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Da aprile on line
Kerry getta la spugna, vincono gli spiriti animali della guerra e del capitalismo
John F. Kerry ha voluto evitare di fare rivivere all’America le settimane di incertezza e di discredito seguite alle pasticciate elezioni del 2000 e ha annunciato di essere pronto a riconoscere la vittoria del suo contendente. Evidentemente l’analisi dei dati dello Ohio lo ha convinto ad annullare i proclami di guerra del suo impetuoso vice, che poche ore prima aveva annunciato una battaglia lunga, “fino all’ultimo voto”.
Oggi quindi sappiamo che Bush ha vinto e che Kerry ha perso, ma sulla portata di questa sconfitta, sul numero degli sconfitti (perché sono più d’uno) si dovrà ragionare a lungo.
E’ sconfitto innanzitutto Kerry che, con il 98 per cento dei voti scrutinati, ha preso tre milioni e mezzo di voti in meno di Bush, una cifra molto superiore a quei 545.000 voti di differenza tra Gore e Bush (a favore del primo) che nel 2000 fecero gridare all’elezione rubata. In lui è sconfitto “un uomo serio, capace e onesto” (come l’ha definito il New York Times) e con lui quella parte d’America (il 48 per cento dell’elettorato) che voleva il multilateralismo in politica estera, un fisco più equo, maggiore sicurezza del posto di lavoro, più protezione per le fasce sociali meno protette, la tutela dell’ambiente e dei diritti della persona.
Quell’America, tollerante e solidale ha perso contro il richiamo della giungla dell’altra America: gli spiriti animali di un capitalismo senza freni, gli squilli di tromba di un patriottismo guerrafondaio, la logica dell’“o con me o contro di me”, l’integralismo fanatico di un cristianesimo che proclama la santità della vita umana contro l’aborto, ma non ha nulla da dire contro la pena di morte e contro l’uccisione di civili inermi in guerra.
In secondo luogo sono stati sconfitti i mass media, in particolare la grande stampa nazionale, la coscienza critica della nazione, il cane da guardia, il watchdog del potere politico, che da sempre costituisce un pilastro essenziale della democrazia americana, ne forma l’opinione pubblica ai valori di tolleranza e di impegno civico. I grandi giornali dell’Est e dell’Ovest, il New York Times, il Washington Post, il Los Angeles Times e altre decine di grandi quotidiani si erano pronunciati prima del voto (com’è d’uso in quel paese senza che ciò impedisse loro di fornire resoconti di cronaca scrupolosi e imparziali), e avevano scelto Kerry.
Con la grande stampa sono stati sconfitti “gli scrutatori dell’anima”, le società di sondaggi che da mesi setacciano l’elettorato e tracciavano previsioni: avevano previsto che l’aumento del numero dei votanti avrebbe favorito Kerry e hanno avuto torto, avevano previsto che i giovani avrebbero votato per lui e hanno avuto torto, avevano anticipato una vittoria di stretta misura dell’uno o dell’altro candidato e invece Bush ha vinto il voto popolare per più di 3 punti percentuali, avevano avvertito del pericolo di un effetto Nader, e il candidato indipendente ha preso un misero 0,3 per cento, avevano anticipato un massiccio incremento dei votanti, che invece non supereranno a conti fatti il 55 per cento degli elettori (erano stati il 51,3 l’ultima volta).
In terzo luogo è stato sicuramente sconfitto, ancora una volta, il sistema politico e elettorale americano. La più grande e antica democrazia del mondo, per la seconda volta di fila, si è trovata di fronte ad elezioni pasticciate e di esito incerto, e ha evitato danni peggiori solo grazie alla “saggezza” di uno dei contendenti. Ma i guasti rimangono. Un antiquato sistema di elezione indiretta, che trae le sue origini nella democrazia censitaria e segregazionista dell’Ottocento, che distorce il voto popolare e che, nell’epoca della comunicazione istantanea richiede addirittura due mesi prima della proclamazione ufficiale, non è sicuramente rispondente alle esigenze di una democrazia matura e partecipata.
L’assenza di una legge unica nazionale, per l’elezione almeno del presidente, fa sì che l’esito delle elezioni sia troppo spesso affidato alla discrezionalità di dirigenti politici e amministratori locali, che fanno e applicano a loro piacimento le regole che dovrebbero invece essere uguali per tutti i cittadini in ogni parte dell’Unione. Le possibilità di brogli e di arbitrio legati al voto in absentia e per corrispondenza, l’incertezza dell’elettorato attivo dovuta alla mancanza di liste elettorali uniformi e a regole che discriminano le classi più povere, la mancanza di un foro immediatamente competente per dirimere tutte le vertenze, rendono il sistema farraginoso e aperto a manipolazioni dall’alto come dal basso.
Ma poiché tutto ciò non avviene nel mondo astratto delle idee e della scienza politica, ma in quello molto concreto dell’esercizio del potere, dobbiamo aggiungere che ad essere sconfitti sono innanzitutto i poveri d’America, i bambini e le ragazze madri, cui la prima amministrazione Bush ha tagliato i fondi per l’istruzione e per i sussidi alimentari, così da abbassare le tasse ai ricchi e finanziare la guerra. E sconfitti infine sono gli abitanti di Falluja, di Ramadi e delle altre città irachene, perché nei prossimi giorni i generali americani riceveranno l’ordine finale di attacco per piegarne la resistenza così da consentire ai pochi che sopravviveranno tra le rovine della città di prendere parte, anche loro, alle democratiche elezioni previste per il prossimo gennaio, in coincidenza con l’insediamento del nuovo presidente.
[Stefano Rizzo]
http://www.aprileonline.info/articolo.asp?ID=2172&numero=135




