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Un primo passo

Publie le mercoledì 16 agosto 2006 par Open-Publishing

di Rossana Rossanda

Credo che fossimo in molti, ieri mattina alle sette davanti al televisore: il cessate il fuoco nel sud del Libano ci sarebbe stato? Israele bombardava fino a un quarto d’ora prima. Soprattutto non è avvezza a stare alle delibere dell’Onu. Tre giorni fa il governo di Ehud Olmert aveva scagliato l’offensiva piu forte, facendo penetrare Tsahal per venticinque chilometri all’interno del territorio libanese. Invece alle sette sono cominciate a scorrere le prime immagini dei soldati tornati ragazzi che si abbracciavano, le armi non più puntate, le due parti facendo allegramente segni di vittoria - in realtà liberate per un momento dal dover uccidere e temere di essere uccisi...

Per il momento la guerra è ferma. Forse è finita. La risoluzione 1701 ha delle ambiguità, interdicendo soltanto operazioni «offensive» e qualcuno potrebbe ricominciare a sparare asserendo di difendersi. Israele ha dichiarato di iniziare il ritiro ma non sgombera tutto il territorio finché non vi saranno presenti le forze regolari libanesi e quelle di interposizione dell’Onu. E un conto è che gli Hezbollah accettino la risoluzione e il governo del Libano li confermi come forza politica, un altro che vengano disarmati. Ma qui la parola passa alla politica. Per la prima volta nella sua esistenza Tsahal non ha vinto - la guerra del 1967 era durata sei giorni, questa andava avanti da un mese di fronte a una resistenza che, manifestamente sottovalutata, non ha ceduto.

Anzi, più di un opinionista osserva che la risoluzione delle Nazioni unite avrebbe offerto al governo Olmert, dopo avergli consentito due giorni in più di mano libera, una onorevole via d’uscita. Sta di fatto che Tsahal è stato fermato, ed è crollato un mito disastroso - che Israele potesse sempre imporre le sue soluzioni militari alle impasse politiche che crea e alimenta. Non è più così. Da ieri hanno cominciato a bruciare le polemiche del leader del Likud, Netanyahu, contro il premier Olmert, il ministro della difesa Peretz e la ministra degli esteri Livni, che sarebbero stati troppo deboli.

Ma i fatti sono fatti. Un indebolimento di Israele rispetto all’immagine di sé è innegabile, l’adesione all’inizio plebiscitaria alla guerra era stata infranta da qualche giorno dall’appello dei tre intellettuali, Yehoshua, Oz e Grossmann (che sabato, alla fine, ha perso al fronte il figlio ventenne) e il ripensamento di Peace Now. Anche a Washington da qualche giorno ribollono le acque. L’intera politica americana inMedio Oriente, dopo l’invasione dell’Afghanistan e specie dell’Iraq, viene in discussione. Unilateralismo e guerra preventiva - i due principi condivisi con i governi israeliani - sono in scacco.

È il riscatto dell’Onu? Sembra eccessivo dirlo. Ma ha ragione Massimo D’Alema a osservare nell’intervista a Repubblica che, separandosi da quei due fatali assiomi, l’Onu può riavere un ruolo e per la prima volta l’Europa ha manifestato qualche intenzione di prenderselo. Anche partecipando maggioritariamente a una forza di interposizione, unico corpo militare ammissibile, che impedisca ulteriori degenerazioni in un mondo acerbamente conflittuale. Non sono condivisibili le parole, altre volte ragionevoli, di Giulio Andreotti: pensiamoci, perché è una missione pericolosa. Certo che lo è. E forse più delle missioni codiste alle imprese di Bush finora consentite. Ma quelle avallavano, anche se ex post, un’aggressione, questa deve fermare un conflitto.

Anche la sinistra radicale dovrebbe ammetterlo. Se la tregua terrà,molto sarà da ricostruire. E non solo nel martoriato Libano. Finché resta aperta la spina del conflitto israelo-palestinese, che la Map Road è insufficiente a risolvere, il Medio Oriente sarà sempre sull’orlo del precipizio. La sanguinosa avventura libanese faccia riflettere.

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