in breve
tempo il Golfo di Guinea, penetrando da sud o da ovest
nello spazio aereo della Costa d’Avorio.
I rapporti diplomatici tra Parigi e Abidjan sono tesi,
specie dopo le dichiarazioni del ministro degli Esteri
francese, Michelle Alliot-Marie, che non ha esitato a
ritenere il presidente Laurent Gbagbo "personalmente
responsabile" della crisi.
Nel frattempo, oltre alle città settentrionali di
Bouakè e Korhogo, anche in altre località del sud si
sono registrati disordini. Ieri, nella capitale
commerciale Abidjan, alcune decine di giovani
sostenitori di Gbagbo hanno attaccato le sedi di due
tra i principali partiti d’opposizione vicini ai
ribelli.
Una situazione di caos, all’interno del quale sembra
delinearsi l’ipotesi di un attacco-lampo studiato da
tempo dal governo ivoriano per riprendersi il nord e
riunificare la Costa d’Avorio dopo la frattura
generatasi nel settembre del 2002 e gli ormai falliti
accordi di pace di Marcoussis (2003), nei pressi di
Parigi, e di Accra, in Ghana (quest’anno).
Secondo il quotidiano Le Monde, le sedi della
principale emittente ad Abidjan, la Radio-Television
Ivorienne, e i ripetitori delle internazionali Africa
N°1 e Bbc sono state assaltate e danneggiate dai
facinorosi vicini al governo ivoriano. Nel frattempo,
sempre secondo il quotidiano francese, da giorni i
veicoli normalmente utilizzati per la raccolta del
cacao trasportavano militari da una regione all’altra.
Quasi come se qualcuno avesse posizionato una serie di
pedine chiave per colpire all’improvviso, tagliando le
principali linee di comunicazione e lasciando un
intero paese nel black-out.
Tra le molteplici cause che hanno portato a questa
insanabile frattura nel principale produttore di
cacao, ce ne sarebbe una di cui si parla poco, ma che
riveste una certa importanza: la differenza tra il sud
cristiano e il nord musulmano, divisi da culture
diverse e da una rivalità ben più radicata rispetto
alla giovane cortina di ferro che li divide.
Da New York, Corinne Dufka, coordinatrice
dell’organizzazione Human Rights Watch per la Costa
d’Avorio, è convinta che l’attacco lanciato dal
governo ai ribelli del nord sia stato un’inevitabile
conseguenza del pantano politico nel quale erano
finiti i tentativi di entrambe le parti di formare un
governo di unità nazionale: “E’ stata un’azione
improvvisa, tuttavia ce l’aspettavamo. La divisione
tra nord e sud molto più profonda di quanto si pensi.
Un governo di unità nazionale o di collaborazione tra
la parti in conflitto avrebbe comportato dei rischi.
Da una parte, il presidente Laurent Gbagbo si rendeva
conto che con il Paese unito, non avrebbe mai ottenuto
il consenso di ben 3 milioni di persone nel nord,
molto più legate ai ribelli. Questi ultimi, dal canto
loro, non avrebbero avuto alcun appoggio nel sud, che
è molto più fedele a Gbagbo”.
Due giocatori di scacchi, insomma, alle prese con uno
stallo che logorava i nervi e dal quale nessuno
avrebbe guadagnato alcunché, a parte più di 3mila
morti. Tanto da indurre Gbagbo a giocare la mossa più
offensiva, dribblando la diplomazia e ben due
contingenti di peacekeepers quello francese e quello
delle Nazioni Unite tentando lo scacco al re
avversario.
”Come organizzazione dei diritti umani non ci
schieriamo né dall’una né dall’altra parte precisa
la Dufka chiediamo solo che i civili vengano
risparmiati”.
Un processo di pace irrimediabilmente compromesso?
”Si tratta sicuramente della più grave crisi dagli
accordi di Marcoussis”, commenta da Parigi Francis
Laloupo, caporedattore del mensile La Nouelle
Afrique-Asie. “E’ la prima volta da più di un anno e
mezzo a questa parte che dalle minacce si passa alle
armi”. Laloupo precisa che l’approccio nord musulmano
contro sud cristiano, sovente adottato dai media per
descrivere in modo semplicistico l’impasse politica
ivoriana, nasconde una questione molto più complessa.
”Il nocciolo della spaccatura tra nord e sud si basa
su un concetto nazionalistico introdotto dall’attuale
governo: il concetto di ivorianità, che bolla come
non-ivoriani tutti coloro che non hanno entrambi i
genitori originari della Costa d’Avorio. Nel nord
moltissime persone hanno origini Maliane, Burkinabè,
Guineane, Ghanesi. E, spesso, sono vittime di
discriminazioni”.
Ne sa qualcosa Alassane Dramane Ouattara, leader della
Coalizione dei repubblicani, a cui fu negata la
possibilità di candidarsi alla presidenza come rivale
di Gbagbo per le sue origini Burkinabè.
Il giornalista del mensile francese ritiene la mossa
di Gbagbo un “atto di forza che rappresenta una
negazione totale dell’azione delle Nazioni Unite,
della Francia e della Comunità degli stati dell’Africa
occidentale (Cedeao), che hanno più volte tentato di
trovare un compromesso pacifico. Questa nuova crisi
che si è abbattuta sulla Costa d’Avorio conclude
Laloupo è particolare, rispetto a molte altre nel
mondo. Qui, infatti, nessuno riesce a capire dove sia
il centro del potere”.
Pablo Trincia




