Home > Torretta: «Anche noi sfuggite agli Usa»
L’ex ostaggio del «Ponte» racconta la sua liberazione: nascoste ai check point, gli americani volevano prenderci
ANGELO MASTRANDREA
ROMA
«Gli americani ci volevano per interrogarci, il nostro convoglio è stato fermato più volte sulla strada per l’aeroporto ma i servizi segreti ci hanno sempre protette e non hanno dato loro le nostre generalità. Ricordo poi la tensione del pilota. Ci disse di stare in silenzio finché non fossimo in volo perché l’aereo non aveva alcuna autorizzazione a partire. Per questo decollò con le luci spente». Quella volta andò bene, ai check point le tre auto dei servizi che in gran velocità percorsero l’autostrada che da Baghdad porta all’aeroporto riuscirono a imbarcare in gran velocità e in gran segreto, nascondendole agli americani, le due Simone su un aereo della Croce Rossa che non aveva alcuna autorizzazione e per questo fu costretto a partire a fari spenti. Simona Torretta guarda al computer le foto di quell’uomo che le cronache descrivono ucciso da "fuoco amico". «Sì, è proprio lui. E’ quello che ci ha liberato. C’erano anche altri, ricordo una donna e alcuni militari, ma lui era la persona più umana. L’unica di cui ricordo il nome». Poi chiama la sua compagna di lavoro e di prigionia Simona Pari, «hanno ucciso Nicola», e ancora il presidente di Un ponte per Fabio Alberti. Decidono di far visita alla famiglia di Nicola Calipari, il «liberatore», anche se nel frattempo si avvicina la mezzanotte. In tv scorrono le immagini dell’ultimo video di Giuliana, vestita di nero dietro a una tavola imbandita di frutta e un Corano. «Fecero lo stesso anche con noi, ci regalarono addirittura una copia del Corano, nel video dicevamo, come fa anche Giuliana, che ci avevano trattato bene, ed era la verità». Ci sono diverse analogie tra i due sequestri e le rispettive liberazioni, compresa la dinamica del trasferimento all’aeroporto e della partenza per l’Italia. Simona ce l’ha con gli americani, «fanno sempre così, questa volta è scoppiato il caso perché ci sono di mezzo degli occidentali e non dei poveri iracheni innocenti». E parla, di «cose che non avevo mai raccontato finora» e che riguardano le ultime fasi della sua liberazione, per aiutare a dare una spiegazione a quanto accaduto ieri lungo quella stessa strada.
Allora Simona, cosa accadde davvero in quelle ore?
Sapevamo bene che il momento più delicato di tutta questa vicenda per noi era quello del rilascio. Non eravamo preoccupate dagli iracheni, perché dopo il video in cui si annunciava la liberazione sapevamo che non ci avrebbero fatto più nulla. Il pericolo erano gli americani, che avrebbero voluto prenderci per interrogarci e prendere informazioni.
Come facevate a saperlo?
E’ una realtà che impari solo vivendo in quel contesto. Avevano fatto lo stesso anche con i francesi, ritardando per due volte la liberazione. E poi lo fanno quotidianamente con gli iracheni, con la differenza che nessuno ne parla. Addirittura il giorno della liberazione dell’Iraq, quando le tv di tutto il mondo mostrarono l’abbattimento della statua di Saddam, ho visto delle persone uccise in un’auto. E’ noto che loro sparano a chiunque si avvicini.
Siete state fermate dagli americani lungo la strada?
Dopo il rilascio, alla moschea, siamo salite su un taxi su cui c’erano Scelli (il commissario della Croce rossa, ndr) e un suo collega iracheno. Al primo posto di controllo ci hanno fatto salire su un’auto dei servizi segreti. Il convoglio che ci ha portato fino all’aeroporto era composto da tre auto, è stata un’operazione velocissima, anche allora avvenuta di notte. Ricordo Nicola, c’era anche una donna e alcuni militari, presumibilmente tutti legati all’intelligence. I servizi ci hanno sempre protetto, siamo stati fermati diverse volte lungo la strada dagli americani, ma non hanno dato loro le nostre generalità e siamo riusciti sempre a ripartire. E’ probabile che anche stavolta ad andare verso l’aeroporto non sia stata solo un’auto, ma un convoglio.
Hai l’impressione che sapessero che c’eravate voi nell’auto?
Non lo so.
Com’è potuto accadere che stavolta invece abbiano sparato?
I militari Usa spesso non hanno ordini precisi, mi è capitato di trovarne alcuni che non sapevano nemmeno dove stavano esattamente. Sono giovani, spesso senza esperienza, hanno molta paura e l’unica loro forma di dialogo è premere il grilletto.
E anche i nostri servizi segreti hanno dovuto difendersi dagli americani.
Non sono stata tranquilla finché non abbiamo cominciato a sorvolare la Turchia e a entrare in territorio europeo. Solo allora ho pensato che non ci sarebbe accaduto più nulla. All’aeroporto il pilota era molto teso e ci ha detto chiaramente che non avevamo l’autorizzazione a ripartire e di stare tranquille e in silenzio finché non fossimo stati in volo. Mi pare che quell’aereo fosse stato autorizzato ad atterrare lì con la scusa di dover scaricare delle medicine. Poi è ripartito a luci spente.
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/05-Marzo-2005/art12.html




