Home > UNA POLITICA PUBBLICA PER USCIRE DALLA CRISI
UNA POLITICA PUBBLICA PER USCIRE DALLA CRISI
Incontro a Milano con gli economisti di sinistra. Ferrero: «Ricette che parlino ai bisogni concreti»
di Fabio Sebastiani, Milano
Su un punto gli economisti di sinistra sono tutti d’accordo, che è poi il punto sostanziale: da questo tsunami della speculazione finanziaria se ne può uscire imboccando la strada delle opportunità che solo la politica può tornare a disegnare, ammesso che si riesca - come sottolineerà poi il segretario del Prc Paolo Ferrero nelle sue conclusioni - a far uscire la politica dalla crisi di credibilità in cui è precipitata, anche a causa degli errori commessi dalla sinistra.
Se le duecentocinquanta persone intervenute ieri alla conferenza promossa dal gruppo consiliare del Prc della Provincia di Milano in corso Monforte sono rimaste fino all’ultimo dopo circa tre ore di confronto tra esperti e di dibattito con il pubblico, una ragione c’è. E’ stato, per dirla in soldoni, uno di quei rari momenti in cui il "programma politico" torna ad intrecciarsi con l’analisi del mondo reale. Insomma, la crisi delle borse è solo un pretesto. L’importante è che siano tornati di nuovo alla ribalta i temi e gli strumenti con i quali intervenire. Più che il liberismo, quindi, sembra essersi chiusa quella fase in cui la sfera dell’economia era intoccabile perché sottoposta interamente alla dittatura dei parametri. Oggi non è più così. E il primo compito della sinistra è non perdere troppo tempo nel convincersi di ciò.
Riccardo Bellofiore, Emanuele Baldacci, Roberto Romano, Andrea Di Stefano e Stefano Lucarelli, gli economisti, pur nelle differenze delle analisi di partenza, si ritrovano sul fatto, variamente caratterizzato, che la via d’uscita da una recessione che con molta probabilità non sarà inferiore ai due anni, non potrà non essere che un ritorno alle politiche pubbliche. Che sia una spesa che promuova l’ambiente o che promuova l’innovazione, che agisca sul fisco o intervenga sui salari, ha poca importanza. La parola passa alla mano pubblica, che dovrà attingere da forme aggiornate di Tobin Tax oppure dal fisco armonizzato europeo (Alessandro Santoro).
Ovviamente, non sarà la politica come l’abbiamo intesa fino ad oggi a poter sviluppare un modulo di questo tipo. Quella finirà nel tritacarne del consenso e della difesa dei particolarismi scatenati dalla crisi, come i titoli borsistici di questo periodo, del resto. Anche perché è lo stesso scenario economico ad essere completamente cambiato. Per dirla con Bellofiore, siamo nei tempi della «sussunzione diretta del lavoro alla finanza», in cui il capitalismo in realtà procede «di bolla in bolla»; siamo nei tempi in cui le economie emergenti con molta probabilità saranno i nuovi protagonisti (Emanuele Baldacci) anche scontando il rischio di nuovi scenari di guerra (Paolo Ferrero); siamo nei tempi, infine, in cui la conoscenza e la capacità di innovazione saranno le vere leve del successo economico (Roberto Romano).
Sul terreno della spesa pubblica, si giocherà, a quanto è dato intuire, una grossa battaglia. Da una parte il capitale finanziario che solo di costi di riparazione sta pompando deficit a colpi del 50%. L’Italia potrebbe ritrovarsi, secondo alcune stime, dall’attuale 100% nel rapporto spesa/Pil al 150%; dall’altra, appunto, le classi subalterne che dovranno difendere il patrimonio sia dall’attacco delle nuove ondate speculative (utilities), sia da un banale problema di sopravvivenza fisica (ammortizzatori sociali e politiche di welfare).
Secondo Paolo Ferrero dalla crisi si esce sì attraverso tutta una serie di misure importanti che vanno dagli elementi di controllo sopranazionali, «che abbiano una qualche relazione con la democrazia», alla riproposizione di elementi keynesiani ma con una forte caratterizzazione qualitativa: «In questo quadro l’Europa è un punto decisivo perché c’è un maggiore controllo delle variabili». Dentro questo ragionamento ovviamente c’è la modifica dello statuto della banca centrale europea, la tassazione delle rendite, l’intervento fiscale sui salari, fino alla riproposizione della legge 30 e ad una proprietà effettiva pubblica delle banche. Il punto è che bisogna mettere mano, sottolinea Ferrero, a ricette che «comunicano» e non a sterili riproposizioni di manuali d’economia. La radicale riforma della politica è tutta in queste parole. Anche perché, «se la finestra si chiude male dalla crisi si può uscire peggio di come siamo entrati». Il segretario del Prc ha suggerito quindi che l’operazione preliminare da fare è sul «pulpito da cui si parla». E non su ciò che si dice. Di qui la campagna sulla pagnotta di pane a un euro; di qui la sottolineatura della lotta contro il caro vita a partire dai bisogni reali, della campagna sui fondi pensione, che stanno mostrando tutti i limiti che denunciò il Prc, e via via della lotta contro le spese militari e a favore dell’allargamento degli ammortizzatori sociali.