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Un invito alla riflessione
di Pasquale Indulgenza *
su redazione del 05/08/2008
Il Corriere della Sera di domenica 27 luglio, commentando il nostro congresso, ancora in pieno svolgimento, sentenziava: “comunque andrà a finire, chiunque vinca, se lo scontro non verrà scongiurato all’ultimo momento, vi saranno due partiti in uno”.
Il Congresso si è chiuso e, a mio avviso, il rischio di ritrovarci con un partito nel partito permane forte, a fronte di un’atteggiamento, immediatamente manifestato dalla leadership della minoranza, che considero sbagliato e pericoloso. L’intervento conclusivo di Vendola, benchè questi si fosse detto affatto sereno, è risultato ai più intriso di un sentimento rabbioso. Pur comprendendo la cosa, data la durezza della circostanza, ciò che mi ha colpito assai negativamente, al di là del tono esacerbato, è stata la sostanza dell’intero discorso, puntualmente replicato in una conferenza stampa che altresì giudico quantomeno irrituale.
L’insistito riferimento alla “sconfitta” subita e alla battaglia da continuare è stato così veemente, come pure l’accento sulla strutturazione organizzativa della annunciata corrente “Rifondazione per la sinistra”, da risultare, oltre che ben poco consonante con una cultura pacifista, disarmista e antibellicista, assai inadatto ad esprimere la volontà di un confronto legittimo (e da auspicare) in chiave di attivo pluralismo, all’interno dello stesso Partito. La dichiarazione è suonata come una specie di ’chiamata alle armi’, quasi il tirare una riga di netta separazione tra sé e l’altro.
Ma ciò che mi ha maggiormente colpito, delle cose dette da Vendola in chiusura, e su cui vorrei si tornasse tutti a riflettere, a cominciare da lui stesso, è stato il passaggio sul rapporto tra Partito e Mezzogiorno, che Vendola ha dichiarato essere vissuto in modo tendenzialmente discriminatorio e persino razzista nei confronti dei compagni del Sud. Nell’affermarlo, egli ha fatto riferimento ai sacrifici e ai rischi, anche mortali, che quei compagni affrontano quotidianamente facendo politica, da comunisti, nei propri territori, esposti alle violenze del potere delle mafie. Sono d’accordo sulla sottolineatura. Ciò che invece trovo completamente e sorprendentemente sbagliato, da meridionale di origine, è che, muovendo la grave accusa che le ha associato, Vendola abbia bruscamente compresso una storia sedimentata a lungo, che, come tale, non è leggibile unilateralmente.
I tanti meridionali che, generazione dopo generazione, sono stati costretti ad andare via dalle proprie terre e città per effetto del ricatto occupazionale e dell’impossibilità di trovare lavoro in modo onesto, per tanta parte, con la coscienza tragica della propria condizione e con decisive, drammatiche esperienze alle spalle, hanno ripreso nel Nord l’impegno militante (nel sindacato, nei movimenti di lotta, nella cultura, nei partiti della sinistra), svolgendo un ruolo storico. Lo dico perché la giaculatoria di Vendola è risultata interamente e volutamente schiacciata sul presente, volta a far risaltare la vicenda di questi ultimi anni, mentre, invece, la memoria di interi decenni ci consegna una lezione ulteriore, più profonda e complessa. Per restare agli ultimi quarant’anni, occorre innanzitutto ricordare che l’impegno contro le mafie viene vissuto in prima persona dai giovani militanti di sinistra da almeno tre decenni, partendo dalla solitaria missione di Peppino Impastato e dei suoi amici in Sicilia (ben pochi, in allora) e da quello dei giovani napoletani contro la camorra durante la cosiddetta “Ricostruzione”, dopo il terremoto del novembre ’80, lotta che ha fatto sopportare violenze inaudite a tanti oscuri compagni e fatto morire uccisi giovani ed eroici giornalisti come Giancarlo Siani.
Per riprendere daccapo questo filo, consiglio di leggere le pagine belle e intense, per me a tratti quasi insostenibili emotivamente, del libro di Bruno Arpaia “Il passato davanti a noi”. Mi attraversano sentimenti dolorosi simili a quelli che spesso provo quando torno nella mia città di provenienza e colgo, o nuovamente subisco, gli effetti devastanti della corruzione degli apparati istituzionali, delle storiche, mai cessate pratiche clientelari, oltre che della violenza criminale e del degrado urbano. Rinvengo, nel corpo collettivo come sul mio corpo, i segni di sconfitte ben più più gravi di quella che qualcuno, da una parte e dall’altra, ha voluto registrare nel nostro congresso. Ciò che ho trovato francamente non accettabile, nelle parole di Vendola, è stata un’idea senza adeguata profondità di campo, priva di spessore storico, un po’ come la sua pur efficacissima descrizione della situazione complessiva. Io che sono tra coloro che, giovanissimi, sono stati costretti ad abbandonare la propria città (nel mio caso, Napoli), i propri studi, i propri affetti, le proprie relazioni e aspirazioni, per trovare il lavoro che veniva loro sottratto da un predatorio e criminale sistema di potere, dopo aver subito minacce e corso rischi che non si potevano nemmeno raccontare ai propri genitori per non preoccuparli oltremodo, oggi non mi ritengo né più fortunato né piu sfortunato di chi è rimasto a lottare tra i disoccupati o in altri ambiti della vita sociale meridionale, o di chi è rimasto e basta.
Vorrei solo che si pensasse alla storia collettiva di cui siamo tutti figli, di cui sommamente è figlia Rifondazione Comunista, peculiare anche in ciò, anche in questa verità: nel fatto che dentro la parte migliore del nostro impegno si ritrova proprio la vicenda sofferente di decine, centinaia di migliaia di meridionali che prima hanno lottato al Sud, esposti alle atroci insidie di quella realtà, e poi hanno saputo a riprendere a lottare al Nord, portando il valore delle proprie esperienze impastato al proprio dolore e alle proprie solitudini, trasformando l’esilio in un’occasione di riscatto anche per altri, a favore di tutti gli sfruttati. Questa storia, questa tragedia parlano al presente, poiché ci raccontano le vite e le speranze di persone che sono ancora relativamente giovani, nel pieno della maturità, come di una carne sola. Questa storia è ciò che ha consentito di far incontrare, in molti e diversi luoghi, esperienze di nuova sinistra e retaggio della sinistra storica, divenendo persino costitutiva, plasticamente, della nostra identità e della nostra ragione sociale. Rompere il filo rosso che percorre e unisce i due momenti di una vicenda sì lunga, pur nell’accesa contingenza di uno scontro interno, fa male a tutti noi, al nostro popolo e al Paese, perché non solo rischia di mettere contro il Nord e il Sud, ma di spezzare la continuità esistenziale, sociale e politica costituita da tanti drammi personali e collettivi. Tenere invece presente e valorizzare il nesso tra ieri ed oggi, diacronicamente e sincronicamente, ci aiuta proprio in quella ricerca di senso che è alla base di ogni credibile analisi politica. E, per l’avvenire, di ogni seria ipotesi di trasformazione.
* segretario Federazione Provinciale di Imperia e capogruppo P.R.C. al Comune di Imperia