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Un mandato per una rivoluzione sociale La nuova Bolivia di Evo Morales
Publie le martedì 7 marzo 2006 par Open-PublishingDi Roger Burbach, CounterPunch 26 gennaio 2006
Originale: http://www.counterpunch.org/burbach01242006.html
Tradotto dall’inglese in italiano da Giampiero Budetta, membro di Tlaxlaca, la rete di traduttori per la diversità linguistica (tlaxcala@tlaxcala.es). Questa traduzione è in Copyleft
Cochabamba, Bolivia
La cerimonia di investitura di Evo Morales, primo presidente boliviano indigeno, rappresenta uno spartiacque nella storia delle Americhe. I cosiddetti "caras", i bianchi ed i meticci che hanno dominato la Bolivia per secoli, vengono sostituiti dagli indios, che sono espressione della vera maggioranza di questo Paese.
Forse la più importante cerimonia della settimana è avvenuta il giorno prima dell¹insediamento ufficiale di Morales, quando più di 50.000 indigeni boliviani e americani si sono radunati presso le rovine dell’antica città indiana di Tiwanaku. È lì che sono stati conferiti a Morales i "poteri del mandato presidenziale".
Tuttavia, Morales sarà capace di affrancare davvero gli indiani boliviani, di conferirgli il potere per assumere il controllo sulle proprie vite, di migliorare la loro situazione sociale ed economica? In Paesi come Perù, Ecuador e Messico, la storia è piena di tradimenti di leader nazionali di sangue indiano, così come anche di presidenti mandati al potere da movimenti indigeni.
L’insediamento di Evo Morales, però, sembra segnare una svolta epocale. Il suo mandato presidenziale è il risultato di un profondo rivolgimento sociale, ancora in corso, che ha scosso la Bolivia dalle fondamenta. La Bolivia sarà anche un Paese povero, ma può contare su una delle più ricche mobilitazioni di massa mai viste nell¹ultima decade, ed oltre, in America Latina.
Durante il mio viaggio in Bolivia di questa settimana, costretto su una sedia a rotelle dalla mia caviglia fratturata, ho volontariamente evitato La Paz, in parte sperando di non essere travolto dalle migliaia di visitatori, giornalisti e capi di stato stranieri che hanno invaso le anguste vie della capitale. Sono invece arrivato a Cochabamba, con poco meno di un milione di abitanti la terza maggiore città boliviana. È qui che Evo Morales ha vissuto per molti anni. Giovedì scorso ha tenuto un meeting informale nella sua modesta residenza. Qui ha parlato, commosso, del senso di perdita che avvertiva lasciando Cochabamba: "spero di tornare qui ogni mese per mantenere i contatti" ed ha aggiunto: "la gente di qui dovrà dirmi se sto tenendo fede al mio impegno di aiutare i più bisognosi del Paese".
Si è molto parlato della rivolta delle comunità di Los Altos, sull’altipiano che domina La Paz, che scosse le basi del sistema politico, altrimenti blindato, del Paese.
Nell’ottobre 2003, scesero nella capitale per spodestare il presidente Gonzalo Sanchez de Lozada, così come anche il suo successore Carlos Mesa, nel giugno del 2005. Come parte integrante dell’accordo che attribuiva il mandato ad interim di presidente della repubblica all’allora presidente della Corte suprema, per dicembre 2005 vennero indette le elezioni politiche che avrebbero condotto al trionfo di Evo Morales.
Tuttavia è a Cochabamba e nella provincia subtropicale di Chipare che si possono trovare le autentiche radici della lotta popolare che ha innalzato Evo Morales alla carica presidenziale. È qui che fu fondato il Movimento al Socialismo, il partito politico di Morales.
Come molti altri indios, Evo emigrò, ancora giovane, nella provincia del Chiaparé dagli altopiani boliviani, quando molte miniere di stagno furono chiuse e molti sindacati di minatori vennero sciolti in nome della modernizzazione dell¹industria mineraria del Paese. La coltivazione della coca nel Chiaparé divenne la principale attività economica degli emigranti. Bonificando le terre incolte, i nuovi campesinos portarono con sé le ricche tradizioni delle comunità e dei sindacati indigeni. Formarono una rete di associazioni locali, o sindacati, raggruppati in diverse federazioni. Nel 1989, il molto carismatico ed umile Morales divenne presidente delle sette federazioni dei coltivatori di coca, i cosiddetti "cocaleros".
A partire dalla fine degli anni 80, i cocaleros hanno combattuto una guerra accanita contro il programma "coca zero" patrocinato dagli Stati Uniti nel Chiaparé. Determinati a distruggere tutte le coltivazioni di coca, gli Stati Uniti militarizzarono la regione, allestendo quattro basi militari parallelamente all’addestramento ed alla consulenza di forze speciali boliviane. Pedro Rocha, un piccolo coltivatore di coca, mi ha detto, mentre curava le sue piantagioni, "non si fermavano davanti a niente, facevano irruzione nelle nostre case e a volte le incendiavano, hanno picchiato ed arrestato molti di noi e, oltre a quelle di coca, hanno anche calpestato e distrutto le coltivazioni per il nostro sostentamento".
I cocaleros, guidati da Morales, organizzarono una resistenza durissima al programma di eradicazione. Le strade nel Chiaparé vennero bloccate per più di un mese alla volta, mentre i sindacati locali alternavano i loro membri, donne ed uomini, di giorno e di notte, per bloccare la circolazione attraverso il centro del Paese.
Mentre la guerra si allargava nel Chiaparé, nella città di Cochabamba, nel 1999-2000, scoppiavano imponenti dimostrazioni contro la Bechtel, il grande gruppo industriale usamericano che si era assicurato il controllo delle forniture di acqua della città come parte della privatizzazione dei servizi pubblici in corso in tutta la Bolivia.
I cittadini vinsero la "guerra dell’acqua", costringendo la Bechtel a rinunciare e, in questo modo, facendo coraggio al resto della Bolivia e contribuendo, senza dubbio, ad ispirare la marcia sulla sede del governo a La Paz degli abitanti di Los Altos. Il conseguente avvicendamento dei presidenti rimbalzò poi anche nel Chiaparé, quando un ormai debole presidente Mesa fu costretto a negoziare una tregua con i cocaleros alla fine del 2004, consentendo ad ogni famiglia di coltivare a coca un sesto di ogni ettaro di terra in loro possesso.
La militanza di Cochabamba e della provincia del Chiaparé è molto gradita adesso che Evo Morales assume il mandato presidenziale. Come ha dichiarato Pedro Rocha: "i presidenti della Bolivia hanno sempre avuto le loro guardie militari speciali. Noi saremo le guardie speciali di Evo Morales, pronti ad insorgere, assicurandoci che nessuno osi toccarlo affinché possa cambiare il nostro Paese, assumendo il controllo sulle nostre risorse naturali e mettendo fine ai privilegi dei ricchi".
Nel suo discorso inaugurale di domenica 22 gennaio, Morales ha fatto riferimento alle lotte della gente del Chiaparé e Cochabamba: "non possiamo privatizzare i bisogni pubblici come l’acqua. Stiamo lottando per il nostro diritto ad avere l’acqua, a coltivare la coca, a controllare le nostre risorse naturali nazionali". Ed ha aggiunto. ³bisogna porre fine al radicalismo del neoliberismo e non al radicalismo dei nostri sindacati e movimenti".
Discutendo sulla missione del Movimiento al Socialismo, che lo ha portato alla presidenza della repubblica, Morales ha dichiarato: "il socialismo non viene da un piccolo gruppo di dirigenti, viene da una battaglia, da una lotta comune. Il socialismo è un mandato originale, significa giustizia e partecipazione di tutti".