Home > Tav: parlando e sparlando

Tav: parlando e sparlando

Publie le giovedì 8 marzo 2007 par Open-Publishing
1 commento

A leggere le dichiarazioni di ministri, governatori del nord, imprenditori, ferrovieri, qualche dubbio sul perché la Torino-Lione debba essere realizzata potrebbe sorgere. Semplificando, possiamo suddividere le ragioni del sì in due gruppi: quelle ambientali e quelle economiche.

L’opera che ci salverà

Cominciamo dalle prime. In un’intervista a La Stampa dello scorso 19 febbraio il ministro Di Pietro ha affermato: "La Torino-Lione è l’opera che ci salverà. Non farla significherà buttare tutto il traffico sulle strade, con un impatto devastante per l’ambiente".
Non è del tutto chiaro a cosa si riferiva il ministro. Per quanto concerne l’impatto della infrastruttura sul territorio, sembra evidente che il non fare sia preferibile al fare. E, anche nel caso si raddoppiasse il tunnel autostradale, la ricaduta sarebbe assai più limitata rispetto alla realizzazione della Tav: si tratterebbe di realizzare un traforo di 11 km invece che di 50 e non sarebbe necessario costruire nuove opere lungo la Val Susa. Non bisogna inoltre dimenticare che il governo italiano e quello francese hanno già deciso di realizzare, parallelamente al tunnel esistente, un traforo di sicurezza. La costruzione di un tunnel aperto al transito commerciale invece che ai soli mezzi di soccorso avrebbe un impatto e un costo marginale assai modesto e comporterebbe benefici superiori in termini di sicurezza della circolazione. Il ministro aveva forse in mente il problema dell’inquinamento atmosferico?

Una Tav contro lo smog

A tal riguardo si è espressa in termini più espliciti la governatrice del Piemonte, Mercedes Bresso: "L’alta capacità Torino-Lione è un’opera essenziale per abbattere lo smog (…). Per abbassare il tasso di smog e la concentrazione delle Pm10 è indispensabile realizzare un’infrastruttura ferroviaria che consenta di spostare gran parte del traffico di merci dalle strade alle ferrovie". (1)
Qualche numero: ogni giorno transitano nel traforo del Fréjus e sulla tratta autostradale Torino–Bardonecchia 2.300 Tir. La percorrenza complessiva di questi mezzi è pari al 5 per cento del traffico di veicoli pesanti sulle autostrade piemontesi e al 2 per cento del traffico autostradale. Ipotizzando che il traffico sulle autostrade rappresenti la metà di quello complessivo, si può stimare che azzerando il traffico merci verso la Francia si conseguirebbe una riduzione delle emissioni regionali pari all’1 per cento (intorno allo 0,1 per cento a scala nazionale). Quale possa essere l’impatto di tale riduzione appare evidente. Altro che "spostare gran parte del traffico merci dalle strade alle ferrovie".
Per quanto riguarda il tema della qualità dell’aria, occorre inoltre evidenziare come, ipotizzando che tra il 1990 e il 2020 il traffico di mezzi pesanti verso la Francia triplichi (da una decina d’anni, in realtà, è stabile), le emissioni totali di polveri si ridurrebbero dell’80 per cento: è come se i 1.480 veicoli al giorno del 1990 si riducessero a meno di 300 (vedi Figura 1).

Restiamo isolati!

E veniamo alle motivazioni economiche. La Repubblica del 30 novembre 2005 così sintetizzava la posizione dell’ex presidente della Repubblica: "Ciampi sulla Tav: Non possiamo restare isolati dall’Europa". Tesi ribadita negli ultimi anni in innumerevoli occasioni da altre personalità del mondo politico ed economico.
Chiunque abbia avuto occasione di recarsi in Francia in treno, auto o aereo negli ultimi anni, ha forse qualche difficoltà a capire in cosa consista tale isolamento. Mai l’offerta di servizi è stata ampia come oggi. Né risultano esservi difficoltà per il transito delle merci: sia il Fréjus che il Monte Bianco sono utilizzati ben al di sotto della capacità. La nuova linea ad alta velocità non avrebbe alcuna ricaduta positiva in termini di miglioramento dei collegamenti, fatta eccezione per un ridottissimo manipolo di passeggeri: la realizzazione della Tav non comporterebbe infatti alcun trasferimento di traffico dalla strada alla ferrovia. Tale spostamento modale potrebbe avvenire solo imponendo divieti o tassando in misura elevata il traffico su strada: divieti e tasse ossia incrementi di costi per le aziende necessari per migliorare la competitività economica del nostro paese e impedire che resti isolato?

