Home > Tempo di cambiare

Tempo di cambiare

Publie le giovedì 17 maggio 2007 par Open-Publishing

di GABRIELE POLO

Sarà anche stato un voto «locale», perdipiù nella regione «cassaforte» della destra e dove la mafia è un soggetto attivo, ma l’esito delle elezioni siciliane parla a tutta l’Italia. Non per dire che il centrosinistra «è finito» ma per confermare la disgregazione della politica in comitati d’affari e dei partiti in entità sempre meno rilevanti. Soprattutto parla alla sinistra che paga un prezzo altissimo alla sua esperienza di governo, come probabilmente confermeranno le prossime elezioni amministrative. Ovvio che a essere più esposta sia Rifondazione comunista, il partito cui la cultura comune del popolo di centrosinistra ha affidato il ruolo di guardiano dei diritti di chi meno ha e più ha pagato il ventennio liberista, il tunnel buio del berlusconismo.

Se il 27% della ricchezza nazionale se ne va in evasione fiscale; se si continua a proporre che il sistema previdenziale debba reggersi sui continui sacrifici dei pensionandi; se la lotta alla precarietà del lavoro si deve fermare sulla soglia delle esigenze d’impresa o quella per i diritti degli individui sulla porta delle relazioni con il Vaticano; se le promesse di pace devono convivere con i carri armati inviati in Afghanistan (della conferenza internazionale di pace si è persa notizia)... se a tutto questo non si riesce a far fronte, l’esito politico è già segnato.

A pagarne il costo non sarà il Partito democratico. Anzi. L’inevitabile disaffezione per la politica, che di crisi della rappresentanza si nutre, aiuterà il risultato elettorale di quella imminente lobby istituzionale, perché sarà l’idea stessa di una sinistra portatrice di trasformazione a essere colpita. E’ il modello americano: fuori dal sistema l’orizzonte del cambiamento collettivo e fuori (anche elettoralmente) quelli che ne avrebbero più bisogno. Elemosinando - chi può - favori individuali da qualche casta o potentato. Gli altri a sparare in un campus o dirottare pullman.

Non sembra che chi ha deciso di «rimanere a sinistra» abbia piena consapevolezza di un orizzonte così pericoloso. La rottura (storica e politica) decretata dalla nascita del Pd ha prodotto sì un gran movimento di convegni, dibattiti e incontri, ma non traspare una volontà precisa di andare in tempi brevi alla costruzione di una pratica comune che possa diventare punto di riferimento. Non per cambiare il mondo, ma per arginare con efficacia quei «se» (altri ne potremmo aggiungere) che costituiscono una vera emergenza sociale.

E per dare alla politica dal basso (se ne fa tanta, in comitati e associazioni, ma tutti separatamente) non una piena rappresentanza ma almeno una sponda nel complesso territorio del potere. I tempi, in politica, non sono un fattore secondario: se i gruppi dirigenti dell’attuale sinistra vogliono avere un futuro, devono agire subito, muoversi in fretta, dare risposte concrete di merito a chi li ha eletti, porsi degli obiettivi precisi senza pensarsi come il «tutto» e, quindi, rimettere in discussione - con chi nutre ancora speranze - le «fusioni» decise a tavolino. Che in quanto tali non si realizzano mai.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidian...