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Un paese in lutto i muore di lavoro e di inquinamento
Publie le mercoledì 11 giugno 2008 par Open-Publishing«Un paese in lutto i muore di lavoro e di inquinamento»
di Vittorio Bonanni
su Liberazione del 10/06/2008
E’ nera la copertina dell’edizione 2008 del Rapporto sui diritti globali (Ediesse, pp. 1352, euro 30,00). Un segno di lutto, una scelta fatta per denunciare una deriva totale delle condizioni di vita dell’umanità tutta - la ricerca riguarda l’intero pianeta pur avendo un’attenzione particolare all’Italia - rispetto agli anni precedenti.
Uno scenario costellato da morti, tanti morti, soprattutto sul lavoro, ma non solo. Giunto alla sua sesta edizione il voluminoso testo, che ogni anno viene realizzato e promosso dalla Cgil, dall’Arci, da ActionAid, da Antigone, dal Cnca, dal Forum ambientalista, dal Gruppo Abele e da Legambiente, è stato presentato ieri a Roma presso la sede nazionale del principale sindacato italiano. «Se volessimo sdrammatizzare - ha detto aprendo la conferenza Sergio Segio, coordinatore del rapporto - potremmo dire, parafrasando Celentano, che la situazione non è buona.
Non è buona sotto il profilo politico, economico e sociale, ed evidentemente anche sotto quello sindacale. Dovendo invece dire le cose come stanno, per come emergono dai dati e dalle analisi contenuti in questo nostro rapporto, mi sembra più proprio citare la scienziata ambientalista Vandana Shiva che disse che siamo sull’orlo di un precipizio». Nel mirino della ricerca è la globalizzazione, stigmatizzata dallo stesso Guglielmo Epifani, autore della prefazione del volume, per il quale «mai come in quest’anno ha evidenziato aspetti profondamente negativi». Il nero scelto per la copertina rappresenta «il lutto, la paura, la preoccupazione - dice Segio - i sentimenti incattiviti che permeano in modo crescente la società». Ma soprattutto «i tanti morti sul lavoro.
Non bisogna dimenticare - ha detto lo studioso - che questo è stato l’anno dell’incidente alla ThyssenKrupp che nel dramma è per lo meno servito a rendere evidente la situazione operaia riportandola alla ribalta e mostrandone le condizioni diventate, negli anni, sempre più negative». Impressionanti le cifre che Segio sciorina durante la conferenza: «Per avere una misura del problema - dice - basti pensare che dall’inizio della guerra in Iraq sono morti 4200 soldati della coalizione mentre in Italia, nello stesso periodo, hanno perso la vita 6654 lavoratori. Di fatto è dunque più sicuro andare in guerra che lavorare nel nostro Paese».
Il tutto corredato da salari sempre più risibili con quattro milioni di famiglie che non ce la fanno ad arrivare alla fine del mese e con uno stipendio medio di circa mille euro per 13 mensilità, un dato che ci ha posto al 23° posto sui trenta paesi che aderiscono all’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (Ocse). E da una distribuzione delle risorse sempre più iniqua: «Si sente parlare solo di detassazione - ha ammonito l’ex militante di Prima linea - e non si capisce perché per una volta non si debba parlare di redistribuzione equa del reddito. Nel primo trimestre 2007 la Fiat, per ammissione del suo amministratore delegato Marchionne, ha raggiunto gli utili più alti di tutti i suoi 108 anni di storia. Eppure i livelli dei salari sono quelli che abbiamo detto».
«Siamo al precipizio - ha detto dal canto suo Paolo Beni, presidente nazionale Arci - e la forbice non si può allargare all’infinito. C’è un punto di insostenibilità e riguarda il tema della fame, della povertà estrema, del disastro ambientale e dell’uso irresponsabile delle risorse che ci sta portando ad un punto di non ritorno. E’ evidente a tutti - ha sottolineato il leader della storica associazione - l’irresponsabilità e l’incapacità della politica di governare i processi di globalizzazione.
La debolezza delle istituzioni sovranazionali da questo punto di vista è clamorosa e lo stesso recentissimo vertice Fao lo dimostra». Per Beni «dobbiamo cogliere la ricaduta devastante di questi processi nel nostro paese in tutta la sua gravita. In Italia da un lato la povertà cresce, cresce l’indebitamente e diminuisce il potere di acquisto dei salari mentre dall’altro c’è una totale assenza di politiche redistributive, ora assolutamente necessarie». Il Belpaese sconta anche un’estrema fragilità del «nostro sistema di welfare, che non ha avuto in questi anni quell’innovazione e quel irrobustimento di cui aveva bisogno».
Sullo sfondo c’è una grave crisi culturale e morale del paese «che in qualche modo si alimenta e alimenta la crisi sociale. Dell’insostenibilità di questo stato di cose ormai si rendono conto tutti - sottolinea Beni - ma questo non significa assolutamente che questa consapevolezza debba produrre di per sé le condizioni di un’alternativa o le condizioni di un’uscita da queste contraddizioni. Perché questo modello di sviluppo e i poteri forti che lo governano stanno dimostrando una straordinaria capacità di costruire consenso ed egemonia culturale facendo leva proprio sulle contraddizioni che produce».
Il quadro non cambia se si osserva inforcando gli occhiali di un ecologista: «Sergio diceva "si muore di lavoro" - dice Ciro Pesacane, presidente nazionale Forum Ambientalista - ed è vero. Ma si muore anche per l’inquinamento. E le grandi differenze tra Nord e Sud del mondo nascono proprio dalle questioni ambientali. La mancanza di acqua, tema che noi ogni anno riportiamo su questo librone, è ancora ben lungi dall’essere affrontata. Ancora oggi nel mondo abbiamo oltre un miliardo e mezzo di persone al quale è vietato l’accesso all’acqua con migliaia di morti. O il clima, i cui cambiamenti ci dicono che il pianeta non regge più questo ritmo». In Italia in particolare, sottolinea Pesacane, stiamo vivendo una stagione di follia: «Mentre noi sabato abbiamo portato migliaia di persone a Milano per la marcia sul clima, ignorata dalla grande stampa, il governo sta sponsorizzando il nucleare come "scelta strategica". Per non parlare dei rifiuti. Si dimentica che il nostro compito ben preciso è ridurre a monte i nostri rifiuti e cambiare modello di sviluppo. E il caso Napoli dimostra che la politica insiste ancora sul modello sbagliato».
Sugli stessi temi è intervenuto Maurizio Gubbiotti, coordinatore nazionale di Legambiente: «L’emergenza climatica non costituisce solo una pesante eredità per le generazioni future, ma un processo già in atto le cui conseguenze nei paesi poveri sono già una drammatica realtà», ha detto l’esponente ambientalista, il quale ha ricordato come «150 milioni le persone nel mondo rischiano di dover abbandonare la propria terra perchè resa invivibile dagli effetti dei mutamenti climatici». Solo un ritorno della politica da protagonista può consentire la realizzazione di «modelli energetici differenti, puntando su fonti pulite, rinnovabili, diffuse e democratiche».
Nel mirino del Rapporto anche la situazione carceraria e il tentativo di introdurre, insieme al reato di clandestinità, l’aggravante se a compiere un reato sia appunto un clandestino. Una norma, ha sottolineato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, che «presenta profili di illegittimità incostituzionale maggiori dello stesso reato di clandestinità». Non c’è dunque un aspetto della "condizione umana" che si salvi nell’enorme denuncia contenuta in queste mille pagine. La cui paziente lettura potrebbe essere utile a chi non vuole capire che, di questo passo, è a rischio la democrazia.