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Un’altra Onda: per una riflessione comune sul movimento e sul suo futuro

Publie le martedì 24 febbraio 2009 par Open-Publishing

martedì 24 febbraio 2009

Considerazioni, proposte organizzative e d’agenda da Scienze Politiche in Onda.

«Ragazzi dell’Onda, dove siete finiti?».È questo il titolo che l’Espresso ha deciso di dare ad un forum tematico dedicato al movimento che ci ha visti protagonisti in autunno. Viene da sorridere, ma un titolo del genere campeggiava, non molto tempo fa, anche sulla mailing-list Onda Anomala della Sapienza.

In quel caso fu pronta la risposta di chi, in queste settimane assediate dagli esami, non ha smesso di stare nelle facoltà, di partecipare attivamente alle assemblee, alle azioni, alle manifestazioni. La risposta era giusta, perché profonda e appassionata, il problema però, al di là della legittimità di chi lo pone, rimane aperto. Su questo vorremmo invitare alla discussione, con un documento frutto della discussione e dell’elaborazione collettiva della nostra facoltà, la facoltà di Scienze politiche in Onda.

Alcuni punti, su cui interrogare il dibattito comune, dibattito utile a chi ritiene che il movimento non appartenga alla nostalgia per la gioventù trascorsa, a chi non ha ansia di tornare a casa o nelle sicurezza delle piccole patrie identitarie.

Il movimento è davvero finito?

Da diverse settimane ricorre la discussione sullo stato dell’arte del movimento. Sui giornali o nelle assemblee d’ateneo, sui blog o sui siti. Il movimento è morto o qualcuno desidera farlo fuori? Il confine tra queste due cose è sempre labile, non fosse altro perché il linguaggio è performativo (parlando si possono fare tante cose) e smettere di sognare o di scommettere sul futuro è il modo migliore per invitare tutte e tutti a tornare nella classi a studiare o a fare esami. E’ indubbio, infatti, che la sessione d’esame e l’approvazione natalizia del Dl 180 hanno reso tutto molto difficile e decimato la partecipazione, pubblica ed organizzata. Fisiologico: ma non basta mai, in politica, accontentarsi della natura dei processi. La politica è prassi, invenzione, seppur invenzione materialista, sempre inscritta all’interno di condizioni specifiche. Cerchiamo allora di indagare che cosa è accaduto sul terreno delle condizioni e cosa su quello dell’invenzione.

Negli ultimi due mesi ci siamo trovati di fronte ad una situazione molto dura. L’impermeabilità del governo di fronte alle istanze sociali e conflittuali ha colpito duramente l’immaginario e la percezione di chi in questi mesi ha sperato nel cambiamento. Nello stesso tempo il Pd ha scelto la via della concertazione e della debolezza, mentre Sacconi e Brunetta, in compagnia di Confindustria, Cisl e Uil, hanno inferto un colpo violentissimo al più grande sindacato italiano, la Cgil. L’accordo del 22 gennaio sulla contrattazione non solo mette fuori gioco l’unità sindacale e la concertazione (cosa di cui possiamo massimamente rallegrarci!), ma definisce un nuovo terreno d’attacco nei confronti di salari e diritti, in un paese che vanta un triste primato europeo per l’assenza di strutture di welfare, innanzitutto di ammortizzatori sociali svincolati dal modello familistico. Intanto riprende la barbarie delle violenze sessuali, delle ronde e dei nuovi razzismi, la stessa che occupava la scena mediatica prima dell’esplosione dell’Onda. Ancora si sceglie il corpo delle donne o il bios (vedi caso Englaro) per imporre l’escalation sicuritaria e fare in pezzi la costituzione formale del paese.

