Home > Un’idea dell’universita’ comune
Leggevo su Liberazione di alcuni giorni fa’ una critica della Saraceno alle politiche della Sinistra Arcobaleno durante lo scorso governo. Inoltre c’era stampata sulle pagine del giornale comunista una critica molto caustica alle idee di "sinistra" che a detta della Saraceno sono ormai passate, come fossero antiquate o fuori moda. Bene, se da un lato le mode ci indicano cambiamenti ed evitano stagnazioni, una dose di scetticismo basta a sollevare il dubbio del perche’; allora ho pensato di andare in fondo ed intravedere le possibili alternative della Saraceno. Non di certo lasciando la sinistra in soffitta ormai sfondata dal peso dei ricordi e dalla storia che ha pesato come un macigno, ma visitando la soffitta ho rispolverato alcuni pensieri che erano rimasti inavvertitamente, per essere buonista, oscurati dai vari oggetti che nel tempo la polvere ha inspessito offuscandone i contorni.
Quasi un miracolo al sole ed un soffio per riportare alla luce quello che il tempo non aveva rubato, ma solo custodito.
Cosi ricercando nelle parole della Saraceno un significato che potesse ridare luce alla presente situazione ho potuto trovare solamente quel cinismo tipico di chi ha voluto intellettualmente firmare la definitiva morte di un progetto di cui gli stessi autori se ne vogliono sbarazzare. Come fosse una di quelle ruberie che i ladri vogliono vendere al piu’ presto poiche’ inseguiti.
Ho potuto assaporare alcuni dei motivi che ci dividono, separano generazioni, distanziano dagli esseri che non sappiamo alcune volte esprimere se non attraverso le nostre angoscie e paure. Ho avvertito come la difesa di un prigionero che non avendo le catene ha paura di scappare ed assaporare quello che non era ed ha paura di quello che non ha.
Ho visto scritto quello che non credevo fosse l’idea che lei ha di un ricercatore universitaro. Un’idea patriarcale, non libera scelta ma di assoggettamento educato alla societa’.
La Saraceno proponeva un’idea di ricercatore precario, assogettato al professore o all’istituto che o all’imprenditore di turno. Quasi un’elemosina, una precarieta’ che era nelle universita’ tutta tipica delle donne. La Saraceno indicava la carriera del ricercatore come successione di passi e sacrifici, ove solo i piu’ gloriosi arrivano.
La Saraceno ci raccontava sulla carta stampata che i ricercatori in Italia sono "inamovibili".
Perche’cosa ne vorrebbe fare di loro? Non sono mica dei pacchi. Sono individui con le proprie aspettative per un futuro migliore e se non vogliono muoversi e’ evidente che non c’e’ molto di meglio o quello che vienne proposto possibilmente non e’ poi cosi’ tanto meglio della condizione in cui sono attualmente.
Mi pare di intravedere in queste parole, il seme di quell’idea neo-liberale della sconfitta personale per dare ampio spazio alle forze positive del mercato a cui nulla si puo’ opporre. L’ individuo e’ tal punto affogato da un’onda che tutto travolge; tutto tranne la miseria e la poverta’.
Ed e’ proprio questa retorica delle forze positive del mercato esterne all’individuo, pura immaginazione, su cui la grande retorica del neo-liberismo ha montato la questione della flessibilita’ e della "inevitabilita’" della globalizzazione e della condizione precaria dell’individuo. Una condizione a cui non ci si puo’ opporre su cui non e’ possible nemmeno dialogare o chiedere ragione; e’ una condizione che richiede di porre il rischio sui ricercatori e non invece sulla libera impresa o sul governo che finanzia i progetti di ricerca.
Prima era il governo piu’ rischioso che andava a casa. Ora i governanti hanno capito che la sicurezza deve essere del capitale ed il rischio dei ricercatori.
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L’individuo che cerca sicurezza nel mondo globalizzato e’ irrazionale. Nelle parole del presidente del consiglio italiano tali individui sono “assurdi”. Questi sono gli individui che sono destinati a scomparire, poiche’ non riescono a sopravvivere l’onda d’urto delle forze positive del mercato.
