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Ue, allarme disoccupati. Almunia: «Basta parole»

Publie le venerdì 9 gennaio 2009 par Open-Publishing

Ue, allarme disoccupati. Almunia: «Basta parole»

di Fabio Sebastiani

Prima il credit crunch e adesso la disoccupazione. Non è l’Europa a navigare in cattive acque, ma gli europei: dal novembre 2007 allo stesso mese del 2008 quasi un milione e duecentomila sono stati espulsi dai luoghi di lavoro.

Secondo i dati diffusi ieri da Eurostat, il tasso di disoccupazione dell’eurozona a novembre ha toccato quota 7,8% dopo il 7,7% di ottobre. Rispetto all’ottobre 2008, il numero di senzalavoro è cresciuto di 274.000 unità nell’Ue-27 e di 202.000 nell’eurozona.

Per i leader del Vecchio continente, il conto alla rovescia è già cominciato. Ed è stato lo stesso commissario a far sapere che il tempo dei convegni è finito e che ora occorre agire. «Annunciare piani di rilancio non basta, le misure vanno attuate per vederne gli effetti», ha detto Amelia Torres, portavoce del commissario europeo agli Affari economici Joaquin Almunia nel corso di una conferenza stampa a Bruxelles. «La situazione economica nell’ultimo mese si è deteriorata in modo significativo - ha sottolineato - e continua a deteriorarsi. Noi speriamo che il piano di rilancio proposto dalla Commissione europea ed adottato dai Paesi membri porti i suoi risultati per evitare una recessione lunga e difficile». Al momento le misure previste dai governi ammontano allo 0,9% del Pil, rispetto all’1,2% proposto da Bruxelles, ha ricordato Torres, spiegando che si tratta comunque «di una cifra significativa».

L’Ocse, intanto, invece di occuparsi dei costi sociali della crisi preferisce contare le perdite delle banche e invoca maggiori finanziamenti pubblici nel nome del principio "troppo grandi per fallire".

Per la cancelliera Angela Merker, l’impegno delle casse pubbliche, però, deve essere «temporaneo». E ieri l’ha ribadito al convegno internazionale sulla crisi dell’economia promosso dal premier Sarkozy.
Le principali banche mondiali hanno perso 3.068 miliardi di dollari di capitalizzazione borsistica nel 2008 a causa della crisi dei mercati. Nei 10 principali Paesi (G10) la perdita di valore ha totalizzato 1.727 miliardi rispetto al 2007. Il calo più ampio è degli Usa (-423 miliardi), seguiti da Regno Unito (-307), Belgio e Italia (-176 miliardi). La Penisola, però, aveva segnato nel 2007 un aumento (+73 miliardi) della capitalizzazione delle banche, contrariamente a tutti gli altri big, già ’in rossò. Nel 2007 le banche Usa avevano già lasciato sul terreno borsistico 339 miliardi di dollari, le giapponesi 112 miliardi, le britanniche 101, le francesi 31 e le svizzere 44 miliardi.

Gli istituti transalpini nel 2008 (dal 1 gennaio al 19 dicembre) hanno invece visto la capitalizzazione ridursi di 157 miliardi e gli elvetici di 107,5 miliardi. Le banche tedesche hanno pagato lo scotto della crisi lo scorso anno perdendo 84 miliardi di valore di mercato, dopo averne persi 3,7 nel 2007. Gli economisti dell’Ocse sottolineano anche che è essenziale dare sostegno finanziario alle istituzioni sistematicamente importanti e interconnesse, sulla base del principio «too big to fail» (troppo grandi per fallire) e che tale aiuto deve essere coordinato a livello internazionale, come emerge dal caso delle banche islandesi. Nella quarantina di banche «sistemicamente importanti» per le economia dei Paesi di appartenenza, l’Ocse indica anche le due big italiane Unicredit e Intesa SanPaolo.

Mentre la crisi avanza, in Italia si litiga. Ieri l’opposizione è stata costretta ad abbandonare la commissione Lavoro perché il quadro su cosa voglia fare veramente il Governo non è assolutamente chiaro. Da un parte il ministro Sacconi che annuncia la proroga della social card e, dall’altra, nessun aumento di risorse nel capitolo degli ammortizzatori sociali. E Tremonti da Parigi, dove ha partecipato al convegno internazionale di Sarkozy, ha fatto sapere che la crisi in Italia, a ben vedere, non esiste, perché «i consumi hanno tenuto». Motivo per cui, non si è fatta la detassazione della tredicesima. Altro punto interrogativo è il decreto per la ricapitalizzazione delle banche. Insomma, più che escludere qualche categoria professionale amica dai piani di settore la maggioranza di centrodestra non riesce a fare. E questo è preoccupante.