«In alto la mia banda, di fronte a tanta merda», cantava qualche anno fa Luca Mascini Militant A, cantante degli Assalti Frontali e in autunno protagonista, da genitore, delle lotte nelle scuole elementari. In effetti, di fronte all’egemonia della destra e delle culture razziste, l’unica risposta in questi mesi è stata l’Onda: è stata l’esplosione selvaggia di migliaia di giovani che nelle scuole e nelle università hanno occupato lo spazio, il tempo, le aule e i sogni; è stata questa anomalia che ha occupato la scena pubblica, diffondendo speranza e praticando conflitto. Senza l’Onda (in generale senza i movimenti) l’Italia è un paese di merda, e questo vale la pena ricordarlo non solo per noi che dell’Onda siamo stati, tra gli altri, protagonisti, ma per tutte e tutti coloro che vivono con senso di smarrimento il tempo presente. E c’è da dire, inoltre, che non solo la Confindustria e il governo, ma anche la potenza dell’Onda ha messo in crisi, dal basso, l’unità sindacale e imposto alla Cgil tanto lo sciopero del 14 novembre (Cisl e Uil, infatti, dopo aver convocato lo sciopero si ritirarono, convinti dal Dl 180 presentato dalla Gelmini), quanto quello del 12 dicembre. Ancora, la crisi del Pd, dopo la disfatta sarda e le dimissioni di Veltroni, costituiscono una conferma ulteriore del fatto che la società e i movimenti sono irrappresentabili e che quel che resta della sinistra, riformista o radicale, non è in grado in nessun modo di sintonizzarsi con questa novità strutturale, in nessun modo congiunturale e passeggera.

Queste le condizioni, segnate fino in fondo dalla crisi economica globale che si fa sempre più dura e non accenna in nessun modo ad attenuarsi. Al di là delle dichiarazioni d’intenti dei ministri dell’economia o dell’iniziativa di Obama, non sembrano esserci soluzioni adeguate per sostenere una crisi di questa durezza: crisi finanziaria, laddove la finanza non è più dispositivo separato dalla produzione; crisi dell’occupazione, dei consumi, dei servizi. In questo quadro ci sembra tutt’altro che velleitario o ingenuo ritenere aperta la prospettiva dell’Onda e dei movimenti studenteschi. Prospettiva aperta, estranea alle interpretazioni politiche tradizionali espansione/riflusso o euforia/depressione, sicuramente non scontata. Se infatti va respinto con forza il discorso sul riflusso (lasciamolo fare tranquillamente al Corriere della sera o ai Partiti), va altrettanto respinta un’idea ingenua e lineare dei movimenti (contraddizione – crisi ‒ lotta). La crisi, tanto politica, quanto economica, non porta necessariamente (o dialetticamente) con se conflitto e prosperità: c’è bisogno piuttosto di intelligenza, coraggio e capacità di stabilire alleanze vincenti. Alleanze che sappiano porsi all’altezza della sfida del presente, scalzando anacronistici quanto inefficaci richiami a schemi del passato. Alleanze dunque che sappiano porsi il tema della ricomposizione dei soggetti produttivi e sfruttati partendo dal quadro mutato del mondo del lavoro, dove la precarietà è la cifra comune di una nuova generazione e all’interno del quale la formazione innerva ad ogni livello la produzione. Superando vecchi e nuovi miti e mitologie, i prossimi mesi, con la rottura del quadro concertativo e con l’aggravarsi della crisi, costituiscono il terreno concreto nel quale scommettere per far riesplodere l’Onda e per generalizzarla.

Sapienza in Onda?

Passiamo ad una domanda nuova: cosa ne è dell’Onda alla Sapienza? I numeri scendono un po’ ovunque, indubbiamente, ma una continuità organizzativa interessante si è data in molte facoltà. Continuità che trova riscontro anche negli altri atenei italiani. Da inizio gennaio, infatti, in tutta Italia molte sono state le iniziative agite nella continuità dello spazio pubblico dell’Onda. Dal Sud al Nord nessun rettore, legato alla Crui o all’Aquis, ha potuto celebrare i propri riti, le inaugurazioni degli anni accademici, senza essere disturbato dagli studenti e dai precari della ricerca. Al contempo ogni tentativo del governo di entrare nelle università è stato fortemente contestato. Sono tante e tanti le studentesse e gli studenti (oltre alle/ai precar* della ricerca) che si sono “messi in viaggio” al seguito delle memorabili piazze autunnali e che non intendono tornare indietro. Sono tante e tanti a ritenere anguste le scelte e le biografie del passato. La rottura che si è consumata in questi mesi è stata fino in fondo una rottura generazionale, oltre che politica, discontinuità che lascia il segno, nonostante la prigione degli esami e il torpore invernale (la primavera può tardare, ma non può non esplodere!). In questo senso, oltre a chiederci dove sono finite le migliaia di studentesse e di studenti che ogni giorno occupavano la Sapienza e le strade di Roma, dovremmo avere il coraggio di capire cosa funziona o non funziona negli spazi politici e organizzativi che si sono sedimentati e parzialmente strutturati durante l’Onda. Meglio: i luoghi politici e organizzativi della Sapienza sono stati o sono all’altezza della domanda di partecipazione espressa dalle migliaia di studentesse e di studenti durante l’Onda?