Tutta la retorica cosi’ perversa della Sarceno e’ un distante eco di quell’idea di patriarcato e paternalismo che pervade ogni settore della produzione del pensiero del neo-liberismo. Le parole della Saraceno vanno al di la’ della semplice propaganda: sono parole che hanno l’odore di muffa, poiche’ nulla di nuovo propongono e nulla di vecchio discutono. Sono parole che descrivono piu’ uno stato di decomposizione che una vera e propria rivoluzione. Percepisco comunque in tali parole la retorica dei corsi di aggiornamento a cui i capi di istituto e ricercatori capo-progetto sono sottoposti. Capisco molto la posizione di autorevolezza di tale linguaggio e la paternale del professore universitario che arrivato su in cima vede i suoi colleghi di lavoro dalla finestra della torre d’avorio come portaborse e risorse da sfruttare per questo o quel progetto. Non riesco a vedere altro di positivo in queste parole se non la giustificazione del patriarcato universitario che con il neo-liberismo ha radicato ulteriormente quell’idea della subordinazione al tempo che non cambia mai ed alla sventura che e’ di tali individui “assurdi”. La subordinazione che la Saraceno indica come condizione necessaria per far la flamigerata "carriera" e’di stampo puramente patriarcale. E molto mi stupisce se la Saraceno come donna non avesse provato sulla propria pelle il patriarcato presente nelle universita’ a cui le donne sono soggette. E’ una posizione maschilista ed alquanto sorpassata anche da nuove indicazioni dell’unione europea che vuole garantire con uno stipendio fisso di base la vita accademica dei riceratori. E pare che tutti i paesi firmatari dall’unione abbiano preso in seria considerazione questa indicazione che chiaramente segnala la fine di un’idea di servilismo e di precarita’ del ricercatore.
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Gli "esseri flessibili" snaturati dalla loro cultura, storia e memoria, sono gli esseri cosi concepiti dai "guru" del neo-liberismo. sono "esseri flessibili". Ne’ e’ un’ esempio di tutto questo l’Inghilterra che ora paragona docenti universitari e ricercatori a truppe da portare con se in battaglia: una battaglia di capitali al servizio delle multinazionali e corporazioni che decidono di investire su questo o quel paese.
Contrariamente ad una universita’ della vita comune in cui la vita non e’ precaria; non aspetta o spera ma vive ed e’ ma aperta, comune per l’appunto.
Nell’universita’ della vita comune, gli studenti non sono pezzi di memoria su cui informazioni devono essere trasferite dalla mente del docente alla loro. Ma sono collaboratori di una realta’ ingenua, senza profitto e tendenze pre-ordinate, consci che non esistono ordini universali, ma solo laboratori di vita. Laboratori in cui esperienza di vita e’ trasformata in arte accomunando culture e ricercando nuovi orizzonti. La ricerca e’ la bottega di vita a cui genitori e studenti sono legati per avviare i loro sogni di trasformazione di vita senza padroni di intelletto e futuri inimmaginabili. La bottega della ricerca, accomuna non pecarizza. La bottega della ricerca non mercifica le virtu dell’operaio, dello studente, del cantante ma ne fa’ arte.
La bottega della ricerca nella nuova vita comune non conosce rettori ma solo spazi ove la gente puo’ organizzarsi in laboratori e crescere esperienzalmente.
Nella bottega della ricerca non vi sono intellettuali che sfruttano come paravento "la conguira dell’isolamento".
C’e’ una nuova possibilita’: l’organizzazione in centri autonomi di fiducia e progresso comune ove la gente non e’ trattata come merce. Ove la gente che varca la soglia non e’ trattata come numero di tessera perche’ bisogna succedere ad un successo elettorale. Ove la gente puo’ organizzarsi in laboratori e crescere esperienzalmente. Bisogna resistere la crescita programmata. Bisogna resistere la vera e propria mercificazione della vita. Bisogna tornare alla bottega in cui l’uomo artigiano produce per l’uomo della bottega. Per l’uomo che guarda negli occhi e conosce la sua condizione. Una condizione condivisa e sentita. Un uomo che guarda con dignita’ senza essere offeso nello sguardo.
Salvatore Fiore