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Tutti a caccia dello sciopero
di Francesco Piccioni
Prosegue come previsto la mobilitazione: pieno rispetto delle norme operative. Governo e media contro i dipendenti, accusati di uno «sciopero selvaggio» mai neppure iniziato. Epifani (Cgil) richiama Gianni Letta perché eserciti il ruolo di mediatore sulle differenze tra l’accordo di ottobre e i contratti Cai
Lo sciopero non c’è, non c’è mai stato. La mozione prodotta dal «comitato di sciopero», lunedì pomeriggio, è servita soltanto al «circo mediatico». Per montare un clima di linciaggio contro chi lavora in Alitalia. Un clima che - fortunatamente - non si ritrova nella stragrande maggioranza dei passeggeri, pur frustrati da lunghe attese e qualche volo cancellato. Del resto nessuno si è astenuto dal lavoro. E ben prima che il ministro dei trasporti precettasse tutti i dipendenti. Se vivessimo in un paese serio, qualcuno condurrebbe uno studio decisivo su come si possano diffondere impunemente notizie destituite di ogni fondamento. Attenderemo invano.
Il giorno dopo, tutto continua come previsto. I lavoratori - tutti, dal personale di terra agli assistenti di volo, ai piloti - sono presenti sul posto che spetta a ciascuno. E lavorano come previsto dalla manualistica operativa. Nessuno può accusarli di nulla. Semplicemente, non ci mettono quel «qualcosa in più» per far funzionare l’insieme della compagnia. Quel qualcosa che prima si sentivano in dovere di dare e che ora - di fronte all’ostilità del nuovo acquirente e soprattutto del governo - non è più nella loro disponibilità.
I ritardi si accavallano, com’è ovvio che sia quando una società è gestita - da un ventennio, ormai - da dirigenti inadatti al ruolo. O incompetenti. Al «varco equipaggi», teatro nei giorni scorsi di infuocate assemblee, solo piccoli capannelli per scambiare le ultime informazioni, correggere le false voci ingigantite dai media, ricucire le relazioni tra colleghi. Se ci fosse uno sciopero qui sarebbero presenti in tanti. Ma non si vedono neppure i masaniello improvvisati di qualche ora prima.
Le telecamere ripiegano sui passeggeri in fila, i microfoni si accendono solo davanti a qualche immancabile esagitato. Mentre da Roma rimbalzano i proclami di guerra di una batteria di ministri evidentemente in astinenza da «nemico interno». Anche il presidente del Senato, Renato Schifani, non evita di aggiungere la sua piccola disinformazione: si è scusato di non poter essere a un convegno, a palazzo Giustiniani, a causa dello sciopero di piloti e assistenti di volo. Che non c’era.
Il più guerresco, per qualche ora, è stato il ministro dei trasporti, Altero Matteoli, che si augurava «che la precettazione serva, altrimenti ci sono norme anche di ordine penale». Vero, ma sarebbero valse se qualcuno non si fosse presentato sul posto di lavoro. Forse consapevole della poca utilità della sua precedente dichiarazione, provava a rinforzarla: «comincio a ricevere telefonate di piloti che vogliono lavorare, che aspettano Cai per avere un minimo di tranquillità». E’ tutto normale. Il ministro ha un figlio pilota, assunto nell’ultima tornata di chiamate a tempo indeterminato.
Altrettanto bellicoso il cosiddetto «garante» degli scioperi nei servizi pubblici, Antonio Martone, professore nell’ateneo confindustriale della Luiss. Sfoderando i suoi dati («3-400 persone che stanno astenendosi dal lavoro senza preavviso»: sono i titoli dei giornali di ieri), ipotizzava un’«interruzione di pubblico servizio, quindi un illecito penale». Si capiva subito che il suo problema non era quel che avveniva negli aeroporti, ma la possibilità si sostenere l’idea del ministro Maurizio Sacconi, ovvero un referendum consultivo tra i lavoratori prima di indire uno sciopero. Magari «in via sperimentale» (sempre prorogabile). Non poteva mancare il ministro dell’interno, Roberto Maroni, che - forse a corto di informazioni dirette - si scagliava contro presunti «picchetti davanti all’aeroporto, avvenuti ieri», garantendo che ciò «non dovrà più avvenire».
Il crescendo militaresco iniziava a preoccupare anche uno dei massimi responsabili della situazione attuale, ovvero il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni (come firmatario dei contratti Cai anche in assenza del consenso dei diretti interessati): «a nessuno venga in testa che iniziative sbagliate e isolatissime possano costituire l’occasione per regolamentare il diritto di sciopero».
Chiudeva il cerchio dei ripensamenti Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, che ricordava le tre responsabilità: «di Cai e della sua incapacità di gestire un problema di personale; di una parte del governo che minaccia in continuazione invece di ricercare coerenza di comportamenti; di un radicalismo estremo che non fa gli interessi né della compagnia, né dei lavoratori». ne derivava un richiamo al sottosegretario alla presidenza del consiglio, Gianni Letta, affinché eserciti «il compito di fare da mediatore su quelle parti del contratto che non corrispondono all’accordo firmato». Un’ammissione importante: tra l’accordo firmato a settembre e i contratti Cai proposti in ottobre ci sono delle «non corrispondenze». E’ ora di metterlo nero su bianco.