A partire da questa domanda noi vogliamo essere molto chiari e andare al cuore dei problemi aperti. La Sapienza è stata fin dalla fine di settembre teatro straordinario di mobilitazione e di conflitto. Fino all’assemblea nazionale le cose sono procedute con forza ed entusiasmo senza pari. Già nei giorni precedenti all’assemblea nazionale, però, le aspettative, le istanze competitive, a volte interessi politici extra-universitari, hanno reso la situazione più dura, il conflitto nelle assemblee più aspro. Alla passione per un bene comune, il movimento, ha prevalso la logica delle identità, la logica delle piccole patrie. Dopo l’assemblea nazionale – evento straordinario di partecipazione e di elaborazione politica collettiva – ciò è stato ancora più forte e una giusta e doverosa battaglia sui contenuti, sulle parole d’ordine, in generale sui processi di politicizzazione dell’Onda, è stata sostituita da una guerra di trincea, piena di colpi bassi, di chiacchiere di corridoio. Per usare una celebre frase del ’77 le emozioni sono state messe all’angolo dalle mozioni. E quando vince la logica dei veti e delle mozioni, si sa, rimangono in piedi gli animali politici più navigati, quelli che “la sanno lunga”. Studentesse e studenti, per la maggior parte, hanno preferito la fuga e lo studio alla guerra tra bande, la logica dell’inter-gruppo ha desertificato lo spazio pubblico dell’assemblea. Esemplare, da questo punto di vista, che sia stato proprio il dibattito sulle forme organizzative ad aver prodotto uno scollamento molto profondo tra le strutture politiche (che precedevano l’Onda) e il nuovo protagonismo studentesco. Ancora più paradossale ci sembra che chi con più forza ha posto il dibattito sulle forme di organizzazione o di auto-organizzazione abbia preferito promuovere nuove o vecchie forme di identità.

Il nostro, intendiamoci, non è un discorso chiassoso o disonesto contro le forme di organizzazione (o le cosiddette strutture organizzate). La nostra facoltà ha contribuito più di altre, prima dell’Onda, a dare vita al percorso della Rete per l’Autoformazione, struttura che si è consolidata al seguito del movimento dell’autunno del 2005. Il problema che ci stiamo ponendo però è un altro: possiamo, al seguito di un movimento così straordinario e nella speranza di far esplodere una nuova Onda, tornare semplicemente alle identità pregresse o inventarne una nuova? Possiamo chiudere la porta all’eccedenza di partecipazione che tanto nella nostra, quanto nelle altre facoltà si è presentata con forza? Possiamo ridurre lo spazio pubblico, di facoltà e d’ateneo, ad uno scontro tra bande, burocratico e triste o, ancora peggio, riproporre forme organizzative orientate alla rappresentanza? Possiamo consegnare in generale l’Onda al vago ricordo del giornalismo meno antipatico? Possiamo con la crisi che segna il nostro tempo rinunciare alla sfida che abbiamo, assieme a tanti, fatto irrompere nella scena politica di questo paese? Possiamo diventare piccoli amministratori di un patrimonio o di un bottino di seconda serie? Non solo l’intelligenza politica ci dice che non possiamo fare tutto questo, ma anche la nostra passione per la lotta, per la vita, per una vita migliore. Siamo convinti che tante e tanti la pensano come noi, siamo convinti che tante e tanti non vogliono scegliere tra identità o solitudine.

