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Tra bombe a grappolo rischiosa la consegna degli aiuti

Publie le venerdì 1 settembre 2006 par Open-Publishing

Dazibao Guerre-Conflitti medio-oriente

Sembrano piccole palline da tennis verdi oppure hanno l’ aspetto di bottigliette metalliche con un ciuffo di nastrini bianchi. Se ne vedono un’ infinita’ nelle campagne scoscese poco a nord del fiume Litani, tartassate dalle bombe a grappolo lanciate in quantita’ innumerevole dai caccia israeliani fino a due giorni prima della tregua cominciata il 14 agosto. Ne sono state recuperate fin’ora (26 agosto 2006, ndr)1800 e le vittime sono state 11, con 43 feriti, dicono fonti libanesi.

Sono i micidiali piccoli ordigni contenuti a centinaia nelle cosiddette ’cluster bombs’ - le bombe a grappolo il cui uso e’ condannato dalle agenzie umanitarie - impiegate senza alcun limite dall’aviazione israeliana nei 34 giorni dell’ operazione ’Giusta Retribuzione’ cominciata il 12 luglio.

L’asserita rappresaglia all’azione dei guerriglieri Hezbollah che avevano sconfinato dal Libano in territorio israeliano, ucciso otto soldati di Israele e catturati altri due - che sono ancora nelle loro mani - e’ passata anche attraverso questi minuscoli ordigni che stanno gia’ producendo vittime tra civili libanesi che nulla hanno a che fare con le bellicose volonta’ del ’Partito di Dio’ e dei loro nemici con la stella di Davide.Mappa dell’utilizzo delle bombe a grappolo in Libano da parte dell’Esercito israeliano. - The New York Times

’Eravamo 3500, in questo paese. Adesso siamo a stento 750 e la notte rimaniamo in 50’, racconta all’Ansa il sindaco di Ghandouriyeh, un commerciante quasi 60enne dagli occhi azzurri che ascolta con gentilezza le domande del giornalista arrivato in uno dei centri del sud del Libano piu’ massacrati dalle cannonate dei carri armati e degli obici israeliani.

’Le ragioni di queste fughe sono principalmente due: una e’ la paura di tornare a vivere qui dopo la distruzione che si vede intorno, anche se le vittime, per fortuna, sono state soltanto quattro ed i feriti una ventina. Due giorni dopo l’ inizio della tregua, gli israeliani sono atterrati da queste parti e c’e’ stata una battaglia incredibile. Adesso li vediamo passare in fondo alla valle, o sulla collina di fronte. Non si fermano, ma sono una minaccia costante’.

La seconda ragione che allontana i paesani da Ghandouriyeh dalle loro case e’ che le campagne che coltivano sono piene di ordigni inesplosi. Oggi e’ arrivata in paese una squadra di Echo, la divisione umanitaria dell’ Unione Europea, con un camion pieno d’acqua minerali, di latte in polvere, olio, carne in scatola, tonno, riso e kit sanitari. Ma insieme agli aiuti, i responsabili di ’Premiere Emergence’, l’ organizzazione non governativa internazionale che accompagna Echo nelle sue missioni, ha anche distribuito foglietti illustrativi preparati dall’ esercito, con le foto dei vari tipi di mine e bombe che possono essere trovate inesplose e scambiate per giocattoli o oggetti innocui.

’Il nostro martire e’ stato uno solo, un contadino che voleva raccogliere fragole nel suo orto e non si e’ accorta che tra i grappoli d’ uva appesi alla vigna c’era anche una bomba inesplosa’, racconta il sindaco di Zautar El Gharbiye, alle pendici delle alture sormontate dallo storico ’Castello di Beaufort’, posizione strategica contesa dai tempi dei crociati ad oggi, a due passi dal confine sudorientale con Israele.

’Nonostante accaniti bombardamenti che hanno distrutto il nostro paese quasi per la meta’ - spiega in italiano il sindaco, il medico Abu Hassan, che ha studiato in Belgio, dove continua a vivere per un mese ogni due trascorsi in Libano ed ha vissuto cinque anni a Padova - per fortuna abbiamo avuto pochissime vittime. Ma la gente ha fame, perche’ non va in campagna per paura delle mine inesplose. Qui ogni giorno l’ esercito viene a fare rastrellamenti e controlli e poi fa esplodere le bombe che raccoglie’. ’Non riesco a capire perche’ ci abbiano bombardato cosi’ pesantemente.

Qui sono tutti contadini che non hanno a che fare con i partiti politici, come me’, aggiunge passeggiando sotto bandiere verdi di Amal, l’ altro movimento sciita che divide con Hezbollah il controllo del territorio.

A Yohhmor, sempre sotto l’ occhio vigile del Castello Beaufort - sul quale sventolano bandiere libanesi e di Hezbollah - su uno stabile garrisce un tricolore italiano, accanto alla bandiera di Amal. Da una porta spunta la famiglia di Ali Jaber, due figli maschi, una donna anziana, Fatma, ed una giovane, Mariam. ’Perche’ avete la bandiera italiana?’. ’L’ abbiamo messa dieci giorni prima della fine dei mondiali. E abbiamo avuto ragione. Volevamo proprio che l’Italia vincesse’. ’Mio fratello Abbas fa il pasticciere, adesso non c’e’- dice Ali, sorridendo orgoglioso - ha imparato a lavorare in Italia ed e’ lui che ha voluto la bandiera sul tetto’. Poco lontano ci sono macerie dei bombardamenti e fino a qualche ora prima gli artiglieri dell’ esercito hanno fatto brillare bombe inesplose.

’Qui si sta bene - commenta Mariam, guardando intorno le colline verdeggianti - c’e’ solo un po’ troppo rumore, in questi giorni. Speriamo di vedere presto i caschi blu italiani. Abbas, il mio fidanzato, sarebbe proprio contento’.

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