Interesse superiore…

Non è mancato chi, come Paolo Costa, presidente della commissione Trasporti del Parlamento europeo, si è spinto ad affermare che la realizzazione della rete transeuropea dei trasporti Ten-T e della Tav sarebbe "obiettivo di interesse riconosciuto superiore da tutti i cittadini europei e che nessuno vuole rimettere in discussione". Non è chiaro come e quando i cittadini europei siano stati consultati in materia, né, per la verità, è chiaro sulla base di quale funzione del benessere sociale sia definita la superiorità di un interesse rispetto a un altro. Forse si vuole dire che è "interesse riconosciuto da tutti i cittadini europei" che i traffici da est a ovest non by-passino l’Italia? C’è da dubitare che tutti i cittadini europei siano così interessati al passaggio delle merci nella nebbiosa Val Padana. In ogni caso, i traffici in questione sono (e resteranno, secondo le migliori previsioni) di entità assai modesta, se paragonati a quelli interni. Non si vede peraltro quale sia l’interesse "strategico" dell’Italia a vedersi attraversata da qualche decina di treni da est a ovest. Dovremmo forse spendere più di 10 miliardi nei prossimi dieci anni per consentire a Fs Cargo o ai suoi concorrenti guadagni di qualche decina di milioni all’anno tra un paio di lustri?

E se ci sbagliassimo?

E se i traffici in realtà fossero destinati a esplodere? È difficile crederlo, ma è possibile ammettere, almeno in via ipotetica, che questo possa accadere. Ai numerosissimi sostenitori dell’opera viene allora da suggerire: put your money where your mouth is. Investite le vostre risorse (senza garanzia dello Stato, a differenza di quanto avvenuto nel caso delle altre linee Av) per il finanziamento dell’opera, comprensivo di un’adeguata compensazione per la Val Susa. Se ci sarà una domanda disposta a pagare per utilizzare la linea, ne godrete i profitti e il contribuente non ne andrà di mezzo: la spesa per la Tav equivale a una una-tantum dell’ordine di 1.000 euro per una famiglia di quattro persone. Sommessamente vorremmo però anche suggerirvi, prima di decidere sull’investimento da farsi, di chiedere qualche consiglio ai cittadini francesi e inglesi che hanno investito i loro risparmi in Eurotunnel e tra Parigi e Londra, non tra Torino e Lione.
Per chiudere, un’ultima citazione: "Eurotunnel will not receive a penny from the public purse" disse all’epoca Margaret Thatcher. Un buon suggerimento per dare attuazione al punto 7 della dichiarazione di intenti del presidente del Consiglio.

www.lavoce.info

Messaggi

  • LA TAV E GLI SCHELETRI NELL’ARMADIO DI PRODI (CENSURATI DALLA STAMPA)

    Uno dei luoghi comuni su cui poggia il sostegno - pur non entusiasta - all’attuale governo è che un eventuale ritorno di Berlusconi getterebbe il paese nella catastrofe. E questa convinzione si basa a sua volta sulla contrapposizione tra un Prodi, democristiano moderato, ma "presentabile" e in qualche modo sensibile alla difesa degli interessi collettivi e un Berlusconi impresentabile in quanto portatore di interessi in proprio e disposto a perseguirli anche a costo di violare qualsiasi regola di legge e di moralità. Una tesi a cui si sovrappone una sottintesa rivalutazione del politico di professione, portatore di tutti i mali della politica, ma in compenso serio e competente e legato in qualche modo a un’idea di rispetto della legge, contro il parvenu, l’imprenditore fattosi da sé, che, proprio in forza di questa sua origine sarebbe guidato nelle sue azioni solo ed esclusivamente dal proprio interesse materiale.

    Un’analisi un po’ più seria dei fatti e dei personaggi del capitalismo italiano dimostra che questo schema è una semplificazione per nulla disinteressata della realtà. Consigliamo a chi volesse farsene un’idea la lettura di un volumetto del ’99 (Koinè Nuove Edizioni), "Corruzione ad alta velocità", scritto a sei mani da ferdinando Imposimato, Ds, magistrato e membro della Commissione Antimafia negli anni ’90, insieme a un avvocato e un giornalista del Tg5. Le tesi raccolte in questo libello sono rigorosamente documentate e d’altra parte non risulta che mai siano state smentite dai diretti interessati, a partire dallo stesso Prodi.