Avanti come, avanti dove

Chiudiamo questo documento con una proposta esplicitamente organizzativa, una proposta che vorremmo discutere con chi non è “tornato in patria” (cioè non è tornato nelle facoltà a fare iniziativa indipendentemente dalle assemblee di facoltà!) e con chi ha ancora voglia di sporcarsi le mani nel movimento e per il movimento. Al di là delle differenze politiche, pensiamo che varrebbe la pena fare una scelta coraggiosa, rilanciare lo spazio pubblico dell’Onda, l’assemblea d’ateneo. Per far questo, però, è indispensabile intenderci su alcuni punti:

1. L’assemblea d’ateneo federa e compone il lavoro politico delle assemblee di facoltà e non quello delle strutture politiche. Chi ha scelto di perimetrare la propria azione politica attraverso sigle vecchie o nuove lo ha fatto senza confrontarsi con i tanti studenti che attraversano le assemblee di facoltà e di ateneo. Al contrario pensiamo che solo rilanciando questi luoghi sia possibile preservare l’autonomia del movimento e valorizzare quell’eccedenza che l’Onda ha portato con sé.

2. Le differenti posizioni politiche debbono essere il frutto della discussione vera, quotidiana, all’interno delle facoltà, e non svolta in altre sedi.

3. Uscire dalla logica dei veti è fatto fondamentale. Così come è del tutto legittimo discutere di diritto allo studio, lo è altrettanto approfondire la tematica del reddito e del nuovo welfare o piuttosto la questione dell’autoformazione o della progettazione autonoma della ricerca.

4. L’assemblea d’ateneo federa il lavoro dei tavoli tematici, assumendo che questi ultimi sono espressione del lavoro autunnale e dell’assemblea nazionale (più in generale del progetto di autoriforma che abbiamo assieme, faticosamente costruito).

A queste precisazioni ne vanno aggiunte delle altre, sulle quali varrebbe la pena misurare la discussione:

a. I tavoli tematici debbono essere, per evitare un avvitamento generalista, ulteriormente articolati. Alla logica dei veti è preferibile contrapporre la molteplicità positiva: invece di fare un solo tavolo di lavoro sul welfare, ad es., converrebbe separare la questione diritto allo studio (Adisu, tasse), da quella del reddito diretto e indiretto (reddito garantito, accesso alla cultura, mobilità, servizi), per evitare di schiacciare la discussione di questo tavolo, così importante nello scenario dei prossimi mesi, a sterili confronti tra proposte politiche precostituite e che non attraversano il lavoro quotidiano fatto nelle facoltà. Recuperare lo spirito che ha caratterizzato il lavoro di questo tavolo tra novembre e dicembre, quando in tantissimi abbiamo dato immediato seguito alle proposte di lavoro emerse in assemblea nazionale con azioni dirette sull’accesso gratuito alla cultura e contro il carovita, è un’esigenza non più rimandabile.

b. I tavoli debbono essere espressione del lavoro politico delle assemblee di facoltà e non dell’incontro di strutture politiche. Questo non esclude che singolarità o gruppi di studenti delle facoltà non possano decidere in autonomia di contribuire al lavoro dei tavoli, ma questo lavoro deve in qualche modo essere riportato e vissuto anche dalle assemblee di facoltà.

Cosa discutere nelle assemblee d’ateneo? Discutere l’agenda comune dell’Onda. Ma quale agenda? Possiamo occuparci di tutto? Sull’agenda noi avanziamo una proposta, sulla quale discutere e sulla quale far convergere gli sforzi collettivi. Schematicamente:

PROPOSTA DI AGENDA COMUNE DELL’ONDA

· 18 marzo, sciopero generale dell’università, la scuola, la ricerca (indetto dalla Cgil-Flc). Come stare nello sciopero? Come definire la partecipazione dell’Onda romana e “sapientina”?

· 28 marzo, manifestazione nazionale promossa dai sindacati di base in concomitanza con il G8 sulla questione lavoro e ammortizzatori sociali.

· 23 aprile, sciopero generale dei sindacati di base.

· 14-16 maggio, G8 sull’università (Torino).

Questi punti di lavoro comune ci sembrano già molti, lavorare su queste date/occasioni per tempo significa evitare blocchi comunicativi o di partecipazione.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma forse vale la pena farlo dal vivo, con il desiderio di costruire e non di distruggere, con la gioia di abbandonare vecchie identità per produrre nuovi spazi comuni. Saremo all’altezza? Sapremo incontrare nuovamente l’Onda?

Proponiamo questa discussione a tutte le facoltà, per poterne discutere alla prossima assemblea d’ateneo.

Facoltà di Scienze Politiche in Onda

www.uniriot.org