    Nel 1992 Lorenzo Necci, amministratore delle F.S. crea due authorities: il comitato dei nodi e delle aree metropolitane e il garante dell’alta velocità. Garante viene nominato Romano Prodi, mentre del comitato fanno parte tra gli altri Susanna Agnelli e l’architetto genovese Renzo Piano. A tre mesi da questa delibera, contestata peraltro dai revisori dei conti delle F.S., Necci affida a Nomisma una consulenza su "l’analisi economica dell’impatto teritoriale". Nomisma è un vecchio baraccone democristiano di cui Prodi nell’81 è uno dei soci fondatori. Nel momento in cui la società riceve la consulenza Prodi è presidente del suo comitato scientifico e contemporaneamente Garante dell’alta velocità. E anche consulente della Goldman Sachs, all’epoca azionista in alcune società coivolte nell’alta velocità. Del resto qualche anno prima, quando Prodi era stato per la prima volta a capo dell’Iri, insieme alla moglie possedeva il 50% delle azioni dell’Ase, una società di consulenze con giri d’affari miliardari (ne esmineremo tra poco la funzione) e la "sua" Iri affidava consulenze alla "sua" Nomisma. Come si nota il conflitto d’interessi alberga non solo ad Arcore ma anche in quel di Bologna! La consulenza di Nomisma alle F.S. produsse 39 volumi contenenti affermazioni come: "La velocità è molto apprezzata perché consente di risprmiare tempo" oppure "L’elemento discriminante tra le poltrone contrapposte e quelle tutte orientate nella stessa direzione di marcia è che la prima disposizione tende a favorire la socializzazione, le seconde aiutano la privacy".

    Dopo che Prodi viene nominato per la seconda volta Presidente dell’Iri si dimette dalla carica di Garante (ma non da Nomisma né dall’Ase) e tuttavia torna a occuparsi di Alta Velocità in quanto l’Iri è general contractor e quindi responsabile dell’affidamento dei cantieri ai vari consorzi di società. Nei cantieri si verificano infiltrazioni di società in odor di camorra e una serie di attentati al tritolo e denunce da parte di dirigenti delle stesse F.S. cominciano ad attirare gli sguardi sospettosi di qualche magistrato, tra cui lo stesso Imposimato, membro della Commissione Antimafia. Tra le società sospette c’è l’Icla, finita nel mirino della Commissione sulla distrazione dei fondi per la ricostruzione dell’Irpinia, presieduta da Oscar Lugi Scalfaro. Una società di cui lo Sco del Ministero degli Interni scrive in un rapporto "che già all’epoca aveva evidenziato strane connessioni con esponenti del crimine organizzato e, comunque, era notoriamente considerata di proprietà dell’ex ministro Paolo Cirino Pomicino". Dalle risultanze delle audizioni in commissione antimafia risulta che la piena garanzia affinché l’Icla potesse lavorare sulla tratta ad alta velocità Roma-Napoli fu data proprio dall’Iri presieduto da Prodi, che firmò personalmente alcuni degli atti.

    Nel ’96, dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni, Imposimato decide di andare a parlare col Presidente del Consiglio delle vicende dell’alta velocità in Campania, vicende in cui il suo intervento gli era costato una minaccia di morte da parte della camorra. "Entrammo accolti da un Prodi in grande forma. Ci salutò con cordialità e con quella giovialità che tira fuori solo nei momenti migliori. Al colloquio era presente anche quello che è stato a lungo l’uomo ombra di Prodi, il suo consigliere Arturo Parisi. Ma appena cominciai a parlare, per incanto, quel clima di affabilità e cortesia cambiò rapidamente. Mentre parlavo, mentre gli illustravo i risultati dell’indagine dell’Antimafia sull’alta velocità, che La Cera confermava, mentre gli spiegavo nel dettaglio la portata del marcio che si nascondeva dietro quegli affari, lo vedevo rabbiuarsi. Parisi annuiva, Prodi no. Più il tempo passava e più assistevo a una scena a cui non volevo credere: sprofondato nella sua poltrona, rosso come un peperone, Prodi mi guardava e taceva. (...) Stavo per terminare la mia esposizione in quell’atmosfera gelida quando si sentì bussare e nella stanza entrò Beniamino Andreatta, all’epoca ministro della Difesa. ’Scusate se disturbo - disse Andreatta - Romano avrei bisogno di parlarti, magari dopo..’ Prodi sembrò scuotersi all’improvviso, come da un torpore. Mi sembrò che cogliesse quell’interruzione come un’ancora di salvezza. Si alzò di scatto e si precipitò verso Andreatta, afferrandogli la mano e invitandolo a entrare. Della stranezza della situazione si accorse anche il suo ministro che ci gettò uno sguardo tra il perplesso e l’interrogativo. Prodi si rivolse a noi solo per congedarci in tutta fretta, aggiungendo un furtivo ringraziamento per la visita. Non una parola di commento a quanto gli avevo riferito. Non un accenno". Una descrizione che combacia perfettamente con gli atteggiamenti del nostro in queste situazioni. Avrebbe potuto rispondere a Imposiamto che si trattava di questioni urbanistiche di competenza degli enti locali campani!

    Il 22 gennaio del ’96 la GdF intercetta una telefonata tra il faccendiere Pacini-Battaglia, personaggio centrale di Tangentopoli e un altro protagonista di queste vicende, Emo Danesi.
    D: "Sembra che questa Iannini proprio abbia detto ’eh, lì vogliono salvaguardare Prodi perché hanno dato a Nomisma un miliardo e sei’, roba del genere."
    PB: "Tre miliardi e otto"
    D: "Lei sa uno e sei".
    PB: risata.

    Nello stesso anno la Procura di Roma chiede il rinvio a giudizio per Prodi e altri cinque mebri del Cda dell’Iri, tra cui Mario Draghi, per abuso d’ufficio in merito alla privatizzazione della Cirio-Bertolli-De Rica. Prodi e gli altri indagati avrebbero appoggiato la società Fisve (tra i cui soci figura Cragnotti) consentendole di acquistare il gruppo alimentare senza che la Fisve avesse le credenziali per procedere a tale acquisto e a condizioni di assoluto favore per l’acquirente. In particolare Prodi risultava essere stato dal ’90 al ’93 advisory director del gruppo Unilever, che tramite la Fisve aveva gestito la trattativa in quanto interessata a rilevare il ramo olio (Bertolli) del gruppo in vendita. Goldman Sachs era naturalmente advisor dell’operazione. Il Daily Telegraph, autore di un indagine successiva sul caso, accusò Prodi e la miglie Flavia di aver ricevuto diversi miliardi, tramite la Ase, proprio da Unilever e Goldman Sachs e proprio negli anni della privatizzazione del gruppo Cirio-Bertolli-De Rica. La Pm Geremia, che nel frattempo ha allargato la sua indagine alla vicenda Nomisma-Alta Velocità, viene fatta a segno di minacce telefoniche e trova nella sua cassetta delle lettere una busta contenente una sua foto e un coltellino. Il Procuratore Capo di Roma, che alla Geremia aveva affidato l’inchiesta, viene messo sotto pressione per la sua frequentazione di Renato Squillante, il famoso magistrato al soldo di Berlusconi e che all’epoca peraltro era un referente istituzionale di Coiro, in quanto responsabile del Gip alle dipendenze dello stesso. Coiro è costretto a lasciare la Procura di Roma, con la minaccia di un’indagine discipinare dal parte del ministero della Giustizia (affidato in quei mesi all’amico di Prodi G.M. Flick). La sentenza nei confronti dei cinque imputati è favorevolissima: assoluzione con formula piena. La sentenza avrebbe dovuto essere depositata entro il 23 gennaio del ’98. Invece viene depositata il 9 febbraio, cioè due giorni dopo che la Geremia è stata trasferita a Cagliari. Col risultato che lei non può impugnarla.

    Ovviamente ogni ricostruzione può essere di parte e anche Imposimato può essere stato spinto da oscuri propositi a scrivere il suo volumetto. Ma il vero problema è: come mai la stampa, gli opinionisti, la satira italiana, tanto attenti alle malefatte di Berlusconi, mai e poi mai hanno messo queste vicende sotto la loro lente d’ingrandimento? Viene da pensare che se fosse andata diversamente e anche soltanto un decimo dell’interesse speso nei confronti del leader della destra fosse stato dedicato all’attuale Presidente del Consiglio, bene allora forse oggi il teorema per cui la lotta Prodi-Berlusconi è un’immagine dello scontro manicheo tra bene e male sarebbe un po’ meno radicato nella testa degli italiani. Oppure semplicemente capiremmo cosa c’è dietro a uno dei dodici punti del Prodi2, quella sulla Tav appunto!

    Tratto da:
    Marco Veruggio
    Fonte: http://resistenze.blog.tiscali.it/
    Link: http://resistenze.blog.tiscali.it/xa3197256/
    05.03.2007
    e da:
    http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=3114
    —